E se ascoltassimo i nostri ragazzi…

Le risposte che servono per migliorare la scuola

Ministri, sottosegretari, sindacalisti, pedagogisti, politici, dirigenti del Ministero, dirigenti scolastici, insegnanti e tanti genitori elencano le cose che servono alla Scuola… ma qualcuno ascolta veramente i bambini e i ragazzi?

Se un giorno un novello Noè…

Finalmente è ritornato il sole! Il clima resterà così per almeno due secoli, Temperature oscillanti tra i 19-20 gradi notturni e i 26-29 gradi diurni. Piogge legate al naturale ciclo dell’acqua a seconda delle lievi perturbazioni e cali di temperature nei vari mesi dell’anno.

Noè e la sua compagna Naama sono pronti a partire con tante barche a vela per il “Viaggio nel Mondo della Conoscenza” portando con loro migliaia di bambini e bambine, ragazzi e ragazze fino ai 22 anni.

Mari, coste, tradizioni, costumi, lingue e linguaggi, invenzioni e scoperte viaggiando attraverso il mare dal Tirreno al Mediterraneo ed oltre le colonne d’Ercole…

Sta accadendo la stessa cosa in Norvegia e in Canada, in Giappone e in Marocco, in Brasile e in Vietnam… praticamente ovunque.

E la scuola? Lo tsunami dell’era che verrà!

Assembramento e mobilitazione a viale Trastevere… Chiude il Ministero dell’Istruzione, chiudono gli Uffici scolastici regionali, chiudono gli uffici degli ambiti territoriali. Gli edifici scolastici verranno riconvertiti per utili attività a vantaggio delle famiglie, dei disabili, degli anziani e anche dei collezionisti, soprattutto per i dispensatori di sorrisi.

Senza bambini, ragazzi e giovani si tratterà di riconvertire almeno un milione di lavoratori! I sindacalisti siedono scioccati ovunque, sulle scale degli uffici ministeriali, ai piedi dei monumenti romani.

Per i bambini e per i ragazzi sembra l’inizio di una lunga primavera. Per i più grandi, gli adulti, inizia invece un rigido inverno ben oltre gli autunni caldi delle storiche proteste degli anni passati. Come si farà?

Buongiorno, ehi io sono qui…

“Buongiorno! Ehi, io sono qui!”. Massimiliano, quattro anni, appena sceso dalla moto del papà entra nel cortile della scuola e, vedendo Maria Luisa, allegra ed ospitale collaboratrice scolastica, si lancia incontro per essere accolto da un grande abbraccio inclusivo.

  • “Buon anno Massimiliano”.
  • “Buon anno scolastico Maria Luisa”.
  • “Quanta energia! sei diventato più bello”.
  • “Anche tu Maria Luisa”.
  • “Adesso devi fare il bravo”.
  • “Io sono già bravo, spero che anche le mie maestre siano diventate più brave”.

Massimiliano viene richiamato da Giada, Umberto, Camilla e Salvatore. Intanto Maria Luisa richiama Luigi e Antonio che devono sistemarsi ai cancelli per evitare che i genitori irrompano dentro la scuola.

Carla (maestra vicaria) guarda nervosamente l’ora sul suo smartphone. La dirigente fa l’ultima verifica davanti allo specchio posto all’angolo morbido del corridoio della scuola dell’infanzia.

Ecco le cartelline colorate, le centinaia di maglie bianche con la striscia arcobaleno con su scritto PACE, gli sguardi attoniti dei papà, gli sguardi preoccupati, accesi e i baci mimati di mamme, nonne, zie e tante estranee che sono lì solo per partecipare all’ennesima festa della loro vita…

Poi… il discorso al microfono… l’inno nazionale conosciuto e cantato soprattutto dai bambini con la manina sul petto, e finalmente… il suono della campanella.

L’apparente organizzazione e perfezione si sgretola di fronte allo slancio, decisamente ingenuo, di tante bambine e bambini che, come una lunga onda azzurra ed arcobaleno, svicola tra gli adulti, si allunga e corre nei vari corridoi, sale le scale, raggiunge le aule.

Cosa serve ai bambini

Quanto entusiasmo. Quante attese. C’è la sensazione di ascoltare le loro voci, di leggere i loro sguardi, di carpirne i piccoli ingenui segreti: il ritrovarsi insieme, Lucia, Salvatore, Valerio, Anna, Vittorio, Nunzia, quelli dell’infanzia e quelli dell’anno scorso, quelli che ci sono quando sei un po’ giù e quelli che già sai che ci saranno sempre… “i compagni e le compagne di scuola”.

Se i bambini potessero dire la loro opinione ci direbbero, probabilmente, che insieme si sta bene, che è bello imparare insieme ai compagni, vivere insieme, crescere insieme, affrontare le cose insieme. Loro, i bambini, neppure sanno cos’è la classe capovolta, il team learning, la didattica per concetti. Sono come le onde del mare e il volo degli usignoli, sentono i bisogni secondari come se fossero primari. Senza indugio, cercano di correre verso la punta della Piramide dell’“Autorealizzazione” (Abraham Maslow). Loro puntano al silenzio, non è vero che prediligono il rumore. Preferiscono la concentrazione alla distrazione continua.

Se potessero scegliere vorrebbero vivere i loro compleanni in una bella pianura dove correre e saltare piuttosto che stare chiusi in un colorato garage con un animatore che grida e fa finta di divertirsi ripetendo lo stesso rituale con palloncini, cuori gonfiati e musiche assordanti.

A volte (o, meglio, sempre) basterebbe osservarli e lasciarli fare. A volte basterebbe raccontare storie sugli antichi Egiziani o sulle strane regole della tabella pitagorica o vivere tutti insieme la magia del congiuntivo e del condizionale.

Se si potesse giocare imparando e si potesse imparare giocando altro che feste in un garage!

Cosa serve ai ragazzi

I bambini col tempo diventano più grandi. La gran parte di essi diventa responsabile, nonostante molti adulti ancora adolescenti ed insicuri con la perenne paura di invecchiare. Li guardiamo mentre concentrati entrano ed escono dalle scuole secondarie di primo grado, le città non offrono molto. Ma loro hanno bisogno di aggregarsi: è la strada verso l’adolescenza. Si sentono forti se stanno insieme, se scelgono tutti magliette grigie e nere. È un modo per affrontare la parte dell’impersonalità che li attraverserà per molti anni, prima di riconoscersi nel loro corpo.

Eppure il drone che riusciamo ad intrufolare tra loro ci rivela “misteri sconosciuti” a tanti di noi. I genitori più dignitosi e severi vorrebbero un limite al loro chiedere tutto.

Loro sanno di essere ancora piccoli (ragazzini ma non più bambini), un po’ capricciosi (ma allora dammelo un limite, dimmelo un «no!»).

Sanno di essere apparentemente insicuri, ma se tu dici agli altri di non essere incivile e poi strilli al semaforo… come faccio io a dodici anni a sentirmi tranquillo?

I binari, ecco cosa chiedono i ragazzi: binari con tanti scambi, salite e discese, con lunghe rettilinee e curve difficili; uno, due, mille percorsi in cui ciascuno possa far camminare con le proprie forze ed i propri desideri “il treno del proprio sé” il cui motore cambia ritmo e gioia, forza e velocità anche tre volte al giorno.

Una didattica larga, intelligente, proposte articolate in un recinto sicuro con poche regole e tanti spazi per ricercare e spaziare. Vivere e costruire letture e scritti di senso attraverso i versi delle poesie di Leopardi o saltellare tra le regole di grammatiche italiana, tedesca, inglese, spagnola per imparare frasi ad effetto incontrando un amico o un turista.

Avere rompicapi tra le mille possibilità di misurare, confrontare, pesare, ipotizzare per poi gioire insieme, nel gruppo con o senza tutoring in cui – dopo i dovuti ed umani errori – forse una soluzione l’hanno trovata, più o meno congrua e realizzabile.

E così in geografia o in storia o attraversando migliaia di file di musica classica, rock, jazz, metallica, folk, popolare o semplicemente un po’ strana e delirante…

Poi ci ritroviamo, per finire, ad emozionarci intensamente solo ascoltando la musica di Alan Silvestri per far volare in modo strano una piuma tra i piedi di Forrest Gump.

Forse se vuoi, puoi. Ma…

«Mamma ti diceva sempre… stupido è chi stupido fa…» La grande metafora del piccolo Forrest, bambino disabile, ragazzo diverso, uomo apparentemente strano, forse vuole dire qualcosa a chi si occupa di educazione e di formazione.

Dentro quei ragazzi e ragazze di scuola secondaria di primo grado ci sono talenti, tanti e diversi.

Un giorno i proff., così come mamma e papà, diranno: «Valentina, Ciro… è venuto il momento di decidere quale scuola superiore vuoi fare». E allora capisci che non si tratta più di un maglione o di pantaloni come “quelli di…” e neppure di decidere dove fare la festa di compleanno.

Se gli adulti ti diranno la verità, forse ti aiuteranno, ti guideranno, forse ti orienteranno molto prima del mese di gennaio del tuo terzo anno di “scuola media”.

Ma prima ancora della scelta finale ci dobbiamo chiedere se abbiamo “perso il tempo necessario” per far vivere ai ragazzi la fatica, lo sforzo, il delicato processodi piccole e grandi decisioni.

Sappiamo abbastanza di Stefano, di Marika? Conosciamo i sogni di Federica o cosa vorrebbe diventare da grande Leonardo? Abbiamo capito, dietro i maglioni neri e i jeans strappati, se esistono motivazioni, soprattutto, se esistono passioni?  Abbiamo guardato il treno di ciascuno per sapere quale scambio utilizzare e mettendolo al corrente delle possibilità e dei rischi?

Cosa serve ai giovani

E poi hai scelto e ti trovi a svolgere – con aria decisa – il ruolo di ragazzo intraprendente, di ragazza oramai grande, di “militante della nuova generazione”, quella che i grandi già designano con un nome apparentemente facile di “futuro del nostro Paese”.

Le maestre sono un ricordo di quando eri piccolo, gioioso, un po’ romantico, a volte divertente, di quando capivi poco (così ora credi). Ora no! Ora sei grande e capisci tutto (ma proprio tutto?) e sei pronto a fare di tutto.

Intorno a te: genitori a volte stanchi; nonni avanti negli anni; regole che non capisci più; la tua cameretta piena di striscioni, adesivi, lattine di birra colorate, l’ennesimo poster di una rockstar…

Ti arrocchi in quel fortino mentre studi, mentre segui serie televisive, partite di basket, gran premi che si svolgono in altri continenti in ore in cui dovresti dormire o semplicemente riposare.

Sei in 47 gruppi chat e ti viene la smania di rispondere a tutti, hai 202 vocali ancora da ascoltare.

Sei giovane, ma tutto questo peso sembra assordante.

Alla tua età, il nonno era senza auto e non aveva moto, al liceo studiava tre ore al giorno, giocava a calcio, spesso leggeva pure i gialli. Ti turba, forse, la vita tranquilla della nonna, sempre sovrappeso, tra un ambulatorio e un film, tra una partita a burraco e un weekend fuori famiglia, non importa dove, purché vicino al mare.

Nella tua scuola c’è quel prof. che spiega la fisica divertendosi con tanti video che mette su TikTok; ti viene però il dubbio se tutti i suoi alunni, quelli delle nove classi a lui assegnate, imparino davvero.

C’è anche il prof. che, a fine gennaio, quando deve fare le medie dei voti dell’altro corso, ti chiede una calcolatrice per dare un 6+ o un 7-; c’è il prof. che non mette mai 9 perché: “se poi peggiora?”. C’è la professoressa che ama Pascoli come fosse il suo papà e lo cita all’ora di latino ma anche per parlare di Covid. Poi c’è anche la professoressa sempre gioiosa di Storia dell’Arte che ti porta in Pinacoteca o il professore geniale che ti porta pure nel laboratorio di Chimica.

La Preside? La conosci solo intorno al terzo anno, perché sempre affaccendata a leggere le carte e a fare quesiti.

I giovani crescono e si domandano…

Poi, un pomeriggio, insieme a Clara che vuole iscriversi a Sociologia a Trento, fai un’indagine su tutti i bambini ed i ragazzini che hai incontrato dall’infanzia in poi e scopri che tanti compagni non vanno a scuola da anni:

  • uno vende al mercatino il venerdì nel rione dietro la Basilica;
  • un altro aiuta suo padre nel panificio di famiglia;
  • poi c’è quello che ha iniziato a lavorare a quindici anni sulle navi crociere.

Resti lì con tre amici e sei birre sotto una pioggia tiepida di inizio luglio: «ragazzi e adesso che si fa? Proviamo i test a medicina o ci iscriviamo alle selezioni di ingegneria?».

Arturo invece di rispondere si domanda: «… ma non era meglio iscriversi a un Istituto Tecnico e fare una piccola impresa di tecnici di caldaie, lavatrici, lavastoviglie e robot aspirapolvere?».

  • Nessuno ci ha insegnato “come si fa gruppo”.
  • Nessuno ci ha insegnato il “coraggio”.
  • Nessuno ci ha insegnato la “tenacia”.
  • Nessuno ci ha insegnato che, per arrivare dall’altro lato, “bisogna saper scalare o saper nuotare”.

Santorini è lontana o forse no…

“E allora andiamo a Santorini, ci vanno tutti dopo gli esami di Stato!”. La prima cosa è chiedere i soldi a mamma e papà e fare un itinerario, Ci si vede a casa di Clara. Tutti insieme e poi ritroviamo anche Paolo il panificatore, Gino che lavora al mercatino e Chiara che ha imparato tante cose sulle navi da crociera.

Parlano piano questi tre, ascoltano tanto e ci spiegano come fare per risparmiare e viaggiare con pochi soldi.

Gino ha un amico ad Alonissos ed ha imparato a parlare in greco. Paolo conosce i migliori piatti da gustare oltre il souvlaki e la moussakà. Chiara sorride, è serafica.

Dieci giorni e torniamo a casa

Passerà questo tempo, passerà… e si tornerà a casa.

Si farà una bella riunione di famiglia e si deciderà «Finalmente, figlio mio, sceglieremo il tuo futuro. Puoi arrivare molto lontano».

«Pronta mamma, … no…  neppure mi ricordo come ci sono arrivato. Ora sono a Kastellorizo, sì quella del film… poi ti racconto…».

«Mamma ti richiamo, stiamo andando a frequentare un laboratorio di ricotta greca e yogurt»

«No, non preoccuparti mamma, salutami papà. Ah sai, sto imparando un sacco di cose e mi sto divertendo, forse la prossima settimana inizio a lavorare…

«Ah? No, siamo in quattro: io, Chiara, Valentina e Ciro».

«Un bacio».