Cento anni dalla nascita di don Milani

La storia, la ‘scelta’, la scuola che rende liberi

A un anno di distanza da quando abbiamo ricordato il centenario della nascita di Mario Lodi (Piadena, 17 febbraio 2022), il 2023 ci riserva una ricorrenza del tutto eccezionale: i 100 anni di don Lorenzo Milani, nato a Firenze, 27 maggio 1923.

Sulla figura del Priore di Barbiana sono stati versati fiumi di inchiostro. Ancora oggi le sue posizioni in campo religioso e educativo suscitano critiche e giudizi contrastanti, che continueranno a riproporsi. Esaltare o denigrare questo prete non ci aiuta a conoscere la sua straordinaria opera, che va invece compresa cercando di esaminare le qualità e, allo stesso tempo, le fragilità della sua persona e del suo pensiero. Ma chi è stato veramente don Lorenzo Milani?

La scelta per i poveri

Non abbiamo la pretesa di dare una risposta a questo interrogativo. Ci sono però alcune scelte che connotano l’esistenza di questo prete scomodo che vanno definitivamente chiarite, pena i soliti e sterili j’accuse (Don Milani classista, arrogante, intransigente, assolutista, comunista …).

La sua vita ri-parte da una scelta radicale fatta a vent’anni, quando il ricco e borghese Lorenzo Milani Comparetti decise di offrire tutto sé stesso alla causa dei poveri.Basti pensare che il bisnonno paterno Domenico Comparetti, illustre filologo, papirista, grecista e latinista, conosceva ben 19 lingue e fu senatore del Regno. Se non si parte da questa spoliazione, non si comprenderà nulla di quello che egli successivamente fece.

La folgorazione di questo repentino cambiamento gli fu procurata da una severa reprimenda di una donna che, dalla finestra della sua casa, soprese il giovane Lorenzo in una Firenze, sotto i continui bombardamenti degli Alleati, a sbocconcellare del pane bianco.

Non si mangia il pane bianco nelle strade dei poveri!” fu il duro rimprovero che la signora gli rivolse. Questa sgridata fu per lui un vero e proprio colpo di fulmine. Come San Paolo sulla via di Damasco e Francesco nella piazza di Assisi, anche Lorenzo decise di spogliarsi di tutto ciò che aveva per dedicarsi completamente agli ultimi. Questa scelta non fu una semplice adesione ad un richiamo evangelico, ma un’autentica conversione ad un mondo che fino ad allora aveva completamente ignorato. E nella sua breve esistenza egli manterrà la radicalità propria del convertito.

Se non si parte da questa scelta, si rischia di cadere nelle solite stantie contrapposizioni che non portano in nessuna direzione.

La conversione

Nel luglio del 1943 Lorenzo incontrò a Firenze, per la seconda volta, don Raffaele Bensi, figura centrale della chiesa fiorentina dell’intero Novecento. Il sacerdote però era di fretta perché doveva fare visita alla salma di un giovane prete, suo alunno. Lorenzo Milani decise di accompagnarlo. Davanti alla bara del giovane prelato, egli decise di prendere il suo posto. E così fu. Nel mese di novembre dello stesso anno, dissolte le “vanità giovanili”, Lorenzo Milani entrò nel seminario Maggiore del capoluogo fiorentino. Da quel momento, la sua vita cambierà per sempre.

Alla lettera della madre, dispiaciutissima per questa scelta e preoccupata per le restrizioni delle regole imposte ai seminaristi, il figlio risponde: “Mi dispiace che tu senta il peso della mia mancanza di libertà. Non ci pensare perché io non ne sento punto. Quando uno regala la sua libertà è più libero di uno che è costretto a tenersela”.

La domenica del 13 luglio 1947, assistito da don Bensi, ricevette l’ordinazione sacerdotale. Si completò così il cammino della sua conversione.

Una foto di don Milani, appena ordinato sacerdote

Il figlio di una delle famiglie più ricche della società fiorentina abbandonò definitivamente la cultura borghese di cui si era nutrito fino ad allora e decise di dedicarsi esclusivamente a coloro che da secoli erano prigionieri di una povertà economica ed educativa che toglieva loro ogni possibilità di migliorare il proprio futuro. Se nascevi figlio di contadini, pastori, operai avresti potuto continuare solo il lavoro dei genitori. Oppure emigrare! Il giovane don Lorenzo combatterà con tutto sé stesso questo stato di inferiorità sociale e culturale.

Dare la parola a chi non l’ha mai avuta

Subito dopo l’ordinazione sacerdotale, fu destinato in qualità di cappellano a San Donato Calenzano, piccolo centro tra Firenze e Prato, che stava conoscendo un rapido processo di industrializzazione. La parrocchia contava circa 1200 abitanti ed era retta dall’anziano don Daniele Pugi, con il quale don Lorenzo stabilì un rapporto di sincera stima.

Il giovane don Lorenzo con don Pugi e alcuni ragazzi a San Donato Calenzano

Una delle prime iniziative intraprese dal giovane cappellano fu quella di creare una scuola popolare.

La scuola popolare di San Donato

Maresco Ballini, che per sette anni (1947-1954) ha frequentato quella scuola, raccontò nel 2007 quella straordinaria esperienza.

“Una caratteristica della scuola era quella di essere radicata sul territorio e con una finestra aperta sul mondo attraverso la lettura dei giornali e l’ascolto della radio. Questo metodo, coinvolgendo gli allievi sui problemi d’attualità, permetteva di conoscere, riflettere, approfondire e talvolta, insieme a don Lorenzo, assumere posizioni pubbliche su vari problemi. È così che sono nati, tra gli altri, gli articoli su grandi problemi sociali come lavoro e casa pubblicati su «Adesso», il giornale di don Primo Mazzolari.

La scuola popolare di San Donato era frequentata da tutti, credenti e atei. Quello a cui stava più a cuore a don Milani era preparare uomini liberi e sovrani, aiutando ogni ragazzo a scoprire i valori propri della dignità umana. Ogni anima è un universo di dignità infinita scriverà qualche anno dopo in Esperienze pastorali.

Dopo aver conquistato la nostra fiducia – ricorda ancora Maresco Ballini, don Lorenzo diventò per noi maestro, amico, consigliere, confessore, secondo babbo… Non operava forzature: il suo principale desiderio non era quello di predisporre anche noi ad accogliere Dio nella nostra vita, cosi come aveva fatto lui pochi anni prima”.

A San Donato don Miani matura la decisione di dare forma alle esperienze di questa sua prima missione sacerdotale, che confluiranno in un testo che fece un enorme scalpore, Esperienze pastorali.

Partire da San Donato

San Donato rappresenta per don Lorenzo una vera e propria palestra “professionale”. La sua prima preoccupazione nelle vesti di cappellano fu quella di entrare in sintonia con i ragazzi di quella comunità. Addirittura li volle conoscere per nome ad uno ad uno.

Si immerse, dunque, in una realtà a lui sconosciuta determinato a capire le persone e l’ambiente di quella società che lui non conosceva, con l’intento di “sporcarsi” immediatamente le mani. Girando per il paese, si accorse delle profonde ingiustizie sociali che egli attribuiva alla mancanza della parola da parte della popolazione, adulta e giovanile. Rimase soprattutto impressionato da una situazione ritenuta normale, il semianalfabetismo che caratterizzava la realtà sandonatese. Pertanto, ritenne da subito che questo deficit culturale fosse di ostacolo all’opera di evangelizzazione alla quale si era votato. Fu colpito, in particolare, dalle dure condizioni di vita e di lavoro della gente e dalle contrapposizioni ideologiche tra destra e sinistra, democristiani e comunisti… Si convinse sempre più della necessità di fornire ai giovani un’istruzione vera e autentica, spesso lontana dai loro desideri. “La povertà – scriverà in ‘Esperienze pastorali’ – non si misura a pane, casa e caldo, ma dal grado di cultura”.

L’esperienza di San Donato diventa un libro

I sette intensissimi anni (1947-1954) trascorsi a San Donato (visti con diffidenza dalla gerarchia ecclesiastica) diedero vita ad una serie di riflessioni esposte in uno dei libri più discussi degli anni Cinquanta, Esperienze pastorali, l’unico testo scritto interamente da don Milani. Pubblicato nel 1957, con una lunga e articolata introduzione di Giuseppe D’Avack, arcivescovo di Camerino, fu ritirato quasi subito dal mercato a causa della censura della Curia fiorentina. Con sguardo sociologico e con l’ausilio di tavole statistiche, egli denuncia una concezione opportunistica della fede cattolica da parte dei parrocchiani ed esalta l’importanza della scuola.

Lo intristiva un’adesione religiosa fatta di vuote ritualità, opportunismi e svaghi insulsi, quali il cinema, la televisione, lo sport, il consumismo. Lo scontro tra lui e i giovani culmina quando decide di gettare nel pozzo le attrezzature del ping-pong, provocando l’allontanamento di una parte dei ragazzi. L’alternativa a tutte queste “vanità” fu l’impegno che egli profuse per la scuola popolare, una scuola “di classe”, destinata esclusivamente ai figli dei contadini e degli operai verso i quali don Milani nutriva un affetto particolare. Solo l’istruzione avrebbe permesso un vero e proprio processo di emancipazione di quel gregge smarrito.

Scrive in Esperienze pastorali: “Devo tutto quello che so ai giovani operai e contadini cui ho fatto scuola. Quello che loro credevano di aver imparato da me, son io che l’ho imparato da loro. Io ho insegnato loro soltanto a esprimersi mentre loro mi hanno insegnato a vivere. Son loro che mi hanno avviato a pensare le cose che sono scritte in questo libro”.

La sua era una scuola severa, esigente e “pignola”, votata esclusivamente a rimuovere gli ostacoli che avevano reso culturalmente schiavi i ragazzi della parrocchia, con lo scopo di far scoprire loro il gusto della dignità umana e dell’autentica libertà.

Alcuni riferimenti

Ballini M. (2007), Intervento svolto al Convegno tenutosi a Firenze nel 2007, dal titolo: Don Lorenzo Milani. Gli anni di Calenzano: un nuovo modo di fare il prete, ripubblicato in Toscanaoggi.it, 11 marzo 2023.

Milani L. (1973), Lorenzo Milani. Lettere alla mamma 1943-1967, Milano, Arnoldo Mondadori Editore.

Milani L. (1972), Esperienze pastorali, Firenze, Libreria editrice fiorentina.

Rondanini L. (2017), Don Lorenzo Milani. La lezione continua, Napoli, Tecnodid.