Valutare è valutarsi

Organizzazione, professionalità, visione

Sappiamo tutti che la valutazione (o meglio il voto) è il punto di maggiore attenzione di tutto il processo formativo non solo degli studenti ma anche delle famiglie. Ma se una scuola asseconda questa tendenza rischia di disattendere alla propria missione educativa. La valutazione va ricondotta al suo specifico ambito: quello di misurare margini di miglioramento che coinvolgono tutti, non solo quelli che non raggiungono la sufficienza.

La docimologia, “scienza” risalente agli anni Sessanta del secolo scorso, e che si deve, inizialmente, agli studi di Henry Piéron, ha sue proprie ragioni. È opportuno considerarla non come un momento separato, ma indissolubilmente connessa con tutto il percorso educativo.

Relazione e reciprocità

Tutti sappiamo che quando si parla di valutazione formativa intendiamo quella in itinere, che la valutazione sommativa è quella che conclude un percorso e che fa sintesi sugli apprendimenti conseguiti. Tendenzialmente, per l’una e per l’altra, si utilizzano prove scritte, sulla base di griglie valutative di carattere intersoggettivo, e le cosiddette “interrogazioni” il cui termine non è poi così appropriato. Sarebbe meglio usare il termine “colloquio” perché più conforme all’idea che l’educazione vive nella relazione e nella reciprocità. Possono esserci momenti di interlocuzione da cui traiamo motivi per formarci un giudizio. Possono esserci occasioni specificamente dedicate a verificare il grado di avanzamento degli apprendimenti.

È importante che gli studenti lo sappiano. Più dell’effetto sorpresa conta la solidità della loro preparazione, delle loro conoscenze, delle loro abilità, delle loro competenze. Da un lato, il sapere, dall’altro, il sapere confrontarsi con prove di realtà e compiti autentici.           

Tempestività, trasparenza, congruità

Poi, una volta espressa una valutazione, essa, com’è noto, deve essere comunicata in forma “trasparente e tempestiva”. Il DPR n. 122 del 22 giugno 2009, art. 1, comma 2, è chiarissimo: “La valutazione è espressione dell’autonomia professionale propria della funzione docente, nella sua dimensione sia individuale che collegiale, nonché dell’autonomia didattica delle istituzioni scolastiche. Ogni alunno ha diritto ad una valutazione trasparente e tempestiva…”. Questo concetto era già stato indicato da DPR n. 249 del 24 giugno 1998, all’art. 2, Diritti, relativo allo Statuto delle studentesse e degli studenti, modificato dal DPR n. 235 del 21 novembre 2007, in particolare relativamente al Patto educativo di corresponsabilità. Ed è stato ripreso successivamente dall’articolo primo, comma 5 del D.lgs 62/2017: “Per favorire i rapporti scuola-famiglia, le istituzioni scolastiche adottano modalità di comunicazione efficaci e trasparenti in merito alla valutazione del percorso scolastico delle alunne e degli alunni, delle studentesse e degli studenti.

Le valutazioni vanno comunicate per tempo e, per tempo, inserite nel Registro Elettronico, perché se passa troppo tempo tende a prevalere l’opinione del docente sullo studente, invece della considerazione, attenta e pertinente, della prova.

Oltre ai criteri della trasparenza e della tempestività, è fondamentale quello della congruità delle valutazioni. Ogni proposta di voto da proporre, a fine anno scolastico, per gli scrutini, deve scaturire da un “congruo” numero di verifiche, scritte e/o orali. Una sola verifica non basta. Ne occorrono almeno due o tre, per ogni disciplina, per ogni quadrimestre (secondo la periodizzazione dell’anno scolastico prevalente), realizzate in modalità. È ciò che comporta una programmazione adeguata.

Programma o programmazione?

Gli insegnanti soffrono tutti perché il tempo sembra non bastare mai, specie nell’ultimo periodo didattico; la preoccupazione si accentua nell’ultimo mese e nelle ultime settimane.

L’espressione ricorrente “sono indietro col programma”, “non riesco a finire il programma” è abbastanza usuale anche tra i professionisti più preparati pur sapendo che il programma, almeno quello tradizionale, da tempo non esiste più[1], a partire cioè dall’autonomia scolastica (Legge n. 59 del 15 marzo 1997 e relativo Regolamento nel DPR n. 275 dell’8 marzo 1999). Ed è trascorso un quarto di secolo.

Per gli Istituti tecnici e gli Istituti professionali, esistono le Linee guida, conseguenza dell’art. 13, comma 1-quinquies della legge n. 40 del 2 aprile 2007, rinnovellato dall’articolo 64 della Legge 6 agosto 2008, n. 133 che ha portato ai successivi decreti legislativi, così pure per i Licei il cui riordino risale al 2010 (DPR 89/2010) e per i quali vigono le Indicazioni nazionali.

Le Linee guida e le Indicazioni nazionali si intersecano con il Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF), sino a trovare una definizione nella programmazione didattica di ciascun Consiglio di classe e di ciascun docente.

Il valore della rendicontazione

In realtà, nella scuola dell’autonomia, conta ciò che concretamente si fa, e come lo si fa, specie in riferimento al “documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale” (legge n. 107 del 13 luglio 2015, art. 1, comma 14), che riscrive l’art. 3 del DPR n. 275 dell’8 marzo 1999.

Conta, nella scuola secondaria del secondo ciclo, a consuntivo, a fine anno scolastico, il resoconto della programmazione didattica, considerando le Linee guida e le Indicazioni nazionali, in relazione ai temi realmente trattati. Sempre di più si va affermando, anche nella scuola, il valore di un’amministrazione non chiusa in sé stessa, ma aperta e dialogante, estroflessa, non introversa.

Dall’anno scolastico 2019/2020 la rendicontazione è entrata a far parte delle best practices del fare scuola, anche in relazione ad una linea evolutiva che va dalla Leggen. 241 del 7 agosto 1990 al D.lgs. n. 33 del 14 marzo 2013 sino al D.lgs. n. 97 del 25 maggio 2016(il Freedom of Information Act o FOIA), tendenza che, nel corso del tempo, ha assunto il profilo della accountability.

La rendicontazione può garantire una maggiore evidenza pubblica di quel che si fa nel rispetto dell’esigenza di restituire al contesto territoriale e all’utenza il senso dei risultati conseguiti sulla base delle risorse investite e dei progetti realizzati. Non solo: la rendicontazione favorisce l’autovalutazione, per questo è auspicabile che diventi sempre di più un’attitudine largamente diffusa, non l’eccezione, la regola.

Una professione impegnativa

Quella del docente è tra le professioni più delicate e complesse. L’ultimo CCNL del Comparto Istruzione e Ricerca[2] al comma 1 dell’art. 42 (Profilo professionale docente) ribadisce le caratteristiche professionali del docente: “Il profilo professionale dei docenti è costituito da competenze disciplinari, informatiche, linguistiche, psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali, di orientamento e di ricerca, documentazione e valutazione tra loro correlate ed interagenti, che si sviluppano col maturare dell’esperienza didattica, l’attività di studio e di sistematizzazione della pratica didattica”. Occorrono, quindi, dedizione e tenacia nella preparazione ordinata delle lezioni. I docenti valutano: ma anche gli studenti valutano. In campo educativo funziona la reciprocità. Valutare è valutarsi.

Quando si parla di missione educativa entrano in campo sia la qualità dei contenuti didattici sia la capacità di capire gli studenti e di vigilare sui loro apprendimenti; in altre parole significa saper “gestire la classe” stabilendo con ognuno un dialogo costruttivo.

Ciò che “passa”

Anche a proposito del nesso inscindibile tra insegnamento e apprendimento, merita di essere ricordato il contributo di Noberto Bottani che già negli anni Ottanta del secolo scorso ci metteva in guardia sugli aspetti più critici del fare scuola. Per sottrarre la scuola ad ogni provincialismo, si invitava a guadare sia allo scenario europeo, sia ai segni di una crisi pedagogica che, nel corso degli ultimi decenni, si stava accentuandosi. Bisogna riaffermare la fondamentale funzione cognitiva della scuola.

In Professoressa addio[3] Bottani ha spiegato che se i docenti (europei) presentano un livello culturale medio o basso, ciò è dovuto al fatto che si chiede loro di assolvere mansioni che non sono tanto di natura “conoscitiva”, quanto di ordine “sociale”.

Nel libro La ricreazione è finita[4]aveva già messo bene in evidenzacome le strategie d’innovazione non otterranno mai risultati adeguati se non si baseranno “su ciò che accade in un’aula scolastica, fra docenti e alunni”.        

Tutto il discorso proposto da Bottani pone al centro la questione del “sapere scolastico”, che, in primo luogo, dovrebbe risiedere nella competenza degli insegnanti. Il nodo resta sempre lo stesso: ciò che “accade” in un’aula tra docente e alunni; ciò che “passa” e come passa tra loro. La scommessa dell’esperienza formativa è sempre uguale, ma è sempre in mille modi diversa.

Un’organizzazione al servizio della didattica

L’organizzazione scolastica dovrebbe avere come alta finalità quella di rendere fertile la relazione educativa. A volte l’istituzione tende, purtroppo, nonostante i buoni propositi, ad aggiungere adempimenti, procedure, in uno stillicidio burocratico senza requie e, talvolta, senza una motivata necessità.

L’organizzazione dovrebbe essere semplicemente ed esclusivamente al servizio della didattica, non giustapposta ad essa, ma complementare. Continua, invece, ad accadere che all’inizio di ogni ora di lezione un insegnante entra in classe mentre il collega esce in maniera routinaria con attenzione solo alla “procedura” da seguire perché il “cambio” avvenga in sicurezza. E continua quindi a valere la metafora della locomotiva sulla quale, ad una determinata ora, sale il macchinista, mentre il collega smonta e lascia il servizio.

Costruire, non destrutturare

Prima ancora di avventurarsi in tentativi di destrutturare la valutazione con soluzioni complesse e di esito incerto, potrebbe essere utile ripensare ad alcuni principi basilari:

  1. applicare realmente ciò che la norma prevede: trasparenza, tempestività, congruità e facciamolo sul serio, con convinzione e anche rigore;
  2. porre sempre al centro gli studenti e il loro apprendimento reale;
  3. ripartire dalle didattiche più efficaci piegando l’organizzazione della scuola al servizio dello studente;
  4. applicare costantemente i principi della semplificazione e della velocità nell’azione amministrativa.

È possibile che non sia facile smontare la griglia irrigidita del calendario orario; ma è maturo il tempo per provarci[5]. I nuovi ambienti di apprendimento di cui le scuole si stanno dotando, anche grazie al PNRR, possono favorire e accelerare questi processi, allargando le maglie dell’orario inserendo una didattica che funzioni oltre la classe, tra le classi e le sezioni, mettendo al centro l’interesse degli studenti.

Le condizioni per farlo

C’è un passaggio della Legge n. 107 del 13 luglio 2015, nel comma 14, punto 4, ove si spiega, in relazione all’offerta formativa, che il Dirigente scolastico “promuove i necessari rapporti” con un ampio spettro di componenti scolastiche e non scolastiche e “tiene altresì conto delle proposte e dei pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni dei genitori e, per le scuole secondarie di secondo grado, degli studenti”. Ci sono quindi tutte le condizioni per operare al meglio.

L’inciampo più corrosivo, che può impedire alla scuola di guardare avanti, risiede nella coazione a ripetere insita nel genere umano e anche, quindi, nei docenti: “Si è sempre fatto così”. È una frase che spegne la speranza di cambiamento e la voglia di sperimentare.

Dobbiamo invece continuare a cercare le soluzioni migliori attraverso una logica di condivisione e collaborazione: verifichiamo serenamente i risultati: correggiamo quel che c’è da correggere; miglioriamo di volta in volta il progetto che non può mai ritenersi definitivamente concluso.


[1] Cfr. Scuola7 – 233 di del 2 maggio 2021.

[2] CCNL del Comparto Istruzione e Ricerca, sottoscritto, presso la sede dell’A.Ra.N., il 18 gennaio 2024, per il periodo 2019-2021, in coerenza con l’Ipotesi di CCNL siglata in data 14 luglio 2023.

[3] Noberto Bottani, Professoressa addio, Bologna, il Mulino, 1994.

[4] Noberto Bottani, La ricreazione è finita, Bologna, il Mulino, 1986.

[5] Tra i tentativi in atto, i Laboratori della creatività, sperimentati nell’IIS “Francesco Alberghetti” di Imola, pensati come arricchimento dell’offerta formativa, inseriti nell’aggiornamento annuale del PTOF, condivisi, nello spirito della “educazione tra pari”, con i rappresentanti degli studenti in Consiglio di Istituto e nei Consigli di classe nei giorni 15, 16, 17 febbraio dell’anno corrente, non come sostituzione, ma come integrazione dell’attività didattica in aula.