Lettera a una professoressa

L’insegnamento continua

In una delle riflessioni più coinvolgenti dell’Autodifesa ai giudici, don Lorenzo Milani afferma che è compito precipuo di ogni educatore insegnare ai ragazzi come il cittadino reagisce all’ingiustizia, come ha libertà di parola, (…) come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto.

“Non avevo bisogno di far notare loro queste cose. Le avevano già intuite. E avevano anche intuito che ero ormai impegnato a dar loro una lezione di vita”. Esemplare lezione di maestro e sacerdote!

Maestro di scuola

“Lettera a una professoressa”viene scritta come risposta alla bocciatura di un ragazzo di Barbiana nella scuola statale. “Lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti. Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che ‘respingete’. Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate”.

Questo è l’incipit della Lettera. Di contro, il ragazzo comincia a raccontare com’era la scuola del Priore. Priva di cattedra, lavagna, banchi! Solo grandi tavoli intorno ai quali si imparava, si studiava e si mangiava. I grandi insegnano ai piccoli. Il maestro più vecchio aveva 16 anni, il più giovane, 12. “Decisi fin dal primo giorno che avrei insegnato anch’io… L’anno dopo ero maestro. Cioè lo ero tre mezze giornate la settimana. Insegnavo geografia, matematica e francese a prima media”.

Perché la Lettera

Lettera a una professoressa è incentrata tutta sui ragazzi che la scuola perde. Perché, come sentenziò la professoressa, “se un compito è da quattro, io gli do quattro”. Un criterio di valutazione di una scuola che i ragazzi di Barbiana avevano paragonato a “un ospedale che cura i sani e respinge i malati”!

Le difficoltà che gli studenti affrontano a scuola devono corrispondere a quelle che essi incontrano nella vita. “Se le mettete più frequenti … è come se foste in guerra coi ragazzi”.

Con la mania del “trabocchetto”, i professori promuovono alunni che in Francia non saprebbero “chiedere nemmeno del gabinetto”.

La scuola ha un problema solo: i ragazzi che perde

L’istituzione nel 1962 della scuola media unica e obbligatoria fino a 14 anni rappresentò una svolta per il nostro Paese. Finalmente milioni di bambini, esclusi storicamente dall’istruzione, avrebbero potuto continuare gli studi dopo la licenza elementare. Ma il modello educativo rimase quello della “vecchia” scuola, elitaria e selettiva. Una scuola, scrivono i ragazzi nella Lettera, “tagliata su misura dei ricchi. Di quelli che la cultura l’hanno in casa”.

Anche a Vicchio (Barbiana era una frazione) arrivò la scuola media. Cominciarono a frequentarla tutti i ragazzi dei paesi vicini. Quasi sempre venivano bocciati, perché bocciare per i professori era “come sparare in un cespuglio”.

“Sandro aveva 15 anni. Alto un metro e settanta, umiliato, adulto. I professori l’avevano giudicato un cretino. Volevano che ripetesse la prima per la terza volta. Gianni aveva 14 anni. Svagato, allergico alla lettura. I professori l’avevano sentenziato un delinquente. E non avevano tutti i torti, ma non è un motivo per levarselo di torno.  Alla scuola del Priore, Sandro si appassionò a tutto in poco tempo. La mattina studiava il programma della terza classe, mentre la sera, a casa, da solo, ‘frugava nei libri di prima e seconda’. Quando a giugno si presentò alla scuola media di Vicchio per ottenere la licenza, ai professori toccò passarlo”.

Attenzione, però! La scuola di don Milani non era una passeggiata! I metodi di insegnamento erano severi. Scrivono i ragazzi: “la vita era dura anche lassù. Disciplina e scenate da far perdere la voglia di tornare. Però chi era senza basi, lento o svogliato si sentiva il preferito. Veniva accolto come voi accogliete il primo della classe. Sembrava che la scuola fosse tutta solo per lui. Finché non aveva capito gli altri non andavano avanti”.

Il ponte di Luciano

La madre di Luciano non era della parrocchia del Priore. Arrivò a Barbiana in un pomeriggio di fine giugno chiedendo al prete se poteva prendere il figlio nella sua scuola: “perché non voglio che venga su come noi, poveri meschini, che si sa fare a malapena l’O con il culo del bicchiere”.

E Luciano fu accolto a braccia aperte! Per arrivare alla canonica doveva fare un’ora e mezzo a piedi e attraversare un torrente su un albero messo di traverso.

Un anno in febbraio il ruscello si ingrossò a causa delle abbondanti piogge e il bambino, mentre tentava di attraversarlo, cadde in acqua. Arrivò a scuola tremante e infreddolito. I ragazzi gli si strinsero intorno, rinforzarono il fuoco della stufa e lo asciugarono per bene.

Quando egli raccontò al Priore l’accaduto, don Milani partì immediatamente per Vicchio chiedendo al sindaco di costruire un ponte per Luciano. Nel giro di qualche mese fu posata una passerella. Luciano era raggiante di gioia e con un dito scrisse sul cemento fresco: “A me”.

Il ponte di Luciano

Una scuola satura di realtà

La scuola di Barbiana è intrisa di reale. Un alunno di don Lorenzo, Edoardo Martinelli, ha definito il modello educativo del Priore con l’espressione “pedagogia dell’aderenza”. La realtà, infatti, offre molteplici spunti di conoscenza e la scuola ha il compito di tradurli in percorsi di ricerca e di approfondimento. La cultura si trasforma in azione e attribuzione di significati, senso critico, capacità di affrontare e risolvere i problemi.

I dubbi della gente, le notizie riportate sui giornali, i temi che i ragazzi approfondivano nella corrispondenza con gli alunni di altre scuole o con coloro che don Milani mandava all’estero perché imparassero le lingue… a Barbiana diventavano corsie preferenziali di apprendimento.

Spesso anche semplici aspetti occasionali costituivano la base per tessere una lezione che, nelle intenzioni del Priore, doveva restituire la parola a chi non l’aveva mai posseduta. “Perché solo la lingua ci fa uguali”.

Scuola classista? Sì, ma dalla parte degli umili

Il “metodo di insegnamento” di don Milani consisteva nel dialogo e nel confronto ravvicinato tra maestro a allievo, evitando ogni forma di nozionismo. “Tale reciprocità esprimeva un processo formativo in cui le idee, le rispettive posizioni e il singolo punto di vista erano messi in gioco completamente. Fino a demolire abiti mentali ereditati. Mai riflettuti. La scuola di don Milani fu, di certo, classista, ma nel senso che prediligeva i poveri” (Martinelli, 2007). Nella visione del Priore, la centralità dell’istruzione deve andare di pari passo con la valorizzazione della cultura dei poveri, non perché dovessero diventare ricchi, ma sovrani.

La visione classista di don Milani trova il fondamento ispiratore unicamente nel principio di stare totalmente dalla parte degli ultimi e di dare loro la parola. “La scelta della scuola come mezzo di liberazione dei dimenticati nasce, dunque, da una lettura attenta della povertà religiosa e istruttiva di un popolo sofferente di una “vacuità intellettuale e culturale”, al quale mancavano non solo la lingua ma anche gli interessi degni di un popolo” (Rondanini, 2017).

Scuola popolare e capitale culturale

La sua fede nella scuola popolare non nasceva in astratto, ma da un’attenta analisi della condizione operaia e contadina di San Donato prima e di Barbiana poi. Anche i parroci che si sono succeduti nella conduzione dello sperduto “lembo d’Africa”, adagiato sul Mugello, conoscevano lo stato di “inferiorità” culturale di quella gente, ma hanno “seguitato a parlare al muro”. Le classi sociali, nell’ottica del Priore, non si costruiscono sull’imponibile catastale, ma sul capitale culturale. Pertanto, il classismo della sua scuola non può essere ascritto ad una visione partitica, ma solo al radicamento nel mondo dei suoi parrocchiani e soprattutto dei suoi alunni ai quali voleva un bene immenso. Sul punto di morte scrive a Michele, a Francuccio e agli altri ragazzi: “Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto” (Bernardo, 2016).

L’incontro con Mario Lodi

Mario Lodi è stata una delle voci educative più popolari del Novecento. Nasce nel 1922 a Vho di Piadena e nell’immediato Dopoguerra, come don Milani, comincia la sua carriera di maestro nel piccolo paese della Bassa cremonese. L’incontro con don Lorenzo avviene nel 1963. Lo porta a Barbiana Giorgio Pecorini, giornalista del settimanale L’Europeo, il quale scrive di averlo accompagnato lassù nell’estate del 1963. “Ero persuaso che dall’incontro con don Lorenzo potessero nascere stimoli positivi per il lavoro di entrambi. Al termine di un paio di giorni di intensi e vivaci colloqui, come sempre alla presenza dei ragazzi, con un proficuo scambio di opinioni e di esperienze soprattutto nell’insegnamento della lingua, i due si accordarono per una collaborazione sistematica fra le loro scuole” (Pecorini, 1996).

Nel libro Il Paese sbagliato Mario Lodi ricorda i giorni trascorsi a Barbiana e l’incontro con i ragazzi che avvenne sotto il pergolato della canonica. “I ragazzi volevano sapere dove insegnavo, che tipo di scuola era la mia, se pubblica, se privata, che idea avevo di libertà, della società e se quelle idee potevo insegnarle ai miei bambini” (Lodi, 1979).

Immagini di Mario Lodi e don Lorenzo Milani

Dopo quell’incontro i due iniziarono una corrispondenza tra le rispettive scuole. Secondo Anna Masala, autrice del libro A scuola con Mario Lodi maestro della Costituzione, Mario Lodi più volte fa riferimento a Don Milani. Non a caso, Il paese sbagliato inizia con la lettera a Katia, scritta nell’ottobre del 1964, in cui il maestro di Piadena, rivolgendosi ad una studentessa dell’Istituto magistrale, ricorda un passaggio di Esperienze pastorali nella quale il Priore afferma: “Devo tutto quello che so ai giovani operai e contadini. Io ho insegnato loro soltanto ad esprimersi, mentre loro mi hanno insegnato a vivere”.

Ma soprattutto, come sottolineano i ragazzi nella Lettera, ha insegnato che i problemi degli altri sono uguali ai nostri. “Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”.

Riferimenti bibliografici

Bernardo D., Don Lorenzo Milani. Ho voluto più bene a voi che a Dio, Casa Editrice Velar, Bergamo, 2016.

Lodi M., Il paese sbagliato, Einaudi, Torino, 1970.

Martinelli E., Pedagogia di Don Lorenzo Milani. Aderenza tra parola e pensiero, pubblicato in proprio, 2021.

Martinelli E., Don Lorenzo Milani. Dal motivo occasionale al motivo profondo, Società Editrice Fiorentina, 2007.

Pecorini G., Don Milani! Chi era costui? Baldinie Castoldi, Milano, 1996.

Rondanini L., Don Lorenzo Milani. La lezione continua, Tecnodid, Napoli, 2017.