Riforme che servono alla scuola

Tra realtà e futuribile

Anche quest’anno, nei giorni 24-27 luglio 2022, si è rinnovata nella splendida cornice dell’isola di Ischia l’ormai consueto appuntamento della Summer School della Tecnodid Editrice.

Quando ormai oltre venti anni fa si decise di dar vita alla prima esperienza della Summer School ischitana, la scelta di collocare l’iniziativa nella seconda metà di luglio non fu frutto del caso. A cavallo tra la fine di un anno scolastico e l’inizio dell’altro, la tradizionale “quattro giornate” è nata grazie ad un gruppo di “amici” della Tecnodid, accomunati dall’interesse a vario titolo e in vari campi per l’istruzione, che volevano dare sostanza ed evidenza ai loro otia estivi provando a tirare le somme di un anno di lavoro e a riflettere sui possibili scenari futuri.

Pensieri da condividere

Gli obiettivi del gruppo ristretto prendono ulteriore forma nel momento in cui si decide di allargare la condivisione.

I temi posti in discussione nel meeting ischitano sono individuati non solo perché reclamano attenzione per la loro attualità normativa e sociale, ma anche perché, letti all’interno di un panorama che spesso supera i confini nazionali, consentono di intravedere politiche strategiche sia di medio che di lungo termine.

Il titolo della Summer School di quest’anno, “Le sfide per garantire una transizione ecologica e culturale”, è da questo punto di vista quanto mai significativo.

La Transizione ecologica e culturale al centro della Summer School 2022

Secondo il Vocabolario Treccani, l’espressione “transizione ecologica” rimanda a quel «processo tramite il quale le società umane si relazionano con l’ambiente fisico, puntando a relazioni più equilibrate e armoniose nell’ambito degli ecosistemi locali e globali».

In un’accezione più limitata e concreta, la locuzione è adoperata per indicare la riconversione tecnologica necessaria a trasformare un sistema produttivo intensivo e non sostenibile dal punto di vista dell’impiego delle risorse, in un modello che invece si caratterizza per sostenibilità ambientale, sociale ed economica.

La conversione del sistema produttivo non può tuttavia essere disgiunta da una presa di coscienza della necessità di un nuovo modo di vivere il pianeta, della improcrastinabilità di un nuovo modello di società in cui l’attività antropica sia in equilibrio con la natura.

Alla transizione ecologica deve, quindi, necessariamente accompagnarsi una transizione culturale.

Le sfide della scuola

All’interno di questi processi epocali, un ruolo da protagonista è riservato all’istruzione, che ha il compito di educare i propri allievi al cambiamento, guidandoli nell’acquisizione di un nuovo stile di vita, caratterizzato da una maggiore consapevolezza alimentare, una rinnovata idea di salute e di benessere, un più sorvegliato uso dell’energia, ricavata da fonti energetiche alternative e rinnovabili, un consumo responsabile, e più in generale un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre.

Per dirla con le parole usate dal Ministro Bianchi nell’atto di indirizzo politico per l’anno 2022, allegato al DM 15 settembre 2021, n. 281, «è fondamentale introdurre e rendere strutturali nelle scuole di ogni ordine e grado iniziative formative per l’educazione allo sviluppo sostenibile, quale condizione indispensabile per sostenere la transizione ecologica del Paese».

Come Maria Teresa Stancarone ha ben chiarito nel suo intervento di apertura dei lavori, dalla convinzione della valenza strategica assunta dall’istruzione nel processo di ripresa e di crescita del nostro Paese, è nata l’idea di chiamare i partecipanti alla Summer School 2022 a riflettere sulle «sfide per garantire una transizione ecologica e culturale» e sugli impegni cui esse chiamano decisori politici e figure professionali della scuola (docenti, dirigenti scolastici e dirigenti tecnici).

La prima sfida: le riforme che servono alla scuola

Sulla prima sfida, nella giornata del 24 luglio, si sono interrogati, da diversi punti di vista e con differente approccio professionale, Sergio Auriemma, Presidente onorario della Corte dei conti e firma storica della Tecnodid, e Ornella Formati, architetto designer e docente dell’Accademia di Belle Arti.

Cosa serve per le riforme future

Sergio Auriemma ha cercato di delineare, con pennellate rapsodiche, il complesso quadro della riforma della scuola, dai contorni ancora sfumati e dal destino ora quanto mai incerto, che il PNRR ha sollecitato e accelerato e che si va a sovrapporre al riordino dell’istruzione secondaria di secondo grado intrapreso con il ministero della Gelmini (2010-2013) e alle molte novità introdotte dalla Buona scuola del Governo Renzi (2015-2017) non ancora pienamente metabolizzate.

Il piano degli interventi riformatori attualmente in corso si è mosso lungo le linee programmatiche presentate poco più di un anno fa dal Ministro Bianchi alla Camera dei Deputati, presso le Commissioni VII (Cultura e Istruzione) riunite della Camera e del Senato (“La scuola motore del Paese”, 4 maggio 2022) e ribadite più di recente dall’“Atto di indirizzo politico-istituzionale per l’anno 2022”, Allegato del DM 15 settembre 2021, n. 281.

In particolare, le ultimissime settimane, con l’approvazione definitiva della Legge 29 giugno 2022, n. 79 di conversione del decreto-legge 30 aprile 2022, n. 36 (“Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”), hanno visto varare una radicale riforma del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria disegnata dal D.lgs. 13 aprile 2017, n. 59, nell’ambito di un più ampio ripensamento delle politiche per la formazione, il reclutamento e la valorizzazione del personale scolastico, che vuole gettare le basi di un nuovo modello di Scuola.

Le dimissioni del Governo Draghi e il percorso delle riforme

Le dimissioni rassegnate dal Capo di Governo il 20 luglio e il successivo scioglimento delle Camere hanno tuttavia reso incerto il futuro di una riforma che già era viziata da una possibile invasione di campo che l’art. 2 del D.lgs. 165/2001 riserva alla contrattazione collettiva.

Inoltre, i tempi tecnici richiesti per l’insediamento del prossimo parlamento e la necessità di evitare l’esercizio provvisorio con l’approvazione del complesso e articolato pacchetto di norme di cui si sostanzierà la manovra di bilancio per il 2023, dovrebbero consentire al nuovo esecutivo di affrontare le questioni di minore urgenza non prima di gennaio 2023.

Come tuttavia immediatamente chiarito dal Quirinale, il governo Draghi, anche se dimissionario, «rimane in carica per il disbrigo degli affari correnti» (Comunicazione del 21 luglio 2022 letta dal segretario generale della Presidenza della Repubblica Ugo Zampetti), e, per quanto limitato nella sua attività, «dispone comunque di strumenti per intervenire sulle esigenze presenti e su quelle che si presenteranno» (Dichiarazione del Presidente Mattarella dopo la firma del decreto di scioglimento delle Camere, 21/07/2022), fino all’insediamento del Governo determinato dal voto degli elettori del 25 settembre.

Le direttive di Draghi ai Ministri

Nella mancanza di una interpretazione univoca dei poteri di un Governo dimissionario da parte della dottrina costituzionalistica, anche Mario Draghi, come molti dei Presidenti del Consiglio dimissionari hanno fatto a partire dagli anni Ottanta, ha indirizzato, nella stessa serata del 21 luglio, una nota ai Ministri, Vice-Ministri e Sottosegretari del Governo (prot. n. 6090), con cui ha inteso delimitare il campo degli “affari correnti”. Il Governo può adottare tutti gli «atti urgenti, […] legislativi, regolamentari e amministrativi necessari per fronteggiare le emergenze nazionali, le emergenze derivanti dalla crisi internazionale e la situazione epidemiologica da Covid-19», nonché quelli funzionali all’adozione «del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e del Piano nazionale per gli investimenti complementari (PNC)»

L’auspicio di Sergio Auriemma è che, in qualsiasi caso, se i previsti concorsi per il personale dirigenziale della scuola si svolgeranno, sia posto un freno al ricorso massivo a quiz spesso non correttamente ideati e validati.

Le innovazioni per riscrivere il futuro della scuola

Con Ornella Formati si è discusso sulla necessità che una scuola che voglia essere all’altezza delle nuove sfide cui il Sistema Italia è chiamato, non può non ricercare strade sempre nuove per giungere al proprio obiettivo: accrescere il numero di coloro che dispongono delle competenze necessarie per concorrere allo sviluppo e alla crescita del Paese.

I rapidi e vasti cambiamenti in atto nella società reclamano da parte delle scuole, prima ancora dell’adozione di nuovi strumenti tecnologici e di modifiche e aggiornamenti del curricolo, una presa d’atto della necessità di un cambiamento culturale non più rinviabile.

L’innovazione educativa deve fornire a tutti gli studenti abilità e competenze che li mettano in grado di muoversi in un mondo sempre più caratterizzato dall’incessante rinnovamento dei saperi scientifici e tecnici, soprattutto in ambito informatico e digitale, a partire dalla globalizzazione delle relazioni, dall’interculturalità e dalle trasformazioni dei comportamenti sociali, ma che soprattutto ha bisogno di trovare un nuovo, stabile e più rispettoso equilibrio tra l’attività antropica e la natura.

Il Design Thinking

In questa ricerca di innovazione, un solido contributo può derivare alle scuole dall’adozione del Design Thinking.

È nato negli anni Novanta del secolo scorso in California, con l’intento di formare e fornire al mondo delle imprese professionisti in grado di produrre soluzioni innovative per prodotti e servizi. Il Design Thinking è parte integrante della cultura della trasformazione digitale, poggia le sue fondamenta sulla capacità di risolvere problemi complessi, utilizzando una visione e una gestione creativa, che mettono al centro l’uomo con i suoi bisogni e le sue necessità.

Questo approccio all’innovazione si articola in cinque fasi, non necessariamente consequenziali: empatizzare, ovvero comprendere i bisogni degli altri; definire, ovvero sintetizzare i risultati della ricerca empatica e individuare i bisogni che è importante soddisfare e che richiedano innovazione; ideare, ovvero generare spunti e idee creative e alternative, in totale libertà di pensiero; prototipare, ovvero costruire un prototipo sperimentale, ma reale e concreto dell’idea selezionata; testare, ovvero valutare se il modello sperimentale sia corrispondente alle esigenze.

Il Design Thinking va a scuola

In breve, il Design Thinking mette le persone al centro, perché l’intero processo è messo in moto dai loro bisogni, anche se inespressi; incentiva la creatività, perché invita a osservare i problemi da più punti di vista, senza privilegiarne nessuno in maniera preconcetta; stimola l’operatività, in quanto riduce i confronti verbali al minimo e incoraggia il “pensare con le mani”; insegna ad apprendere dall’esperienza e a imparare dai propri errori; sollecita il pensiero critico; spinge alla comunicazione; sprona alla condivisione; favorisce una maggiore attenzione alle problematiche sociali; prepara alle nuove professioni; promuove l’autoapprendimento.

Date queste premesse, è evidente che il passaggio del “design thinking” dal mondo aziendale a quello dell’istruzione, per quanto vada opportunamente preparato e sorvegliato dal docente, non è difficile e promette di essere gravido di conseguenze positive, come del resto ha assicurato ai convegnisti, anche sulla scorta delle proprie numerose e varie esperienze, la Prof.ssa Ornella Formati.

Il Design Thinking a scuola può dare infatti ottimi risultati nel campo dell’apprendimento attivo, specie per le STEM, non solo sviluppando e promuovendo l’empatia e insegnando il lavoro di gruppo, ma stimolando il protagonismo degli studenti e con esso il pensiero creativo e divergente.

Inoltre il ricorso al “Design Thinking” aiuta a superare i confini tra i diversi insegnamenti, favorendo l’interdisciplinarietà, e apre l’aula all’interscambio con il mondo esterno, avvicinando la scuola al territorio, anche in chiave di sviluppo delle competenze di cittadinanza attiva.

Il Design Thinking può infine essere un’ottima palestra per allenare i discenti a ricercare soluzioni – prodotti o, ancor di più, servizi – che siano rispettosi dell’ambiente ed ecologicamente sostenibili.