Apprendimento permanente e cittadinanza attiva

I diritti sociali e le riforme in atto

L’investimento nell’istruzione e nella formazione dei fondi di Next Generation EU ha evidenziato la volontà di affidare ai sistemi educativi un ruolo decisivo per lo sviluppo sostenibile ed equo delle democrazie dei Paesi europei. Nell’epoca delle transizioni verde e digitale, esso è diventato un vero e proprio terreno di prova della tenuta del profilo del cittadino europeo garantito nel suo diritto all’istruzione di qualità.

Bisogno di equità sociale

Ma siamo sulla strada giusta perché i sistemi educativi garantiscano il corredo del cittadino del XXI secolo, competente/competitivo, possibilmente con una qualifica di istruzione superiore, protetto socialmente, sicuro, occupato, giusto, solidale e pacifico?

La strategia di crescita, disegnata nel Green Deal, rinforza il nesso tra istruzione, ricerca e innovazione, ma anche il crescente bisogno di equità sociale e di abbattimento delle diseguaglianze, per una transizione giusta. I Quadri di Riferimento Europei da EntreComp a LifeComp a GreenComp danno un ulteriore contributo a trovare un concetto condiviso di cittadinanza attiva e responsabile, basata sull’apprendimento permanente e la sostenibilità.

Le domande che contano

Il Quaderno Eurydice n. 49, tradotto parzialmente nel 2022 da INDIRE con il titolo “L’equità dell’istruzione scolastica in Europa: strutture, politiche e rendimento degli studenti”[1] cerca di stabilire se esiste o no a livello europeo un concetto condiviso di equità nell’istruzione a partire da approcci e strategie comuni per realizzarla.

Per semplificare, potremmo chiederci se e come i sistemi educativi danno risposte omogenee a queste tre domande:

1. se l’istruzione di una persona influenza le sue aspettative di lavoro e di reddito (ma anche di salute e di vita), è ancora oggi l’istruzione il mezzo privilegiato per contrastare le disuguaglianze sociali?

2. i sistemi educativi devono preoccuparsi solo di creare un’equa distribuzione di opportunità educative o anche (e soprattutto) dei risultati di apprendimento?

3. come rispondono i sistemi educativi per spezzare il nesso tra scarso rendimento scolastico e contesto socioeconomico di provenienza?

Rapporto tra investimenti e apprendimenti

La tesi sostenuta dall’OCSE nel suo Rapporto del 2012, ad esempio, è che i Paesi più performanti siano quelli che integrano eccellenza dei risultati di apprendimento (merito) ed equità. Un’altra evidenza è che dietro questi risultati ci siano investimenti notevoli in termini di percentuale del PIL a favore delle spese per l’istruzione.

Altri studi, invece, fanno notare come all’impegno di notevoli risorse economiche non corrispondano automaticamente migliori risultati di apprendimento degli studenti.

La percentuale del PIL per le spese nel settore dell’istruzione è, infatti, uno degli indicatori presenti nell’Education and Training Monitor del 2023, voluto dalla Commissione europea per monitorare la progressione di avvicinamento ai traguardi attesi per il 2030. Il semplice confronto tra il 4,1%, percentuale italiana in aumento e il 5,7%, percentuale della Finlandia in calo, la dice lunga sulla serie storica degli investimenti nel settore dell’istruzione dei due paesi; così come è evidente la tendenza positiva in Portogallo, Spagna e Grecia.

Ma, sempre nei tabulati di Education and Training Monitor, troviamo un indicatore specifico relativo all’equità che è il risultato di più elementi di indagine relativi al rapporto tra contesto di appartenenza dello studente, genere e risultati di apprendimento.

Il Pilastro Europeo dei diritti sociali e le riforme in atto

La scelta dell’UE è ben rappresentata dal Pilastro europeo dei diritti sociali[2], che già nel 2017 aggiungeva due indicatori importanti, di cui i sistemi educativi dovranno tener conto per l’efficacia dei processi di insegnamento apprendimento: le disuguaglianze di reddito e di genere, come si evince dal tabellone di valutazione sociale riprodotto di seguito e ripreso dall’Allegato 2 al documento.

Indicatori di pari opportunità nei sistemi educativi

Se, per il secondo anno consecutivo, i dati sull’equità dei sistemi educativi indicano approcci diversi in Europa, ma comuni priorità d’intervento, molto probabilmente questo dipende dalle scelte di campo operate a livello di Commissione Europea, che hanno oggettivamente promosso l’omogeneità delle riforme in atto. Nei 27 Paesi dell’UE sono quattro i filoni di riforma prevalenti.

Educazione e cura della prima infanzia

L’educazione e cura della prima infanzia (Early childhood education and care – ECEC) è sempre più riconosciuta come quella che fornisce le basi per l’apprendimento permanente e lo sviluppo. Il Pilastro europeo dei diritti sociali dichiara che i bambini hanno diritto all’educazione e cura della prima infanzia a costi sostenibili e di buona qualità. Per avere una definizione condivisa sul significato effettivo di tale dichiarazione il Consiglio ha adottato una Raccomandazione relativa ai sistemi di educazione e cura di alta qualità della prima infanzia nel maggio 2019[3].

Il monitoraggio effettuato dalla Commissione Europea (CE), pubblicato da Eurydice, compara i sistemi sulla base delle cinque dimensioni di qualità, stabilite dalla Raccomandazione stessa: governance, accesso, personale, linee guida educative, valutazione e monitoraggio. Evidenzia, altresì, il forte squilibrio nelle garanzie, in molti Paesi membri, soprattutto in quelle di accesso ai bambini di età inferiore ai tre anni con effetti importanti sulla qualità dei servizi erogati e sui costi degli stessi. La Raccomandazione ha determinato un concreto indirizzo affinché i Paesi UE realizzino l’integrazione dei sistemi ECEC, agendo per:

  • offrire una struttura unica;
  • affidare la governance ad un’unica autorità competente;
  • garantire personale altamente qualificato nell’intero segmento 0-6;
  • prevedere attività educative intenzionali per l’intero segmento 0-6.

Obbligo scolastico in Europa e risultati di apprendimento dei quindicenni

In tutta Europa l’istruzione obbligatoria dura almeno 8 anni. Nella grande maggioranza dei paesi la durata è di 10 anni come in Italia. In diversi paesi dura più a lungo: 11 anni in Lettonia, Lussemburgo, Malta; 12 anni in Portogallo, 13 anni in Ungheria, nei Paesi Bassi e in alcuni Laender tedeschi, 15 anni in Francia.

Sono due gli obiettivi che collegano il prolungamento dell’obbligo di istruzione all’innalzamento della qualità dell’istruzione nel nostro continente:

  1. garantire ad una platea sempre più larga di cittadini il possesso delle competenze di base, indispensabili alla cittadinanza attiva;
  2. prevenire l’abbandono precoce dei percorsi di istruzione e formazione.

In questa direzione vanno interpretati sia l’utilizzo delle indagini internazionali (IEA – OCSE PISA) sul rendimento scolastico degli allievi (e quelle delle agenzie nazionali incaricate) sia l’impegno costante ad aggiornare il corredo delle competenze necessarie al cittadino del XXI secolo.

Le riforme dell’obbligo sono accompagnate da una contestuale revisione dei curricula scolastici e, soprattutto, da una impostazione della valutazione e certificazione delle competenze sulla base dei livelli dell’European Qualification Framework (EQF).

Istruzione e Formazione Professionale (IFP)

A questo tema l’Europa del Green Deal e delle transizioni verde e digitale affida un ruolo prioritario nei Piani di Ripresa e Resilienza post pandemici collegati alla Next Generation EU. Infatti, le politiche scolastiche collegate alla strategia di ET 2020 hanno mantenuto il maggior numero di persone dentro percorsi di istruzione e formazione e hanno sicuramente contribuito ad abbattere il tasso di abbandono scolastico al 10%, ma risulta ancora insufficiente l’impegno dei Paesi membri nell’affidare alla filiera professionalizzante la capacità di realizzare appieno l’apprendimento permanente così come è necessario per una società equa e resiliente.

La filiera professionalizzante va considerata nella sua totalità e comprende: l’IFP iniziale; l’IFP di eccellenza, o Accademie post diploma comparabili alle lauree brevi; l’IFP continua, che allarga ai sistemi non formali e informali di formazione la possibilità di recuperare tutte le opportunità di apprendimento permanente anche in età adulta o ai giovani adulti.

I dati riferibili agli obiettivi collegati all’istruzione professionalizzante non sono, tuttavia, incoraggianti, in particolare l’aumento della percentuale delle lauree brevi professionalizzanti entro i 34 anni in rapporto alla percentuale degli occupati. Non sfugge poi il legame tra l’IFP e la ricerca di nuove competenze per i nuovi lavori.

Per questo motivo, la nuova strategia Europa 2030 riserva all’IFP ampio spazio nell’Agenda per le nuove competenze[4] e nella Raccomandazione del Consiglio “relativa all’Istruzione e formazione professionale (IFP) per la competitività sostenibile, l’equità sociale e la resilienza” del 24 novembre 2020[5]. Si legge testualmente nella Raccomandazione che i Paesi membri hanno il compito di “promuovere i sistemi europei di istruzione e formazione professionale in un contesto internazionale, affinché siano riconosciuti come riferimento a livello mondiale per i discenti della formazione professionale”.

Istruzione degli adulti e apprendimento permanente

Percorsi formali cosiddetti delle seconde opportunità per il conseguimento di diplomi, riconoscimento dei crediti lavorativi, introduzione delle micro credenziali grazie alla Raccomandazione del Consiglio del 24 novembre 2020 “IFP per la competitività sostenibile, l’equità sociale e la resilienza” sono alla base delle riforme del settore, sostenute anche dai nuovi Quadri di Riferimento per le otto competenze chiave. È evidente la volontà di integrare apprendimento formale e non formale, in modo da favorire l’esigenza sempre più frequente di qualificarsi per nuovi lavori, ma anche di implementare le opportunità di periodi “garantiti” di formazione finora riconosciute solo nel pubblico impiego.


[1] Commissione europea/EACEA/Eurydice, 2020. L’equità nell’istruzione scolastica in Europa: strutture, politiche e rendimento degli studenti. Rapporto Eurydice. Lussemburgo: Ufficio delle pubblicazioni ufficiali dell’Unione europea. La versione italiana del 2021, curata da INDIRE, riporta solo la Parte Prima della pubblicazione originale.

[2] https://commission.europa.eu/system/files/2017-12/social-summit-european-pillar-social-rights-booklet_it.pdf

[3] Cfr: Commissione europea/EACEA/Eurydice, 2019. Key Data on Early Childhood Education and Care in Europe – 2019 edition. Rapporto Eurydice. Lussemburgo: Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea. La Raccomandazione a cui si fa riferimento è la Raccomandazione del Consiglio, del 22 maggio 2019, relativa ai sistemi di educazione e cura di alta qualità della prima infanzia (GU C 189 del 5.6.2019, p. 4-14).

[4] Cfr. Comunicazione della CE al Parlamento, al Consiglio del 1° luglio 2020 “Un’Agenda per le competenze per l’Europa per la competitività sostenibile, l’equità.

[5] Cfr. 2020/C 417/01 “Raccomandazione del Consiglio relativa all’istruzione e formazione professionale (IFP) del 24 novembre 2020.