Risultati Invalsi 2023

Prima le cattive notizie o prima le buone?

Le cattive notizie servono per capire dove sbagliamo, quelle buone per capire dove possiamo migliorare. Vale anche per i risultati Invalsi illustrati il giorno 12 luglio nella prestigiosa Sala della Regina della Camera dei Deputati alla presenza del Ministro Valditara.

La prima buona notizia

La prima notizia buona è che il Ministro Valditara ha illustrato i risultati Invalsi in modo tutt’altro che superficiale. Ha citato dati precisi, ovviamente esaminati e selezionati secondo la sua prospettiva politica. Come il precedente Ministro Bianchi, ma non come alcuni degli altri, Valditara ha mostrato di credere fortemente non solo nell’utilità dei dati, ma soprattutto nella necessità di basare sui dati le politiche pubbliche sull’istruzione. Non è un caso che la responsabile delle prove nazionali dell’Invalsi, Alessia Mattei, subito dopo l’intervento del Ministro, abbia voluto citare la frase di Luigi Einaudi: “Prima conoscere, poi discutere, poi deliberare” inserita nel volume dal significativo titolo “Prediche inutili” del 1959.

Ma vorrei ora sospendere le buone notizie per passare a quelle cattive che quest’anno mi hanno addolorato in modo particolare, ripromettendomi, nella seconda parte di questo contributo, di ritornare alle buone notizie perché forniscono importanti spunti per il miglioramento del nostro sistema scolastico.

Le cattive notizie

Le principali cattive notizie sono quattro.

  1. Per la prima volta i risultati della scuola primaria mostrano una flessione in tutte le discipline.
  2. I risultati nella scuola secondaria di primo e secondo grado restano bassi (ben più di quelli della primaria e con qualche fluttuazione) ma non peggiorano.
  3. Il divario territoriale resta molto consistente (con qualche sorpresa).
  4. L’equità del sistema è ancora molto al di sotto dell’accettabilità.

A mio giudizio il dato non positivo della primaria è il più preoccupante tra quelli elencati. Come evidenziato dall’Invalsi nel Rapporto ufficiale 2023, gli esiti delle prove Invalsi nella scuola primaria degli ultimi quattro anni sono direttamente confrontabili grazie al sistema dell’ancoraggio metrico[1].

Come si vede dai quattro andamenti temporali riportati, dopo l’exploit positivo in italiano del 2021, che oltretutto era l’anno successivo a quello del lockdown, l’esito complessivo negli anni seguenti è andato calando. La flessione del 2023 è particolarmente significativa rispetto al 2021.

Purtroppo lo stesso fenomeno si osserva anche in inglese dove la percentuale degli alunni che arrivano al livello prescritto dalle Indicazioni nazionali (il livello A1 del QCER) è scesa dal 94% al 87% nel reading e dall’85% all’81% nel listening.

In termini assoluti la percentuale di alunni che raggiungono i traguardi previsti dalle Indicazioni nazionali, in quinta primaria, oscilla dal 62% (matematica) al 75% (italiano).

Paradossalmente i risultati negli altri ordini di scuola, ancorché più negativi in termini assoluti, hanno un andamento meno preoccupante e, in inglese, come vedremo tra poco, sono invece positivi.

Come si vede nel grado 8 (terza secondaria di primo grado) l’andamento del punteggio medio è pressocché costante sia in italiano che in matematica. Anche nel grado 10 e nel grado 13 (seconda e ultima classe della scuola secondaria di secondo grado) il punteggio non subisce variazioni significative, né in italiano né in matematica. Ma attenzione: i valori assoluti restano piuttosto bassi. Le percentuali di studenti del grado 8 che raggiungono i traguardi previsti (studenti “adeguati”) sono 62% in italiano e 56% in matematica. Quelle del grado 10 sono 63% in italiano e 55% in matematica. Infine quelle del grado 13 sono 51% in italiano e 50% in matematica.

Cosa significa “studente non adeguato”?

Leggendo i dati Invalsi e le numerosissime notizie sui giornali e sui social viene da chiedersi se sia giusto dire, ad esempio: “Metà dei giovani che termina le superiori non è in grado di comprendere quel che legge” (ANSA e molte altre testate). Per rispondere provo a “tradurre” la descrizione del livello 1 (il più basso) per l’italiano, applicandola a un ragazzo immaginario di 19 anni che chiamiamo Bruno. Per rendere il profilo più suggestivo ho integrato la descrizione tecnica riportata in nota con alcune caratteristiche aggiuntive che non alterano il senso del descrittore ufficiale ma rendono forse più vivido l’esempio.

Bruno è un ragazzo spigliato. Con gli amici parla molto velocemente con inflessione dialettale più o meno accentuata. Fa continue battute riferite per lo più al calcio e alle ragazze. Ma:

  • fa fatica a seguire un discorso che non riguardi la sua vita quotidiana;
  • legge solo brevi testi sullo smartphone. Non legge mai, o quasi mai, libri, racconti o saggi anche se di argomenti che lo interessano;
  • non utilizza la lettura per acquisire nuove competenze. Se necessario, si limita a vedere un tutorial o a chiedere a un amico”[2].

In modo simile propongo il profilo di Katia, una studentessa immaginaria sempre di 19 anni, che si trova al livello 1 di matematica e di Giovanni che in inglese non ha raggiunto il livello B1 e che supponiamo sia fermo al livello A2 (ma potrebbe anche non raggiungerlo).

“Katia è una ragazza estrosa e socievole. Con le amiche parla di tutto ed è abbastanza volenterosa a casa. Ma:

  • dice di odiare i numeri e si perde con qualsiasi tipo di misura;
  • ha una grande stima per le amiche brave in matematica ma è convinta che non potrebbe in alcun modo scegliere una facoltà scientifica o economica;
  • ancora oggi se deve fare una pizza rustica per 10 persone seguendo la ricetta scritta per 6 persone chiede aiuto a sua sorella Irene, che ha due anni di meno, per calcolare le giuste dosi degli ingredienti”[3].

“Giovanni è un ragazzo simpatico e serio. Ha diversi amici con cui parla molto velocemente con inflessione dialettale più o meno accentuata. Ogni tanto si vede con la sorella Giusy che ha sposato un americano, Teddy, che non parla italiano.

In queste occasioni Giovanni è molto a disagio. In particolare:

  • chiede continuamente a Giusy cosa stia dicendo il marito;
  • talvolta risponde «yes» a Teddy ma non ha capito nulla;
  • alla fine dei loro incontri è stanco e frustrato”[4].

Divari territoriali

Questi tre profili, sicuramente un po’ grossolani, dovrebbero farci capire che dire che la metà degli studenti non comprende quello che legge può prestarsi ad equivoci ma non è affatto esagerato parlare di ragazzi e ragazze fortemente penalizzati e culturalmente fragili.

Sui divari territoriali si è soffermato il Ministro considerandoli una vera e propria emergenza nazionale. Ma dobbiamo anche dire che dopo quindici anni di dati sempre costantemente scoraggianti sul nostro mezzogiorno (con alcune sporadiche eccezioni) soltanto un’azione politica molto robusta e di lungo periodo potrà modificare le cose. Per evitare di ripetere cose già dette e scritte in questi giorni vorrei soffermarmi su un dato che evidenzia i divari territoriali già in seconda e quinta primaria. Le colonnine verdi indicano la percentuale di alunni adeguati che, utilizzando la scala utilizzata dalla scuola primaria del 2020[5], si trovano al livello “base” o superiore. Ebbene, già in questo primo segmento del percorso scolastico, si osservano le prime cadute soprattutto nella macro-area “Sud e isole” (Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna). Questi primi segnali negativi sono evidenziati in figura con le frecce nere.

La non equità del sistema

Ultimo punto negativo: la non equità del sistema. Anche questa è una criticità persistente e, ahimè, più preoccupante nelle regioni del Sud. In questo caso esaminiamo la situazione della terza classe della scuola secondaria di primo grado.

Se il sistema scolastico fosse equo al 100% le dodici colonnine che sono rappresentate nella figura dovrebbero essere tutte bianche. Se fosse così, infatti, in ogni scuola e in ogni classe avremmo un’uguale distribuzione di studenti nei diversi livelli di adeguatezza misurati da Invalsi. In questo caso ideale la media del punteggio di ogni scuola e di ogni classe dovrebbe essere la stessa. Facciamo un esempio che riguarda la variabilità tra le classi. Consideriamo due scuole secondarie di primo grado, una del Nord-Est e una del Sud e Isole, che hanno entrambe sei classi terze che hanno svolto le prove Invalsi e gli esami. Se il sistema fosse equo le sei classi di ciascuna scuola dovrebbero avere, ad esempio in matematica, la stessa percentuale di studenti molto deboli (livello 1), deboli (livello 2), appena adeguati (livello 3), buoni (livello 4) e eccellenti (livello 5). La figura ci mostra invece che la variabilità tra le classi delle due scuole è molto diversa (5% del Nord-Est contro il 35% del Sud e Isole!). Questo vuol dire che per uno studente del Sud e Isole il livello conseguito dipenderà dalla classe che frequenta sette volte di più rispetto al suo compagno del Nord-Est.

Le buone notizie

Veniamo finalmente alle buone notizie che non sono poche e direi piuttosto rilevanti.

Le principali sono tre.

  1. Il miglioramento dei risultati in Inglese al termine della scuola secondaria di primo grado e della scuola secondaria di secondo grado (miglioramento netto nel primo caso, apprezzabile nel secondo).
  2. Alcuni segnali di miglioramento nel Sud (grado 8 sia in italiano che in matematica; grado 13 in inglese).
  3. Una significativa diminuzione della dispersione implicita (soprattutto in Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna).

I miglioramenti dei risultati in Inglese

La figura mostra la percentuale di alunni della scuola secondaria di primo grado che raggiungono il livello di inglese listening prescritto dalle Indicazioni nazionali (livello A2 del QCER) dal 2018 al 2023. Il miglioramento è continuo e significativo. A livello nazionale passiamo da 54% al 65% (+ 11 punti). E quello che fa più piacere è che questo aumento è ancora più evidente nelle regioni del Sud e del Sud e Isole (+ 13 punti in entrambi i casi). Le sei frecce rosse, tutte crescenti, sottolineano questa tendenza in tutte le aree del paese.

I risultati degli studenti della scuola secondaria di secondo grado presentano un andamento ugualmente incoraggiante ma è necessario fare due precisazioni. Mentre l’aumento delle percentuali è evidente, il valore assoluto resta molto più basso. I ragazzi delle medie che capiscono l’inglese a livello A2 sono ben oltre il 50%, quelli delle superiori, pur registrando un netto miglioramento, non raggiungono ancora il 50% (lo raggiungono solo le aree del centro-nord). La seconda precisazione, di segno opposto rispetto alla prima, è che il livello previsto per gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado (B2 del QCER) è più impegnativo dell’A2, anche considerando l’età degli studenti. Soprattutto se si considera che la nostra scuola secondaria ha una tradizione di insegnamento della lingua straniera molto centrata sullo studio della letteratura e della grammatica e poco sullo sviluppo delle competenze comunicative.

Entrambi questi lusinghieri risultati suggeriscono in modo chiaro dove e come si può intervenire per migliorare anche nelle altre discipline.

Segnali di miglioramento al Sud

Veniamo al “Sud che stupisce”. In questo caso riportiamo le figure con le “curvette verdi” riportate sulle slide del presidente dell’Invalsi, Roberto Ricci. Il dato che stupisce (positivamente) è che, mentre i punteggi degli studenti italiani negli ultimi tre anni sono calati e non accennano a risalire, il dato del Sud (Abruzzo, Molise, Campania e Puglia), purtroppo non del Sud e Isole, è in controtendenza. È un lieve miglioramento, di 2 punti percentuali in italiano e 3 punti percentuali in matematica dalla fine della pandemia, ma certamente significativo.

Dispersione implicita

Veniamo infine alla dispersione implicita. In questo caso ci riferiamo al grafico presente nel Rapporto Invalsi ufficiale del 2023 (a pag. 114). Le freccette verdi mostrano il calo della dispersione implicita dal 2021 al 2023 in Italia e nelle otto regioni del Sud e del Sud e Isole. È un dato generalizzato e abbastanza consistente.

Sempre a proposito di successo e insuccesso scolastico è estremamente interessante il grafico che potremmo intitolare “la leva scolastica del 2004” o anche “il cammino dei 554.000 licenziati del 2018”. In questo grafico vengono seguiti i 554.000 studenti che nel 2018 avevano superato l’esame conclusivo della scuola secondaria di primo grado. Si tratta per l’esattezza di 553.626 alunni che oggi hanno 19 anni e quindi costituiscono quasi tutta la leva dei nati nel 2004. Ebbene di questi alunni che nell’anno scolastico 2018-2019 si iscrissero alla scuola secondaria di secondo grado ne ritroviamo 400.571 agli esami di maturità di quest’anno, pari al 72,3%. Ciò significa che il 27,7% ha perso almeno un anno o ha fatto altre scelte. Nella figura sono esaminate le diverse possibilità.

Una di queste è l’uscita dal sistema scolastico di poco più di 57.000 studenti, pari al 10,4%, un dato molto vicino all’obiettivo del 10% dell’Agenda 2020 dell’Unione Europea (= quota massima di studenti che hanno la licenza media o un titolo inferiore). C’è però da tenere conto del fatto che questo stesso obiettivo per il 2030 è stato abbassato al 9%.

Tutto sommato il nostro 10,4% può farci sperare che, se le politiche di contrasto della dispersione scolastica verranno perseguite con convinzione e continuità, potremo conseguire il nuovo obiettivo dell’Unione Europea.

Misurazione dei dati e utilizzo dei dati

Per anni l’Invalsi è stato attaccato perché continua a fornire dati preoccupanti senza dire come migliorare le cose. Mi auguro che continui a farlo. È bene infatti che la misurazione e l’utilizzo dei dati siano due funzioni separate, così come avviene per l’Istat e i grandi organismi statistici nazionali e internazionali.

La presa in carico dei dati sulla qualità dell’apprendimento non spetta dunque all’Invalsi ma a chiunque voglia farlo, dal Governo al singolo cittadino, passando per le scuole e le loro comunità. Ma è senz’altro vero che non è un’operazione semplice perché gli stessi processi di apprendimento non lo sono. È proprio in questi casi che si dovrebbero guardare con la massima attenzione i dati positivi, nazionali e internazionali. Perché se non disponiamo di un modello per individuare le cause di un buon apprendimento (i “determinanti dell’istruzione”) e, soprattutto, per stabilirne le correlazioni con l’apprendimento, è comunque possibile prendere spunto da quello che funziona. I dati Invalsi sono una miniera di fenomeni positivi da cui prendere esempio. Sia a livello nazionale che a livello di singola scuola. In questo senso possiamo utilizzare le tre buone notizie di quest’anno.

Miglioramento e dimensione comunicativa

Il miglioramento in Inglese, ad esempio, spinge a dare importanza alla dimensione comunicativa di questo insegnamento. Probabilmente il solo fatto che da cinque anni siamo in grado di misurare le competenze comunicative ricettive di tutti gli studenti italiani sta spingendo fortemente le scuole e i docenti a rafforzare le tecniche di insegnamento “full immersion”, basate sull’ascolto continuo della lingua parlata. Qualcuno potrebbe obiettare: “ma così accettiamo che le prove Invalsi condizionino la didattica precipitando nell’odiato teaching to the test”. A parte il fatto che per capire cosa significhi teaching to the test un po’ d’inglese occorre saperlo, questa obiezione mi sembra debolissima. Da molti anni è infatti convinzione comune degli esperti di didattica delle lingue straniere che vada privilegiato l’insegnamento della lingua immersivo (il CLIL[6] ne è una delle tante dimostrazioni).

Mi spingerei a dire che l’esempio dell’inglese potrebbe dare delle indicazioni di miglioramento anche per l’italiano e la matematica nella direzione di privilegiare un insegnamento “immersivo” dell’italiano (tante discussioni, letture e incontri con testi di alta qualità) e di un insegnamento “intensivo” della matematica (fondato sull’approfondimento di pochi nuclei fondanti del pensiero matematico). Ma queste ipotesi meriterebbero ben altro approfondimento rispetto a quello che è possibile fare in questa sede.

Dalle scuole resilienti alle strategie migliori

Per prendere spunto dalla seconda buona notizia, il lieve miglioramento delle regioni del sud, temo che i dati aggregati servano a poco. E qui entra in gioco l’importanza di disporre di dati censuari che riguardano tutte le scuole e tutti gli studenti. Quando a settembre disporremo dei risultati conseguiti da ogni scuola, potremo individuare quali scuole hanno contribuito a far emergere questo dato. E lo studio di queste scuole resilienti potrà suggerire quali siano le strategie migliori anche per le scuole che ancora non riescono a garantire risultati accettabili ai loro studenti.

Dispersione implicita, frequenza scolastica e risorse

Sull’ultimo dato positivo, la diminuzione della dispersione scolastica implicita, mi sentirei di avanzare un’interpretazione molto semplice, quasi banale. Il picco più alto di dispersione implicita (quindi il più negativo) si è registrato nel 2021 che è stato il secondo anno nel quale si sono verificati periodi di chiusura delle scuole a causa della pandemia. Nel 2020 questa chiusura ha investito tutte le scuole italiane indistintamente, da marzo a giugno; nel 2021, invece, le chiusure sono state assai differenziate perché sono state decise dalle regioni e non dal Governo centrale. Ne trarrei una prima conclusione molto banale: la prima cura della dispersione implicita è la continuità della frequenza scolastica. Mi sentirei anche di dire che nel triennio 2021-2023 si siano finalmente avvertiti gli effetti delle politiche per il contrasto della dispersione scolastica, varate dal 2016, con un impegno finanziario sempre più consistente fino ad arrivare ai 19,44 miliardi del PNRR[7].

Queste sono solo alcune osservazioni a caldo alle quali spero potranno aggiungersi quelle dei dirigenti e dei docenti sperando che, sempre di più, vorranno appropriarsi dei dati offerti dall’Invalsi per il miglioramento continuo delle scuole in cui lavorano.


[1] La tecnica dell’ancoraggio consiste nel somministrare ogni anno una prova speciale (detta prova àncora), che non viene resa pubblica, a un campione di alunni. Questo fascicolo speciale è equivalente al fascicolo ufficiale di un certo anno scolastico e viene riproposto tale e quale negli anni successivi. In questo modo si possono ripesare i punteggi delle prove Invalsi per renderli confrontabili. Ciò implica che se fissiamo a 200 il punteggio medio in una certa disciplina ottenuto dagli alunni di un certo livello scolastico nel 2019, e il punteggio medio di un anno successivo è minore, allora possiamo correttamente dire che gli alunni dell’anno successivo considerato sono andati effettivamente peggio di quelli del 2019.

[2] La descrizione ufficiale del livello 1 in italiano è la seguente: “L’allievo/a risponde a domande su testi in prevalenza dal contenuto concreto e familiare, dalla struttura lineare e dal lessico abituale. Individua informazioni esplicite, in parti circoscritte e indicate di un testo, quando non siano presenti informazioni che potrebbero essere confuse con quelle richieste. Riconosce un’informazione riformulata con parole familiari e vicine a quelle usate nel testo. Ricava dal contesto il significato di parole o di espressioni di uso abituale in parti di testo indicate, e compie semplici deduzioni collegando un numero limitato di informazioni esplicite. Ricostruisce il significato del testo, o di sue parti, riconoscendone una sintesi che contiene parole chiave. Coglie il punto di vista dell’autore e lo scopo di un testo se chiaramente espressi e ripetuti in più punti. Svolge compiti grammaticali che, sulla base del contesto, richiedono di individuare il significato e la funzione di elementi linguistici fondamentali”.

[3] La descrizione ufficiale del livello 1 in matematica è la seguente: “L’allievo/a utilizza conoscenze elementari e procedure di base, prevalentemente acquisite nella scuola secondaria di primo grado e, in parte, alla fine del primo biennio della scuola secondaria di secondo grado. Risponde a domande formulate in maniera semplice usando informazioni direttamente individuabili. Risolve problemi che coinvolgono contesti abituali e che richiedono procedimenti semplici”.

[4] La descrizione ufficiale del livello A2 di inglese listening è la seguente: “L’allievo/a è in grado di comprendere frasi ed espressioni relative ad ambiti d’immediata rilevanza (per es. informazioni elementari su sé stesso e sulla famiglia, sul fare acquisti, sul contesto territoriale, sul lavoro) se enunciate in modo chiaro ed articolate lentamente”.

[5] Con l’O.M. 172 del 4 dicembre 2020 sono stati sostituiti i voti scolastici nella scuola primaria con i seguenti quattro livelli decrescenti: 1) “Avanzato”; 2) “Intermedio”; 3) “Base” e 4) “In via di prima acquisizione”.

[6] CLIL (Content and Language Integrated Learning) è un approccio metodologico delle lingue straniere basato sull’insegnamento in inglese di discipline non linguistiche come le scienze, la storia, ecc.

[7] Sull’andamento della povertà educativa si può fare riferimento ai dati dell’ Osservatorio dell’Impresa sociale “Con i bambini”.