Lanterne verdi nelle nostre scuole

L’inclusione per costruire un mondo di pace

Il recente evento bellico, che da quasi un mese sta interessando il territorio ucraino, ha determinato un importante flusso migratorio di civili, soprattutto bambini verso l’Unione europea. Sono migliaia i piccoli ucraini che, per sfuggire ai pericoli nelle aree di conflitto e scongiurare il freddo, la fame e il terrorizzante rumore delle esplosioni, hanno dovuto sfollare dalle loro abitazioni, come pure dalle strutture denominate Villaggi SOS, presenti in Ucraina dal 2003 e destinate ad accogliere orfani. Migliaia di bambini hanno cercato rifugio nella vicina Polonia, altri sono riusciti a raggiungere l’Italia, ma molti sono ancora quelli bloccati in campi di fortuna che, lottando contro ipotermia e fame, restano in attesa di un posto sicuro che possa offrire loro ospitalità e sicurezza.

“La scuola” ripudia la guerra

Per cercare di arginare la crisi umanitaria in Ucraina, non si muovono solo le diplomazie e i potenti della Terra, ma anche le scuole di tutto il mondo: c’è chi tappezza i cancelli degli istituti con cartelloni, chi disegna striscioni da sventolare in piazza, chi scrive lettere ai signori della guerra, chi raccoglie fondi e generi di prima necessità. Gli studenti si esprimono in tutti i modi, dai raduni e le veglie alle marce e fiaccolate; i piccoli fanno il girotondo o affondano le mani nei barattoli di vernice e imbrattano striscioni di tela con i colori dell’arcobaleno che i più grandi recheranno in corteo. Dal bidello al preside, dagli insegnanti agli studenti e ai loro genitori, tutti si sono resi operosi. Non c’è scuola dove scatoloni contenenti indumenti, medicinali e cibi a lunga conservazione, non siano stati spediti alla volta dell’Ucraina. “Sapere che ragazzi e ragazze della nostra età, anziché essere in classe, vivono ora nei sotterranei e nelle metropolitane per paura delle bombe ci ha portato a pensare a come poterli aiutare”, dichiara Giulio durante un’intervista.

Dopo che il Ministro Bianchi ha esortato le scuole ad accogliere i minori in fuga dai teatri di guerra e ha incalzato i docenti a far riflettere sull’art. 11 della Costituzione[1], gli interventi si sono moltiplicati, anche se non c’era bisogno di alcuna sollecitazione, perché le scuole si stavano già organizzando per accogliere i piccoli rifugiati in arrivo con lo zainetto in spalla e lo spavento negli occhi: la scuola italiana, fondata sulla Costituzione, da sempre persegue ed educa alla pace come valore irrinunciabile. È dalla scuola che ora deve levarsi un’accorata invocazione alla pace come orizzonte da riconquistare e difendere tenacemente.

Una guerra finora solo immaginata

Tra perplessità e angoscia il riappropriarsi di un’esistenza pacifica è sostenuto con forza soprattutto dai giovani della cosiddetta Z Generation, rappresentata dai nati tra il 1995 e il 2010, che per primi sono scesi nelle strade a manifestare con cartelli e slogan pacifisti.

Prima del 24 febbraio scorso, essi non avevano mai conosciuto la guerra, né la disperazione sul volto di popoli disposti a sacrificare la propria vita in nome di princìpi che in Occidente sembrano ormai scontati da decenni. Per loro la guerra, sinonimo di morte e distruzione, lutto e disperazione, è sempre stata astrattamente immaginata leggendone sui libri di storia: a scuola generalmente si studiano la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, oltre alla guerra civile in Jugoslavia (1991-2001) di cui magari ricordano qualcosa i loro genitori, i cosiddetti millennials, giovani tra i 25 ed i 36 anni così denominati perché divenuti maggiorenni nel nuovo millennio.

Incamminarsi per la riconquista della libertà

A partire dall’attentato alle Twin Towers dell’11 settembre 2001 per mano di Al-Qaeda, i millennials hanno assistito ad una serie di vicende catastrofiche, anche ambientali: il disastro nucleare di Fukujima nel 2011, l’attacco alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo nel gennaio 2015, l’attentato al teatro Bataclan di Parigi nel novembre 2015, le decapitazioni in Arabia Saudita tra il 2019 e il 2020, l’attacco terroristico alla cattedrale di Nizza nell’ottobre 2020. Ma anche per loro un’invasione militare nei confronti di uno Stato sovrano, indipendente e libero, motivata da ragioni imperialistiche, non accadeva dalla Seconda Guerra Mondiale. Oggi, i boati delle esplosioni, le code interminabili di mezzi corazzati sulle strade di Kiev e la fuga in massa di civili innocenti ripropongono scenari già rilevati ottant’anni fa: l’abbandono di una vita costruita con sacrificio nel corso degli anni per incamminarsi verso territori pieni di incognite, ma tali da assicurare sopravvivenza e libertà.

La coltre della paura e dell’incertezza

Già la pandemia, dopo due anni di situazione emergenziale, aveva cambiato il modo di vivere, studiare e amare di tutti i ragazzi del mondo: dopo due anni di confinamento dalle relazioni sociali e di compressione del naturale bisogno di autonomia, con consapevole ritardo ne abbiamo misurato gli effetti sulle coscienze e gli stati d’animo dei nostri giovani, di cui è accertato il malessere esistenziale con conseguente accumulo di inadeguatezza, ansia e demotivazione. Ora, quando tutto lasciava sperare che si potesse finalmente riguadagnare una sorta di normalità, la guerra – una guerra così brutale, folle e carica di conseguenze universali – riavvolge, specialmente i più giovani, in una fitta coltre di paura e di incertezze.

La scuola come simbolo per la ripartenza

L’Italia, storicamente Paese di migranti, si è trasformata nella meta di flussi migratori anche in occasione di questo conflitto facendosi carico di tanto orrore. E la scuola, coinvolta in maniera partecipata all’attuale processo migratorio, si è eletta a luogo simbolo della ripartenza verso una nuova normalità per tutti quei bambini, vittime di chi avrebbe voluto privarli della libertà e dell’innocenza. Il Ministro dell’Istruzione, sulla base dell’art. 38 del D.lgs. 286/1998 meglio conosciuto come “Testo Unico sull’immigrazione”, si è fin da subito attivato per supportare le istituzioni scolastiche ad accogliere i profughi in età scolare nell’intento di agevolarne l’inserimento e garantirne il sostegno necessario per una serena prosecuzione del loro percorso scolastico.

Molte famiglie di alunni italiani si sono adoperate per assicurare a quelle giovanissime esistenze traiettorie di rasserenante accoglienza, e la scuola italiana, inclusiva e solidale, si è aperta ancora una volta a processi di accoglienza umanitaria e di rinnovata cittadinanza.

Le risorse e gli strumenti per l’accoglienza

Con nota n. 381 del 4 marzo 2022, avente ad oggetto “Accoglienza scolastica degli studenti ucraini esuli. Prime indicazioni e risorse”, il Ministero dell’istruzione ha emanato le prime indicazioni per accogliere gli esuli ucraini in età scolare e assicurare loro un inserimento il più possibile vicino ai luoghi presso cui hanno trovato asilo. E al fine di salvaguardare le fondamentali garanzie in materia di accoglienza, protezione, accesso ai servizi educativi e partecipazione attiva alla vita delle nostre comunità scolastiche, ha reperito in via d’urgenza un primo stanziamento, pari a un milione di euro, da destinare alle scuole coinvolte significativamente nelle attività di accoglienza, mediazione linguistica e culturale, e venti milioni di euro per garantire, ai sensi della legge 234/2021, art.1, c. 697[2], assistenza e supporto psicologico ai piccoli esuli ucraini in relazione alla prevenzione e al trattamento del disagio connesso all’emergenza epidemiologica, ora pesantemente aggravato dall’evento bellico in corso. La tutela psicologica riflette una particolare angolazione dell’accoglienza che deve essere assicurata per offrire quegli elementi di benessere che la migrazione forzata ha incrinato: un supporto indispensabile per la ricostruzione di un soggetto, titolare di diritti e doveri, che deve essere affiancato nella rielaborazione psicologica e relazionale della propria esistenza.

Un canale comunicativo privilegiato

L’accoglienza scolastica degli alunni ucraini dovrà tener conto della loro condizione di particolare fragilità, determinata dallo sradicamento dalla propria comunità di appartenenza e, magari, dalla separazione da uno o entrambi i genitori. Oltre a ciò dovrà essere garantito, per quanto possibile, il mantenimento della rete di relazioni che unisce tra loro i profughi, favorendo il raccordo con le comunità ucraine stabilmente inserite in Italia, al fine di evitare ogni forma di isolamento e facilitare il percorso di ricostruzione, in seno al quale l’apprendimento della lingua risulta cruciale per poter dare voce ai propri pensieri e alle proprie contingenti necessità. Da qui l’esigenza di pensare la scuola come canale comunicativo privilegiato e luogo di mediazione.

L’importanza della mediazione linguistico-culturale

In questa prospettiva si rende necessario il ricorso in ambito scolastico a mediatori linguistico-culturali: è una componente essenziale del riconoscimento delle pari opportunità e dell’effettivo godimento del diritto all’istruzione per tutti. La mediazione linguistica serve per facilitare la relazione comunicativa tra l’alunno straniero e l’insegnante, per supportare gli insegnanti nel difficile compito di decodifica della lingua e dei comportamenti degli alunni ospitati non ancora alfabetizzati, ma anche per predisporre il materiale didattico.

I compiti dei mediatori

Molti sono i compiti che i mediatori svolgono, non solo all’interno delle aule scolastiche. Questi vengono impiegati anche per poter gestire efficacemente i colloqui tra insegnanti e genitori stranieri, socializzare le informazioni sulle iscrizioni, offrire consulenza nella compilazione della modulistica scolastica. Sono preziosi negli interventi educativo-didattici strettamente riservati alla gestione della vita scolastica e di relazione tra i più piccoli, per una corretta fruizione dei servizi sociali pubblici da parte dei loro genitori o, comunque, degli adulti stranieri che hanno avuto asilo.

È indispensabile per loro conoscere il funzionamento dei servizi erogati dal territorio accogliente, devono acquisire familiarità con i servizi socio-sanitari e ospedalieri, i registri anagrafici, le banche, gli uffici postali, i centri commerciali. La mediazione favorisce l’orientamento delle famiglie profughe e le aiuta ad avere una fruizione dei servizi pienamente consapevole. L’informazione in merito a tutte le istanze presenti sul territorio è un elemento strategico per consentire loro, sia di attivare percorsi di reciproco confronto e coabitazione positiva, sia di riacquisire il diritto a quell’indipendenza che conferisce qualità alla vita personale e sociale.

Non solo protocolli di ospitalità

Va da sé che l’accoglienza non si esaurisce nella scelta di un protocollo di ospitalità, ma aldilà dei servizi materiali minimi necessari, deve provvedere anche all’avvio della costruzione verso itinerari di uscita in autonomia: il profilo assistenziale, urgente in prima battuta, deve poi sostanziarsi di spirito umanitario e di solidarietà autentica, in grado di tradursi in operatività concreta e in partecipazione attiva delle articolazioni sociali atte a facilitare l’emancipazione e la rielaborazione di un progetto di vita per donne, bambini e anziani, perseguitati da chi vorrebbe negare loro l’identità e la libertà.

Una lanterna verde contro la sofferenza

In Polonia, vicino al confine bielorusso, molti cittadini hanno utilizzato lanterne verdi per segnalare ai migranti ucraini la sicurezza di poter ricevere, presso quelle abitazioni, un rifugio sicuro per la notte e un pasto caldo. Tutti possiamo accendere una lanterna verde contro l’indifferenza. Uniamoci allora alla sensibilità dei cittadini polacchi, illuminiamo anche noi con lanterne verdi le finestre delle nostre dimore e, diffondendo nel mondo una luce di pace e solidarietà, impegniamoci a riscaldare il cuore dei potenti della Terra a favore della soluzione diplomatica di un conflitto che rischia di degenerare in un’inesorabile spirale autodistruttiva.


[1] Costituzione italiana, art. 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

[2] Legge n. 234 del 30 dicembre 2021, “Legge di Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022”. Comma 697: “Il Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche di cui all’articolo 1, comma 601, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è incrementato di 20 milioni di euro per l’anno 2022. Il predetto incremento è destinato a supportare il personale delle istituzioni scolastiche statali, gli studenti e le famiglie attraverso servizi professionali per l’assistenza e il supporto psicologico in relazione alla prevenzione e al trattamento dei disagi e delle conseguenze derivanti dall’emergenza epidemiologica da COVID-19”.