Carriere e figure di sistema

A che punto siamo?

La carriera[1] è uno strumento organizzativo attraverso il quale si attribuiscono ai lavoratori maggiori responsabilità e maggiori poteri, in cambio di un salario più elevato e di un migliore status professionale. Per chiarire meglio:

  • avere maggiori responsabilità significa poter fare attività più impegnative e rispondere dei risultati;
  • avere maggiori poteri significa avere più strumenti, più risorse a disposizione, più influenza nel processo decisionale e nel funzionamento dell’organizzazione;
  • migliorare lo status significa ricevere benefits di varia natura.

Punti di forza e criticità delle carriere

Perché è opportuno che vi sia la carriera? a che cosa serve? Accanto ai motivi che non si possono più ignorare, ci sono anche alcune criticità.

La carriera serve sicuramente a:

  1. incentivare l’impegno lavorativo potenziando la qualità della prestazione. Se uno sa che può migliorare la propria condizione sarà stimolato a lavorare di più e meglio;
  2. accrescere la soddisfazione del lavoratore, premiando l’impegno con un maggiore salario e, indirettamente, attraverso un riconoscimento sociale;
  3. migliorare la qualità del servizio.

Ma a ciò bisogna pure aggiungere che:

  1. la carriera potenzia la competizione e può alimentare i conflitti e peggiorare il clima lavorativo;
  2. l’aumento delle responsabilità può accrescere l’autostima e la considerazione di sé, ma anche aumentare lo stress e il senso di inadeguatezza.

Tutti i settori lavorativi si fondano sulle carriere

Comunque sia, i vantaggi sono considerati prevalenti sui problemi perché la carriera esiste dappertutto nel mondo del lavoro, nel privato come nel pubblico. In genere si articola in una progressione su livelli diversi, ai quali si accede dopo aver dato prova di specifiche attitudini e competenze e, in alcuni casi (in particolare nel settore pubblico), superando prove selettive volte appunto ad accertare il possesso di specifiche capacità. La scuola, per quanto riguarda il personale docente, è il solo grande settore in cui non esiste una carriera articolata su più livelli, ma soltanto una progressione salariale basata sull’anzianità.

Nella scuola il problema è annoso

Questa situazione del comparto scuola è oggetto di molte critiche, provenienti da diversi interlocutori, in particolare da coloro che ritengono la scuola simile ad un’azienda che punta a raggiungere il massimo risultato nei confronti dei suoi “clienti”, anche grazie a una forte competizione tra le diverse istituzioni e all’interno di esse. Però le critiche relative alla mancanza di una vera e propria carriera degli insegnanti provengono pure da coloro che, indipendentemente dalla concezione che hanno dei metodi e dei fini della scuola, trovano ingiusto che gli insegnanti, che sono indubbiamente diversi tra loro quanto a impegno e capacità, vengano tutti trattati allo stesso modo.

La discussione sulla “carriera” è annosa, e da molto tempo si dibatte sulle caratteristiche che dovrebbe avere e sulle ragioni per cui non è stata realizzata fino ad ora. Occorre tuttavia dire che, allo stato attuale non vi sono grandi opposizioni (esplicite) all’introduzione di meccanismi di carriera diversi dalla sola anzianità.

Se ne parla da più venti anni…

Spesso si ritiene che a bloccare le soluzioni sulla carriera siano le organizzazioni sindacali. Oggi però nessuna organizzazione sindacale, almeno tra le maggiori, ha posizioni esplicitamente contrarie. Già, quasi 20 anni fa, nel documento sottoscritto nel 2004 al termine dei lavori di una commissione trilaterale Aran, Ministero, sindacati, si delineavano le prime linee guida per una carriera insegnante. Si prevedeva che dopo una certa anzianità di servizio la carriera potesse trovare un’accelerazione subordinata all’acquisizione di crediti formativi e/o professionali che valorizzassero ambiti fortemente significativi rispetto al lavoro docente. Tali crediti si potevano acquisire attraverso incarichi specifici previsti dal CCNL correlati agli ambiti dell’autonomia scolastica con un impegno temporale aggiuntivo all’insegnamento e con retribuzione aggiuntiva.

Il documento del 2004, che come si vede apriva ampiamente alla possibilità di creare meccanismi di carriera, è stato lasciato cadere lungamente nell’oblio, anche se recentemente è stato più volte richiamato alla memoria proprio dalle stesse organizzazioni sindacali. Ciò dimostra che non c’è un’opposizione di principio delle parti sociali; rivela, anzi, che misurarsi con i sindacati su questo tema stimolandoli a prendere posizione e a uscire da pigrizie e ambiguità sarebbe opportuno e necessario, sapendo però che, per riuscire nell’intento, non bastano le buone intenzioni e nemmeno le buone parole.

Le carriere in Europa

Cosa accade in Europa? Per capire il quadro complessivo c’è il Rapporto Eurydice che ogni anno racconta come funziona la scuola in Europa in base a una serie di indicatori. Sulla carriera il rapporto in questione ci dice che c’è una situazione molto variegata, con sistemi molto diversificati e corrispondenti ai diversi assetti strutturali che si sono venuti costruendo nel tempo nei vari paesi (la “storia” della scuola). In linea di massima è comunque possibile intravedere che i Paesi europei hanno percorso, grosso modo, due strade: quella della carriera multilivello e quella della carriera piatta, basata su progressioni per anzianità.

  • La carriera multilivello è presente soprattutto nei paesi dell’est, ma anche in Francia e Gran Bretagna.
  • La carriera piatta è prevalente nel centro Europa e nella zona mediterranea.

Le “mappe” del Rapporto Eurydice mostrano in maniera evidente che non esiste, però, una one best way della carriera in Europa.

Nella scuola italiana: una carriera piatta ma “inquieta”

Come si colloca l’Italia in questo contesto? Se volessimo definire la situazione italiana potremmo dire che l’Italia appartiene certamente al gruppo dei Paesi con “carriera piatta”, ma questa piattezza non è sinonimo di “situazione tranquilla”. Potremmo dire che in Italia vi è una situazione di carriera piatta ma inquieta e insoddisfatta. Da molti anni infatti non solo si discute del problema, ma si è arrivati anche ad ipotizzare diverse possibilità per svincolare lo stato giuridico dei docenti da una situazione in cui non vi è altra progressione se non quella per anzianità. Possiamo rapidamente ricordare le principali tappe di questi tentativi.

Tentativi diversi (falliti) da oltre 20 anni

Lasciando perdere le scelte che appartengono alla preistoria, cioè i concorsi per merito distinto, la vera storia di questi tentativi comincia nel 1999 con il concorsone di Berlinguer, che fu come è noto il tentativo di introdurre un aumento retributivo ulteriore rispetto a quelli per anzianità per coloro che avessero superato un concorso nazionale, composto da una prova scritta e una prova “in situazione”. Poi ci sono stati nel primo decennio di questo secolo diverse proposte di legge parlamentari (Aprea e altri) che hanno provato a disegnare una vera e propria carriera multilivello. Nello scorso decennio è intervenuta la legge 107/2015 con il bonus al bravo insegnante.

Sono tentativi diversi tra loro, alcuni rivolti a far creare una carriera vera e propria, altri soltanto a svellere la progressione retributiva dal ferreo collegamento alla sola anzianità, avendo comunque tutti in comune l’introduzione di elementi di diversificazione salariale.

Perché sono falliti? Ogni vicenda ha avuto una sua storia, ma se volessimo trovare un fattore comune, potremmo dire che è mancato, in tutti questi casi e sia pure con modalità diverse, un percorso di condivisione, una riflessione comune e la ricerca di strade gradualmente praticabili. E soprattutto perché, salvo il tentativo di Berlinguer, non si sono più messe risorse per rendere praticabile la creazione di una vera e propria carriera.

Le carriere nel pubblico impiego

Quali sono dunque le modalità attraverso cui si possono articolare le carriere nel pubblico impiego? Va detto in premessa che la scuola è un mondo speciale le cui caratteristiche non sono certamente assimilabili al lavoro impiegatizio, quindi anche qui si deve procedere con grande prudenza, stando ben attenti a non fare trasposizioni automatiche. Non bisogna tuttavia dimenticare che il lavoro pubblico è il riferimento naturale anche per la scuola.

Per aiutarci possiamo fare riferimento a due contratti recentissimi, stipulati proprio nei mesi scorsi, quello delle funzioni centrali e quello della sanità.

In entrambi i casi i contratti disegnano carriere multilivello, che nelle funzioni centrali si chiamano, a crescere, operatori, assistenti, funzionari, elevate professionalità. Ciascuno di questi quattro livelli corrisponde a funzioni identificate dal contratto, sempre più vaste, complesse e gerarchicamente ordinate man mano che si sale, e danno diritto, ovviamente, a uno stipendio più elevato. Inoltre, all’interno di ciascun livello vi è un’ulteriore progressione, cosiddetta “orizzontale” che fa aumentare lo stipendio a seguito della valutazione della prestazione lavorativa da parte del Dirigente ogni tre anni. Infine, al lavoratore possono essere attribuiti incarichi specifici, per svolgere singole missioni; anche questi incarichi, valutati e retribuiti, possono essere confermati o revocati dal Dirigente.

Livelli e responsabilità

Ai diversi livelli si può accedere dall’esterno con concorsi pubblici, ma, per il 50% dei posti a disposizione, anche dall’interno, con procedure comparative riservate al personale in servizio. Nel lavoro pubblico, insomma, vi sono ovunque carriere multilivello per il personale che:

a) corrispondono a diversi gradi di responsabilità e potere gerarchico;

b) richiedono diversi livelli di titolo di studio per l’accesso ai vari livelli.

Le progressioni di carriera avvengono, per il personale già in servizio, in base a tre criteri:

  1. la qualità del lavoro prestato nel triennio precedente: tale valutazione è individuale e effettuata dal dirigente. Questo requisito deve pesare almeno il 40 per cento nella definizione delle graduatorie delle procedure comparative;
  2. il numero e tipologia degli incarichi rivestiti nel triennio in precedenza;
  3. il possesso del titolo di studio previsto per l’accesso dall’esterno, anche se nel contratto è prevista un’eccezione per il periodo fino al 2024.

Caratteristiche comuni ai vari settori

Si può dire che ci sono (almeno) tre criteri che appaiono comuni un po’ a tutti settori.

  • Il primo è la verifica e valutazione della qualità della prestazione, e delle capacità dimostrate nello svolgimento delle funzioni alla quali si è preposti. Tale qualità viene, nella generalità dei casi, verificata e certificata periodicamente dai superiori gerarchici.
  • Il secondo è il numero e la qualità degli incarichi specifici eventualmente svolti durante la propria attività.
  • Il terzo riguarda i titoli acquisiti oltre a quelli richiesti per l’ingresso nella qualifica ricoperta, come ulteriori corsi di formazione, titoli di studio, pubblicazioni, eccetera.

Quanto e come questi criteri potrebbero essere “esportati”, per dir così, nel settore della docenza scolastica?

La valutazione della qualità delle prestazioni

Il primo criterio, la valutazione della qualità della prestazione, per la scuola è certamente l’aspetto più rilevante, ma anche quello più controverso. Come valutare la qualità dell’insegnamento?

Innanzitutto vanno definiti parametri attendibili e condivisi. Possono essere i risultati scolastici degli allievi? Le iniziative didattiche innovative? Il coinvolgimento e la capacità d’iniziativa e leadership nelle attività d’insegnamento che coinvolgono più docenti? L’aver frequentato con successo attività di formazione riuscendo ad applicare nell’attività didattica le migliori pratiche apprese?

E poi: chi dovrebbe verificare, e come, la qualità dell’insegnamento? Il dirigente scolastico? Un comitato di valutazione? In tal caso, come deve essere composto?

Anche presentando il problema in questa forma molto semplice si evidenziano i tanti nodi da sciogliere. Si è tuttavia dell’avviso che non sia impossibile giungere a soluzioni attendibili anche su questo terreno. Abbiamo bisogno di un’ampia e pacata, probabilmente non breve, discussione tra tutte le componenti del mondo scolastico e universitario, un esame non solo tecnico ma “politico” dei criteri utilizzabili nel contesto scolastico, evitando accuratamente interventi estemporanei dall’alto, come si è cercato di fare invece in numerose occasioni del passato.

Il numero e la qualità degli incarichi

Il secondo criterio (il numero e la qualità degli incarichi) trova terreno molto fertile nella scuola. L’autonomia richiede che ci siano incarichi di diversa natura, alcuni più collegati alla didattica, altri a compiti organizzativi, entrambi impegnano i docenti oltre l’orario di insegnamento e oltre le attività funzionali che variano a seconda delle scuole, anche per l’impegno orario. Un loro riordino, una migliore retribuzione, una formazione specifica e una valutazione dei risultati (che potrebbe essere compiuta ad esempio da un comitato eletto dal collegio dei docenti, in base a criteri predefiniti e condivisi) sarebbero certamente auspicabili al fine di renderli più appetibili e più funzionali al rafforzamento dell’autonomia. Un criterio attendibile per la costruzione di un percorso di carriera potrebbe riguardare il numero, la qualità e anche il successo nell’espletamento dell’incarico.

I titoli acquisiti

Il terzo criterio riguarda i titoli acquisiti. Alcuni titoli, quelli rilasciati dalle università, ulteriori lauree e master, non presentano problemi di valutazione. Più complicato è la valutazione delle attività di formazione in servizio, anche a causa dell’esistenza di un’offerta assai variegata. L’esistenza di un’autorità autonoma e qualificata preposta a validare la qualità delle offerte esistenti sul mercato è indubbiamente utile, ma non è sufficiente. Anzi potrebbe introdurre un modello centralizzato di governo del sistema della formazione. Sarebbe opportuno invece trovare un equilibrio tra le esigenze nazionali, l’autonomia delle istituzioni scolastiche e le scelte individuali.

E la legge 79/2022?

Negli articoli dedicati alla scuola della legge n. 79/2022 non si parla di carriera. Tuttavia si introduce un meccanismo selettivo di diversificazione salariale, come già proposto e tentato sia ai tempi del ministro Berlinguer sia dal governo Renzi.

Il meccanismo sembrerebbe basato su una gigantesca campagna formativa, organizzata e diretta dall’alto, finalizzata a formare una buona parte del corpo docente attraverso incentivi economici. Il deus ex machina dovrebbe essere l’istituenda Scuola di alta formazione alla quale dovrebbe spettare la responsabilità di definire i compiti dei corsi di formazione di durata triennale. Tali attività formative si svolgeranno al di fuori dell’orario di insegnamento e saranno retribuite a carico del fondo d’istituto. Al temine di queste attività triennali vi saranno delle verifiche e a coloro che le supereranno sarà attribuito un premio una tantum pari a una cifra tra un decimo e un ventesimo della retribuzione annua[2].

Un meccanismo che non costituisce carriera

Tale meccanismo non costituisce una carriera, ma si limita a erogare un premio una tantum seguendo il modello già sperimentato con la legge 107/2015. L’impressione che ne deriva è quella di una proposta non organica che affastella un po’ alla rinfusa materiali in larga misura tutt’altro che nuovi. Vi è certamente l’eco dei tanti dibattiti degli ultimi anni, del documento trilaterale del 2004, si parla di formazione, si parla di figure di sistema, ma tutto piuttosto casuale senza che sia possibile intravedere un disegno che effettivamente possa portare il sistema fuori dalle secche in cui si trova, e soprattutto avere qualche utilità per migliorare davvero la formazione e la condizione lavorativa dei docenti.

Risalta inoltre il fatto già sottolineato da molti, che non vi è nessun riferimento all’esigenza che la formazione in servizio vada diversamente calibrata in relazione al ciclo di vita professionale. Probabilmente a costruire l’impalcatura un po’ fragile contenuta nella legge 79/2022 ha contribuito in maniera decisiva il fatto di avere a disposizione risorse limitate: da qui, forse, la scelta del bonus una tantum come “premio” per la formazione, anziché modalità più stabili come, per esempio, l’anticipazione del gradone.

C’è poi anche una sgrammaticatura: la proposta normativa invade un terreno che la legge 165/2001 riserva in via esclusiva alla contrattazione collettiva, quello del salario. Di fatto la legge 79/2022 assegna alla contrattazione un ruolo piuttosto marginale. Da ultimo, va detto che il meccanismo previsto dalla Legge è diverso da quello disegnato dall’atto d’indirizzo per il rinnovo contrattuale il quale fa riferimento al documento del 2004, e quindi a un modello di vera e propria carriera articolata su diversi criteri, oltre a prevedere la possibilità di disciplinare le cosiddette “figure di sistema”.

Resta solo da vedere cosa accadrà in pratica, cioè nell’attuazione concreta a seguito dei futuri decreti applicativi.


[1] Questo articolo costituisce un abstract della relazione di Mario Ricciardi alla Summer School di Ischia, 24-27 luglio 2022.

[2] Vedi anche M. Spinosi, “Formazione incentivata e carriere. Quale futuro riserva la legge 79/2022 ai docenti”, in Scuola7-293, 18 Luglio 2022.