Le Indicazioni Nazionali 2025 per il primo ciclo di istruzione introducono formalmente l’informatica nel curricolo della scuola primaria e recepiscono le Raccomandazioni europee sulle competenze digitali[1]. Tuttavia, un’analisi approfondita del quadro normativo complessivo rivela una tensione irrisolta tra l’esigenza di modernizzazione curricolare e un approccio prevalentemente difensivo rispetto alle tecnologie digitali, che rischia di limitare il potenziale trasformativo dell’innovazione didattica.
Evoluzione del curricolo digitale: dal 2012 al 2025
Per comprendere appieno la portata delle nuove Indicazioni è necessario ripercorrere brevemente l’evoluzione delle politiche scolastiche italiane in materia digitale. Le Indicazioni Nazionali del 2012 consideravano la competenza digitale principalmente come strumento trasversale, inserito tra le otto competenze chiave europee ma senza un’enfasi programmatica specifica sull’informatica o sulle metodologie attive.
Il periodo successivo al 2015, caratterizzato dal Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) e culminato nei “Nuovi Scenari” del 2018, ha rappresentato una fase di forte impulso innovativo. L’attenzione si è spostata dalla semplice alfabetizzazione digitale alla trasformazione degli ambienti di apprendimento, con particolare enfasi sul BYOD (Bring Your Own Device) e sull’uso della tecnologia per il problem solving e la didattica laboratoriale. Questo approccio promuoveva il dispositivo personale come leva per l’apprendimento attivo e la costruzione autonoma della conoscenza.
Il PNRR con scuola 4.0 e gli enormi investimenti su dispositivi, ambienti e formazione ha accelerato ulteriormente i processi di innovazione.
Indicazioni 2025
Le Indicazioni Nazionali 2025 segnano un punto di flesso significativo, segnano una svolta e un cambio di direzione su questo settore. Dal punto di vista formale, introducono importanti elementi di innovazione: l’informatica viene distinta dal generico “digitale” e viene articolata in due dimensioni complementari. La prima riguarda l’aspetto matematico e comprende coding, algoritmi e programmazione elementare (con istruzioni di selezione e ripetizione, equivalenti a Scratch). La seconda, più tecnologica, include l’architettura hardware/software, l’uso sicuro di Internet e la protezione dei dati.
Il pensiero computazionale trova spazio attraverso obiettivi come il riconoscimento di regolarità e pattern, in conformità alla legge n. 233 del 29 dicembre 2021 articolo 24bis[2].
Parallelamente, gli obiettivi di Cittadinanza digitale, definiti anche attraverso le Linee guida 2024 per l’Educazione Civica[3], pongono forte accento sulla dimensione etica e di sicurezza: ricerca in ambienti protetti, comunicazione consapevole, riconoscimento delle fake news, gestione dell’identità digitale per il benessere psico-fisico.
Il divieto di smartphone: paradigma della cautela
L’elemento che più chiaramente esemplifica l’orientamento cautelativo delle nuove disposizioni è il divieto di utilizzo degli smartphone. L’interdizione, estesa a entrambi i cicli di istruzione e in alcuni casi applicata anche a docenti e personale ATA, prevede sanzioni disciplinari per i trasgressori. L’unica deroga ammessa riguarda le finalità didattiche inclusive, condizionate però all’indicazione esplicita del docente e alla definizione di un regolamento interno da parte del Collegio Docenti.
Questa disposizione ha generato un acceso dibattito tra educatori e dirigenti scolastici. Le critiche principali evidenziano come il divieto assoluto sia pedagogicamente controproducente, impedendo lo sviluppo di un uso consapevole dello smartphone in contesto controllato e ignorando i vantaggi didattici documentati: accesso immediato a risorse digitali, realizzazione di sondaggi in tempo reale, utilizzo della realtà aumentata, facilitazione del lavoro collaborativo.
L’interdizione trasforma il dispositivo personale da potenziale strumento di creazione e competenza a oggetto di rischio da confinare disciplinarmente. Questa impostazione contrasta con l’obiettivo fondamentale dell’educazione digitale, che dovrebbe insegnare agli studenti a navigare e costruire all’interno della complessità, non a evitarla.
Si configura inoltre una precisa delega di responsabilità: mentre il Ministero gestisce il rischio attraverso un divieto uniforme imposto centralmente, l’onere di creare opportunità didattiche costruttiviste viene scaricato sui singoli Collegi Docenti. Questo meccanismo non garantisce uniformità formativa, ma solo uniformità disciplinare, rischiando di esacerbare il digital divide metodologico tra istituti dotati di risorse e leadership pedagogica adeguate e quelli che si limiteranno all’interdizione passiva.
Sbilanciamento rischi-opportunità e sfida della vita onlife
Il nucleo della questione critica risiede nello sbilanciamento del linguaggio normativo: il tono prevalente è quello della sicurezza e della protezione, a scapito dell’enfasi sulla creazione e la trasformazione didattica.
Certamente le preoccupazioni per l’impatto del digitale sono legittime e supportate da evidenze, non tutte però riconducibili ad un rapporto diretto di causa ed effetto. L’enfasi sulla protezione dei dati personali è in linea con il GDPR[4]: le preoccupazioni per le dipendenze digitali e i recenti studi che collegano l’accesso precoce a smartphone e social media a potenziali disuguaglianze educative rafforzano la necessità di regolamentazione. Tuttavia, quando un approccio difensivo non è bilanciato da un approccio creativo e costruttivo, rischia di ridurre la competenza digitale alla sola mera capacità di evitare pericoli.
La questione si complica ulteriormente se consideriamo la natura stessa della contemporaneità digitale. La vita quotidiana dei nostri studenti si configura come esistenza “onlife”, secondo la fortunata definizione di Luciano Floridi: una condizione iperconnessa in cui i confini tra dimensione online e offline si dissolvono progressivamente. Questa trasformazione antropologica comporta conseguenze cognitive e comportamentali significative che la scuola non può ignorare.
L’immersione costante negli ambienti digitali produce infatti un indebolimento documentato di alcune abilità fondamentali:
- la capacità mnemonica, compromessa dall’esternalizzazione della memoria sui dispositivi;
- la lettura profonda e sostituita dallo skimming superficiale;
- la concentrazione prolungata, erosa dal multitasking e dalle continue notifiche;
- l’attività fisica, ludica e all’aperto, progressivamente soppiantata dall’intrattenimento schermico.
Si tratta di dimensioni che costituiscono il sostrato stesso dello sviluppo cognitivo, emotivo e relazionale delle giovani generazioni.
Il rischio della prudenza eccessiva
Le Indicazioni Nazionali 2025 sono state criticate, però, per la mancanza di una riflessione articolata sull’IA, limitandosi a raccomandazioni generiche di prudenza.
Il documento, secondo i critici, da un lato cita l’IA come simbolo di modernità, dall’altro ne limita l’integrazione didattica. Le Indicazioni invitano, per esempio, a rielaborare i testi generati automaticamente, ma per sottolineare il rischio di plagio. Questo è visto come un approccio difensivo e reattivo, che teme l’IA come fonte di scorciatoie o frodi, anziché accoglierla come risorsa formativa. Ignora, in altre parole, il potenziale pedagogico dell’IA per la personalizzazione dell’apprendimento, l’educazione critica sui media e la comprensione dei meccanismi algoritmici.
Il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione aveva già richiesto (30 giugno 2025) che l’IA fosse considerata come vera opportunità per la trasformazione didattica, non come semplice strumento da temere, come per altro previsto nelle recenti linee del Ministero sull’introduzione dell’IA nella scuola.
La conseguenza di questa cautela eccessiva è paradossale: se la scuola si limita a raccomandare prudenza senza insegnare attivamente a decodificare e comprendere i meccanismi algoritmici, gli studenti impareranno a usare la tecnologia come “scatola nera” da cui guardarsi, non come sistema da interrogare, smontare e progettare. Questo porta a una minore vera consapevolezza digitale, in contraddizione con l’obiettivo dichiarato di formare cittadini capaci di navigare la complessità contemporanea.
Contrapposizione tra processi naturali e processi digitali
Nonostante l’informatica sia stata formalmente introdotta, distinguendola dal generico “digitale”, l’approccio descritto presenta il rischio di “riduzionismo tecnicista”. L’assenza di un chiaro mandato metodologico costruttivista in un contesto normativo orientato alla trasmissione verticale del sapere può ridurre il coding a mero esercizio di sintassi o logica binaria, svuotandolo del potenziale creativo.
Nelle sezioni dedicate a Tecnologia o Arte/Immagine mancano, per esempio, obiettivi operativi specifici che promuovano l’uso sperimentale e costruttivista delle tecnologie. L’unica apertura significativa riguarda l’incoraggiamento all’apprendimento ibrido, che integra attività pratiche, simulazioni virtuali e strumenti digitali per il problem solving. Tuttavia, senza indicazioni esplicite su come i dispositivi personali debbano essere integrati nella didattica creativa, questa apertura rischia di rimanere teorica.
Il contrappunto pedagogico emerge dalla specifica valorizzazione di elementi che possiamo definire “tradizionali”. Per esempio, il ritorno del corsivo, la cura della calligrafia, l’educazione musicale e il disegno vengono esaltati per il loro “valore cognitivo, relazionale, affettivo”. Questi elementi, pur legittimi e pedagogicamente rilevanti, creano però un confronto implicito. Se si attribuisce profondità cognitiva ai processi manuali e si enfatizzano i rischi dell’interazione digitale proibendo l’uso dei dispositivi, si costruisce un modello educativo in cui il digitale sembrerebbe non generare processi cognitivi di alcun genere.
Necessità di un equilibrio pedagogico
Proprio qui, però, si apre uno spazio interpretativo importante che le Indicazioni 2025 non esplicitano adeguatamente. La valorizzazione di pratiche tradizionali non dovrebbe configurarsi come semplice nostalgia pedagogica o rifiuto del digitale, ma come risposta necessaria agli effetti della vita onlife. La scuola contemporanea si trova infatti a dover affrontare una doppia sfida apparentemente contraddittoria ma in realtà complementare: da un lato potenziare l’educazione digitale critica e costruttivista, fornendo gli strumenti essenziali per vivere consapevolmente nella società contemporanea; dall’altro introdurre e moltiplicare attività ed esperienze che stimolino e allenino proprio quelle abilità indebolite dall’iperconnessione.
Questa prospettiva trasforma radicalmente il significato pedagogico di attività come la calligrafia, il disegno manuale, la lettura prolungata su carta, il gioco motorio all’aperto, le attività laboratoriali concrete, l’educazione musicale pratica. Non si tratta di resistenze passatiste, ma di presidi cognitivi intenzionali: esercizi sistematici di memoria, pratiche di concentrazione sostenuta, esperienze di corporeità autentica, momenti di disconnessione produttiva che consentono al cervello di consolidare apprendimenti profondi. La scrittura corsiva, ad esempio, non è solo tradizione estetica ma allenamento di coordinazione oculo-manuale e sequenzialità; la lettura integrale di testi complessi non è anacronismo letterario ma palestra di attenzione sostenuta; l’attività fisica strutturata non è semplice ricreazione ma fondamento neurobiologico dell’apprendimento.
Il curricolo contemporaneo dovrebbe quindi configurarsi come equilibrio dinamico: educazione digitale critica e costruttivista per abitare consapevolmente la complessità tecnologica, ed educazione analogica intenzionale per preservare e potenziare capacità cognitive che il digitale tende a erodere. Questa visione richiede che docenti e dirigenti superino tanto il tecno-entusiasmo acritico quanto il rifiuto nostalgico, costruendo percorsi didattici che integrino creativamente le due dimensioni. La scuola deve formare giovani capaci di programmare algoritmi e leggere profondamente Dante, di analizzare criticamente i social media e coltivare la memoria, di utilizzare l’intelligenza artificiale e giocare liberamente all’aperto.
Verso un BYOD costruttivista ed etico
Per gli operatori scolastici la sfida cruciale consiste nel trasformare la cornice normativa delle Indicazioni Nazionali 2025 in una base per l’innovazione didattica, recuperando i principi del costruttivismo pedagogico.
Il Collegio dei Docenti deve utilizzare il proprio mandato per elaborare regolamenti BYOD che non si limitino a stabilire sanzioni, ma definiscano attivamente orizzonti metodologici. Questo significa trasformare l’eccezione didattica prevista dalle circolari (l’uso dei dispositivi a fini didattici) nella norma operativa per lo sviluppo delle competenze digitali. Alcune strategie concrete possono orientare questo percorso.
- Innanzitutto, occorre promuovere il passaggio dal consumo alla creazione: attività che richiedano agli studenti di usare i dispositivi per la produzione (editing video/podcast, creazione di prototipi digitali, design thinking, comunicazione in lingua straniera) piuttosto che per la mera fruizione di contenuti.
- In secondo luogo, va incoraggiata l’integrazione ibrida e multimediale, mescolando attività pratiche con simulazioni virtuali e utilizzo di strumenti digitali per la progettazione collaborativa. L’integrazione tra tecnologia, scienze umane e arte deve diventare un obiettivo esplicito.
- Fondamentale è inoltre sviluppare un’educazione all’algoritmo e all’etica in chiave costruttivista. Per rispondere alla generica prudenza ministeriale sull’IA, i docenti dovrebbero utilizzare approcci che consentano di esplorare come la tecnologia modella percezione e identità.
- Insegnare a comprendere i confini tra etica e controllo nella relazione mediata dalla tecnologia, utilizzando l’IA come oggetto di studio critico, è essenziale per formare cittadini consapevoli. L’applicazione del pensiero computazionale deve orientarsi a risolvere problemi reali, non solo tecnici.
Parallelamente a questo potenziamento delle competenze digitali, occorre strutturare intenzionalmente esperienze che controbilancino gli effetti dell’iperconnessione.
Educazione integrale per la vita onlife
Questo significa progettare sistematicamente momenti di lettura profonda e prolungata, attività che richiedano memorizzazione attiva, esercizi di concentrazione sostenuta, laboratori manuali e artistici, attività motorie all’aperto, esperienze ludiche autentiche non mediate da schermi.
Significa costruire curricoli che valorizzino consapevolmente le attività pratiche come presidi cognitivi essenziali: la calligrafia, il disegno e la manualità fina (anche attività con ago, filo, uncinetto e ferri) come allenamento di coordinazione e sequenzialità, la lettura prolungata come palestra di attenzione e contatto con sé stessi, l’attività fisica come fondamento neurobiologico dell’apprendimento e di relazione, il gioco libero come spazio di creatività autentica.
Tali attività non devono configurarsi come “pause” dal curricolo principale, ma come componenti essenziali e paritarie di un’educazione integrale che prepara studenti capaci di abitare pienamente tanto la dimensione digitale quanto quella analogica, tanto la velocità del processamento algoritmico quanto la lentezza della riflessione profonda.
Ma tali attività non sono alternative al digitale, ma sue necessarie integrazioni in un’educazione che miri alla formazione integrale della persona.
Quindi, se si interpretano le Indicazioni 2025 tenendo presente questi presupposti di base, anche questo documento istituzionale può diventare una opportunità per ripensare l’educazione in modo integrale, rispondendo alla doppia esigenza della contemporaneità onlife.
Solo attraverso questo equilibrio dinamico la scuola potrà garantire il diritto all’apprendimento, ma non mediante una imposizione disciplinare che ha le sue radici sia nealla nostalgia per il passato sia nella paura del futuro digitale. La competenza digitale critica e creativa non può essere relegata ai margini del curricolo, ma deve coesistere armonicamente con la cura delle facoltà cognitive profonde. La sfida educativa contemporanea consiste nel formare giovani pienamente capaci di abitare la complessità onlife: programmatori che sappiano leggere in profondità, analisti di dati che coltivino la memoria, nativi digitali che conoscano anche il piacere della disconnessione creativa e del movimento fisico. Solo questa visione integrale può preparare cittadini autenticamente liberi e consapevoli nella società iperconnessa.
[1] Raccomandazione del Consiglio sui fattori abilitanti fondamentali per il successo dell’istruzione e della formazione digitali, 23 novembre 2023.
[2] G. Benassi, Coding e didattica con il digitale, Scuola 7 n. 266/2022.
[3] Nuove linee di Educazione civica, DM n. 183 del 7 settembre 2024.
[4] General Data Protection Regulation (Regolamento UE 2016/679). È la normativa europea che stabilisce le regole per il trattamento dei dati personali da parte di aziende, organizzazioni e enti pubblici, al fine di proteggere i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche, in particolare il diritto alla protezione dei dati personali.