Un patto per le competenze a partire dall’Europa

Dal sistema integrato 0-6 alla filiera professionalizzante

L’intervento della Prof.ssa Formati, posto a cavallo tra le sfide lanciate dalla società alla scuola e le risposte che esse sono chiamate a dare in termini di ricerca e rinnovamento della propria offerta formativa ha fatto da cerniera con le tematiche affrontate nella seconda giornata della Summer School: «La seconda sfida: un patto per le competenze».

Sviluppare competenze per le nuove occupazioni

Autore di innumerevoli pubblicazioni sulla progettazione e valutazione della formazione professionale e orientativa, nonché consulente del Ministero su varie questioni relative a PCTO e all’istruzione professionale, Arduino Salatin nell’avvio del suo intervento sulla filiera professionalizzante ha allargato lo sguardo per comprendere i grandi fenomeni globali che caratterizzano la nostra epoca: la denatalità nei paesi occidentali; la globalizzazione e i flussi migratori; l’aumento delle diseguaglianze sociali e geografiche; la trasformazione digitale; i cambiamenti climatici e la necessità di uno sviluppo che pur soddisfacendo i bisogni del presente non comprometta la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri; l’urbanizzazione; la crisi dei sistemi politici e della rappresentanza (deficit democratico). Questi cambiamenti comportano necessariamente un forte impatto sui sistemi formativi.

Le nuove competenze

Pur nella diversità delle prospettive, sono molti gli studi che condividono la convinzione che bisogna procedere ad una radicale trasformazione dei curricoli:

  • l’OCSE-PISA 2018, con la sua proposta di competenze globali, in cui conoscenze, abilità, attitudini e valori sono applicati con successo a questioni globali o situazioni interculturali;
  • il rapporto UNESCO “Reimagining our Futures together: a new social contract for education”, del 10 novembre 2021, con la sua proposta di un nuovo contratto sociale per l’istruzione, che ricomponga le relazioni tra le persone, con il pianeta e con la tecnologia, e risani le ingiustizie passate, nella consapevolezza della comune appartenenza ad una comunità globale, interdipendente politicamente, economicamente, socialmente e culturalmente;
  • l’agenzia UE Cedefop (Centro Europeo per lo Sviluppo della Formazione Professionale), deputata alla definizione e all’attuazione delle politiche europee in materia di istruzione e formazione professionale (IFP), con il suo invito a perseguire una nuova educazione al lavoro che integri valori sociali, tratti personali e competenze,

Quali competenze per il mondo di domani

Le professioni tradizionali richiedono sempre più il digitale e si trasformano, mentre ne nascono di nuove (cfr. “Sistema informativo per l’occupazione e la formazione” Excesior, realizzato da Unioncamere, in collaborazione con il ministero del Lavoro, ANPAL e l’Unione Europea).

Nonostante l’evidente disallineamento tra l’ampiezza dell’arco temporale necessario a portare a termine il ciclo formativo di una persona e il ristretto orizzonte delle previsioni del mercato del lavoro, il report “Future of Jobs 2020” del World Economic Forum prevede che, per effetto delle trasformazioni richieste al mercato dallo sviluppo tecnologico, entro il 2025 la metà della forza lavoro dovrà necessariamente aggiornare le proprie competenze. Saranno necessari: pensiero analitico e innovazione; apprendimento attivo e strategie di apprendimento; capacità di risolvere problemi complessi; pensiero critico e capacità di analisi; creatività, originalità e spirito d’iniziativa; leadership e influenza sociale; uso di tecnologie, monitoraggio e controllo; progettazione e programmazione tecnologica; resilienza, gestione dello stress e flessibilità; ragionamento e ideazione.

L’offerta di istruzione e di formazione tecnica e professionale in Italia

La formazione tecnica e professionale in Italia resta frammentata tra un sistema a regia statale (Istruzione Tecnica ed Istruzione Professionale) e venti sistemi regionali di IeFP (Istruzione e Formazione Professionale, ovvero i Centri di Formazione Professionali), mentre la formazione tecnica e professionale superiore risulta articolata in un percorso terziario (Istruzione Tecnica Superiore, ITS) ed un percorso post-secondario (Istruzione e Formazione Tecnica Superiore, IFTS).

Questo sistema di offerta si è però dimostrato poco integrato e non in grado di ridurre il mismacht tra formazione e domanda di lavoro: dei circa 430.000 giovani diplomati alla secondaria di secondo grado, solo il 20/25% arriva alla laurea, mentre il 75/80% entra nel mondo del lavoro senza competenze professionali spendibili. Benché l’Italia sia la seconda manifattura d’Europa dopo la Germania, ci sono poco più di 20.000 giovani italiani in formazione terziaria professionalizzante, a fronte dei quasi 900.000 tedeschi e dei circa 250.000 francesi.

Il PNRR e il rilancio dell’Istruzione Tecnica e Professionale

Dopo un rapido sguardo alla filiera tecnico-professionale in Italia, il Prof. Salatin ha passato in rassegna gli interventi previsti in materia dal PNRR (missione 4), soffermandosi in particolare sulla riforma degli ITS (già oggetto di un suo approfondimento, La riforma del sistema degli ITS. Molte luci, ma anche alcune ombre, apparso sul numero 294 di «Scuola7» del 25 luglio 2022).

Nati nel 2010 (con la legge 2 aprile 2007, n. 40, art. 13) e articolati in sei aree tecnologiche con diversi sotto-indirizzi, hanno l’obiettivo di formare «quadri tecnici superiori». Incardinata su un istituto tecnico o professionale, la forma giuridica degli ITS è quella della «Fondazione di partecipazione», cui possono partecipare agenzie o centri di formazione accreditati dalle Regioni, Università, aziende e associazioni di categoria, centri di ricerca ed enti locali.

La loro regolamentazione generale (la definizione degli standard) spetta al Ministero dell’istruzione, mentre la programmazione a livello territoriale è in capo alle Regioni, in quanto competenti in materia di formazione professionale.

Attualmente le Fondazioni ITS sono 120, distribuite su tutto il territorio nazionale, con circa 8.000 iscritti, ma solo poco più di 3.500 diplomati all’anno, nonostante risultati occupazionali molto lusinghieri (il tasso di occupazione dei diplomati è superiore in media all’80%).

La Riforma degli ITS

Il PNRR prevede per gli ITS un investimento fino a 1,5 miliardi di euro con due obiettivi:

  • avviare una riforma ordinamentale, in rapporto sia ai sistemi di formazione e istruzione tecnica, sia alla formazione terziaria universitaria,
  • arrivare ad almeno 18.000 iscritti l’anno.

Il 12 luglio 2022 la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il disegno di legge (L. 15 luglio 2022, n. 99) sul nuovo sistema degli Istituti tecnici superiori.

Le principali novità sono rappresentate da:

  • il cambiamento del nome: da Istituti Tecnici Superiori, a Istituti Tecnologici Superiori (ITS Academy);
  • l’introduzione di due differenti articolazioni (biennale e triennale), con differenti criteri di accesso e con due diversi titoli in uscita (rispettivamente di livello 5 e 6 EQF);
  • la ridefinizione del monte ore, con una durata dei percorsi, strutturati in semestri, rispettivamente di 1800 ore per i biennali e di 3000 ore per i triennali;
  • l’aumento delle ore di stage obbligatorio dal 30% al 35% del monte ore complessivo;
  • l’incremento della dotazione per il funzionamento degli ITS Academy dai precedenti 14 a quasi 50 milioni annui.

Le questioni aperte

Tra le questioni ancora da definire, e per le quali la L. 99/2022 rinvia a ben diciassette decreti attuativi da approvare entro il 2022, di particolare delicatezza sono:

  • il rapporto tra ITS Academy e il sistema universitario (Atenei e AFAM), soprattutto per quanto riguarda il riconoscimento dei crediti formativi;
  • il rapporto tra lo Stato e le Regioni, cui sono riservate la competenza esclusiva nel campo della formazione professionale e la programmazione dei percorsi ITS a livello territoriale;
  • i meccanismi di governance, e in particolare il ruolo delle imprese, anche collegato a nuove forme di partecipazione al finanziamento dei percorsi;
  • il sistema di monitoraggio e valutazione dei percorsi e degli esiti, finora affidato all’Indire, con le relative premialità che hanno caratterizzato i meccanismi di finanziamento dei percorsi, ma che hanno sollevato anche in questi anni – da parte delle Fondazioni – non poche questioni di equità e di gestibilità.

Il ruolo delle scuole secondarie di secondo grado nella riforma degli ITS

In conclusione, il Prof. Salatin ha sottolineato come nella riforma degli ITS il sistema di istruzione (e quello della formazione professionale) abbia un ruolo decisivo, in quanto fornisce loro la principale risorsa umana, gli studenti.

In questa prospettiva, grande attenzione dovrà essere posta alle attività di orientamento (per il quale è prevista un’altra delle riforme del PNRR), in modo da mettere i giovani che lo desiderano nelle migliori condizioni di accesso alla nuova offerta formativa, lavorando in rete col sistema delle imprese, a partire dagli «eco-sistemi produttivi e formativi territoriali».

Le scuole potranno, dal canto loro, beneficiare di numerosi ritorni sia in termini di know how tecnologico che di innovazione metodologica, coinvolgendo eventualmente gli studenti degli ITS nei percorsi quinquennali di studio (peer learning).

Quale governance per il futuro del Sistema integrato 0-6

All’intervento del Prof. Salatin ha fatto seguito l’intervento di Loretta Lega, Presidente dell’associazione di promozione sociale “Centro studi Giancarlo Cerini” e da sempre attenta alle problematiche dell’educazione rivolta ai bambini di più tenera età, che si è interrogata sulla governance necessaria a dare piena attuazione al neo-istituito «Sistema educativo integrato “zerosei”», di cui ha ripercorso la storia più recente. La trattazione ha preso avvio dalla Raccomandazione della Commissione UE del 20 febbraio 2013, «Investire nell’infanzia per spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale», per analizzare il D.lgs. 13 aprile 2017, n. 65  («Istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera e), della legge 13 luglio 2015, n. 107»), giungendo alla Raccomandazione del Consiglio UE del 22 maggio 2019 relativa ai sistemi di educazione e cura di alta qualità della prima infanzia e al riconoscimento della formazione della persona fin dai primi anni di vita come strumento di contrasto alla povertà educativa ed alla dispersione scolastica.

La complessità del Sistema integrato 0-6

Il Sistema di educazione e di istruzione per le bambine e per i bambini in età compresa dalla nascita fino ai sei anni rappresenta una realtà complessa che integra servizi educativi per l’infanzia (nidi e micronidi per bambini da tre a trentasei mesi; sezioni primavera, per bambini da ventiquattro a trentasei mesi; servizi integrativi che concorrono all’educazione e alla cura dei bambini, distinti a loro volta in spazi gioco, centri per bambini e famiglie e servizi educativi in contesto domiciliare) e scuole dell’infanzia statali e paritarie.

La natura composita del Sistema esige il coordinamento, l’integrazione, e la sinergia di molti soggetti pubblici e privati e necessita di una altrettanto complessa governance cui concorrono Stato, con compiti di indirizzo, coordinamento e promozione, Regioni, con compiti di programmazione, monitoraggio e cofinanziamento, ed Enti locali, con compiti di gestione dei servizi educativi per l’infanzia e di promozione della qualità.

Gli interventi da portare a compimento

Con competenze diverse e complementari tutti e tre i livelli di governance (Stato, Regioni ed Enti locali) concorrono alla realizzazione di alcuni interventi strategici per la costruzione del sistema integrato, già individuati dal D.lgs. 65/2017: il coordinamento pedagogico (insegnanti particolarmente qualificati cui, con l’introduzione dell’organico potenziato, le istituzioni scolastiche statali singole e in rete possono affidare compiti organizzativi e di coordinamento) e il coordinamento pedagogico territoriale (con funzioni di orientamento pedagogico, sostegno allo sviluppo della rete  delle strutture 0-6, progettazione della formazione continua in servizio del personale, promozione di ricerche di  innovazione organizzativa,  educativa e didattica, consulenza e supervisione  professionale), la formazione in servizio di tutto il personale (gli studi di settore hanno individuato alcune caratteristiche  proprie degli educatori/insegnanti, sintetizzate nelle vocative immagini dell’adulto accogliente, dell’adulto incoraggiante, dell’adulto “regista”, dell’adulto responsabile, dell’adulto partecipe), l’estensione dei Poli per l’infanzia (strutture educative di diverso tipo, come servizi educativi di diversa tipologia e sezioni di scuola per l’infanzia in una stessa struttura edilizia o in aree vicine), il consolidamento e il potenziamento delle sezioni primavera (che in alternativa all’iscrizione anticipata alla scuola dell’infanzia, offrono ai bambini da ventiquattro a trentasei mesi d’età un progetto educativo ad hoc).

Sulla implementazione di questi processi, non ancora giunti a piena maturazione, si gioca il destino del nostro paese: come infatti sottolineato nelle conclusioni delle «Linee pedagogiche per il sistema integrato “zerosei”», adottate con il DM 22 novembre 2021, n. 334, «l’educazione e cura dell’infanzia nella fase precedente all’istruzione primaria sono sempre più riconosciute dai Paesi europei come essenziali per fornire le basi per l’apprendimento permanente e lo sviluppo dei bambini».

L’attenzione alle questioni ambientali

Il susseguirsi incessante, da ormai due mesi a questa parte, di giornate torride rende anche i più scettici pronti a credere che quello dal 2010 al 2019 sia stato il decennio più caldo registrato fino ad ora, che dei venti anni più caldi mai rilevati, diciannove appartengano al terzo millennio, che il 2020 sia stato per l’Europa l’anno più caldo di cui si abbia notizia.

Il cambiamento climatico in atto già sta producendo perdite della biodiversità, incendi boschivi, diminuzione dei raccolti e aumento delle temperature. Un ulteriore aumento delle temperature potrebbe avere conseguenze catastrofiche e pericolosissime.

Le modifiche costituzionali

Questa consapevolezza ha contribuito a far diffondere una sempre maggiore attenzione alle questioni ambientali in Italia: lo scorso 11 febbraio 2022, con la Legge Costituzionale, n. 1, all’articolo 9 della Costituzione è stato aggiunto, in fine, il seguente comma: la Repubblica «tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali». Analogamente, l’articolo 41 della Costituzione è stato così modificato: «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali» (in corsivo le modifiche).

Documenti europei per la transizione e la sostenibilità

Dalla presa d’atto dei gravi danni che l’uomo sta infliggendo con la sua azione alla natura, derivano anche i numerosi documenti con cui l’UE impegna gli Stati membri a ridurre progressivamente le emissioni di gas serra, con l’obiettivo di giungere ad almeno il 55% di riduzione entro il 2030 e alla neutralità climatica entro il 2050.

Su questi temi e sugli impegni cui sono chiamate le scuole, si è incentrato il terzo intervento della giornata di lunedì 25 luglio, nel corso del quale il Dirigente Tecnico Biancarosa Iovine ha presentato alla platea quattro documenti europei che postulano con gran forza la transizione ecologica e affidano all’istruzione il compito di supportarla: il «Green Deal», l’Istituzione di uno spazio europeo per l’Istruzione, il «Green Comp» del 2022 e la Raccomandazione del 16 giugno 2020.

Il «Green Deal»

Il «Green Deal Europeo», o «Patto Verde», è la Comunicazione che l’11 dicembre 2019 la Commissione ha indirizzato al Parlamento Europeo, al Consiglio Europeo, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni per disegnare una «nuova strategia di crescita mirata a trasformare l’UE in una società giusta e prospera, dotata di un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva che nel 2050 non genererà emissioni nette di gas a effetto serra e in cui la crescita economica sarà dissociata dall’uso delle risorse». Poiché tale transizione deve essere tuttavia «giusta e inclusiva» e «deve mettere al primo posto le persone e dedicare particolare attenzione alle regioni, alle industrie e ai lavoratori che dovranno affrontare i problemi maggiori, […] la partecipazione attiva dei cittadini e la fiducia nella transizione sono fondamentali affinché le politiche possano funzionare e siano accettate». Da qui la necessità di «un nuovo patto che riunisca i cittadini, con tutte le loro diversità, le autorità nazionali, regionali, locali, la società civile e l’industria, in stretta collaborazione con le istituzioni e gli organi consultivi dell’UE».

Nella consapevolezza che le scuole si trovano in una condizione privilegiata per intraprendere con gli alunni, i genitori e la comunità tutta un dialogo sui cambiamenti necessari per il successo della transizione, la Commissione preannunciava «un quadro europeo delle competenze che aiuti a coltivare e valutare conoscenze, abilità e attitudini connesse ai cambiamenti climatici e allo sviluppo sostenibile» (Punto 2.2.4. Fare leva sull’istruzione e la formazione).

Lo spazio europeo dell’istruzione da realizzare entro il 2025

Il 30 settembre 2020, la Commissione indirizzava una nuova comunicazione al Parlamento Europeo, al Consiglio Europeo, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, sulla «realizzazione dello spazio europeo dell’istruzione entro il 2025».

La comunicazione definisce i mezzi e le tappe per la realizzazione dello spazio europeo dell’istruzione entro il 2025, con il sostegno del piano europeo di ripresa (NextGenerationEU) e del programma Erasmus+. Tale spazio si articola in sei dimensioni: qualità, inclusione e parità di genere, transizioni verde e digitale, insegnanti, istruzione superiore e un’Europa più forte nel mondo.

In merito alla terza dimensione, la comunicazione sottolinea che le politiche e gli investimenti in materia di istruzione e formazione orientati alla transizione verde rappresentino una delle chiavi principali per la futura resilienza e prosperità dell’Europa.

La transizione verso un’economia circolare, climaticamente neutra e sostenibile dal punto di vista ambientale potrebbe avere un alto impatto sociale e occupazionale, ma va supportata dall’istruzione: vanno cambiati i comportamenti; vanno rafforzate le competenze per aumentare il numero di professionisti che operano a favore di un’economia climaticamente neutra ed efficiente sotto il profilo delle risorse;  vanno integrate le prospettive di sostenibilità ambientale nelle scienze naturali e umane; vanno aiutate le persone «ad acquisire le conoscenze, le capacità, i valori e gli atteggiamenti necessari per vivere, sviluppare e appoggiare una società e un’economia sostenibili ed efficienti sotto il profilo delle risorse» (Punto 3.3: Sostenere le transizioni verde e digitale nell’istruzione e nella formazione e mediante queste)

La Raccomandazione sull’apprendimento per la transizione verde

Il Consiglio UE, riunitosi il 16 giugno 2022, ha adottato una raccomandazione relativa all’apprendimento per la transizione verde e lo sviluppo sostenibile. Si tratta di un documento politico che sottolinea il ruolo fondamentale dell’istruzione e della formazione per il raggiungimento degli obiettivi del «Green Deal». L’apprendimento per la transizione verde e lo sviluppo sostenibile deve guidare i discenti di tutte le età ad acquisire le conoscenze, le competenze e gli atteggiamenti necessari per vivere in modo più sostenibile, modificando i tradizionali modelli di consumo e di produzione e abbracciando stili di vita più sani, così da contribuire, individualmente e collettivamente, a un’economia e una società più sostenibili. Nel contempo si devono sviluppare le abilità e le competenze sempre più necessarie nel mercato del lavoro.

Il GreenComp

Il Centro comune di ricerca (JRC, dall’ inglese: Joint Research Centre) è una direzione generale della Commissione europea, che fornisce un sostegno scientifico interno alla Commissione Europea. Nel gennaio 2022, mentre il Consiglio adottava la proposta di raccomandazione della Commissione relativa all’apprendimento per la sostenibilità ambientale, il JRC pubblicava il «Green Comp», un quadro europeo di competenze sulla sostenibilità ambientale per l’apprendimento permanente. Lo sviluppo di un quadro europeo delle competenze in materia di sostenibilità è una delle azioni politiche stabilite nel Green Deal europeo come catalizzatore per promuovere l’apprendimento sulla sostenibilità ambientale nell’Unione europea. Articolato in dodici competenze, divise in quattro aree di competenze interconnesse (“Fare propri i valori di sostenibilità”, “Cogliere a fondo la complessità nella sostenibilità”; “Prevedere un futuro sostenibile”: “Agire per la sostenibilità”), il «Green Comp» non vuole avere un carattere prescrittivo, ma offrire uno strumento di cui avvalersi per la progettazione didattica in qualsiasi contesto di apprendimento, formale, non formale e informale. Una sorta di manuale per professionisti, in cui sono raccolti esempi pertinenti e buone pratiche, frutto dell’esame della letteratura scientifica e della consultazione di 75 esperti e portatori d’interesse di tutta l’Europa, intervenuti nei diversi livelli dell’elaborazione.