Giancarlo Cerini, nel suo ultimo libro, uscito postumo[1], ricorda che il Comitato scientifico nazionale per le Indicazioni nazionali della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione produsse nel 2018 il documento dal titolo “Indicazioni nazionali e nuovi scenari” per una rilettura delle Indicazioni 2012 alla luce delle competenze di cittadinanza.
Contemporaneamente il Consiglio europeo con la propria raccomandazione del 22 maggio 2018 revisionava il testo delle competenze chiave per l’apprendimento permanente prodotto nel 2006.
Il dibattito sulle competenze, osservava Cerini, viene spesso affrontato in termini di contrapposizione con le conoscenze: “Non è un caso che un certo mondo accademico e tanti insegnanti guardino con sospetto alla didattica per competenze, preoccupati che la “novità” e che ciò vada a scapito dell’acquisizione delle strumentalità e delle conoscenze fondamentali. Il documento sui nuovi scenari ha già contribuito a chiarire questi aspetti, individuando nelle competenze chiave di cittadinanza lo sfondo integratore della scuola di base per i prossimi anni”[2].
Il valore aggiunto delle competenze
Le competenze di cittadinanza dunque non sono una nuova materia, ma un modo intelligente per dare un senso unitario ai saperi di base. Le competenze chiave per l’apprendimento sono il valore aggiunto che ogni disciplina di studio porta alla formazione dei ragazzi e delle ragazze. Hanno a che fare con la cittadinanza attiva, cioè il mettere in pratica nella vita delle classi comportamenti responsabili. Ogni disciplina arricchisce e fortifica la cittadinanza perché fornisce gli strumenti culturali (gli alfabeti, i linguaggi, le conoscenze…) che aiutano a vivere la vita da protagonisti.
Pensiamo alla lingua come strumento di cittadinanza consapevole: saper esprimersi, saper comunicare, saper comprendere testi sono elementi concreti se vogliamo parlare di libertà di parola. L’articolo 21 della Costituzione non a caso sancisce il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero mediante la parola, la scrittura e ogni altro mezzo di comunicazione.
E il lavoro quotidiano in classe?
Ma, quanto hanno inciso in passato e anche oggi le Indicazioni nazionali sul fare scuola quotidiano, sul lavoro concreto in classe? C’è chi sostiene che le Indicazioni vigenti non sono conosciute a fondo, che nelle scuole prevalgono le routine, che poco è cambiato. In generale nelle scuole c’è sempre uno scarto tra teoria e pratica, tra proposte didattiche innovative e fare quotidiano perché spesso sono i libri di testo a fare il curricolo e le nostre classi non sempre si sono trasformate in ambienti di apprendimento.
Certamente non basta fare un elenco di temi affinché la scuola li prenda in considerazione: ci sono tanti documenti, linee guida, dichiarazioni di intenti, anche ottime, che non hanno lasciato traccia.
Un documento vale se fa intravedere una prospettiva culturale significativa, se è in grado di suggerire pratiche didattiche efficaci, se consente di ripensare la propria professionalità senza aggiungere ulteriori materie o attività (o educazioni).
La scuola ricomincia dai maestri?
La Prof.ssa Loredana Perla, coordinatrice della commissione incaricata di elaborare le nuove indicazioni curricolari per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo di istruzione, scrive sul giornale La Stampa del 31 luglio 2025 un articolo dal titolo “La scuola ricomincia dai maestri. Il modello progressista va archiviato”.
Ma, di quale modello pedagogico si sta parlando? In realtà i dati Invalsi ci dicono che i livelli di apprendimento dipendono in buona parte da fattori strutturali:
- disuguaglianze territoriali e socio economiche
- frammentazione degli investimenti formativi
- assenza di continuità didattica
- discrepanza tra scuola e contesto culturale contemporaneo
La pedagogia degli ultimi cinquanta anni non ha teorizzato l’abbandono del sapere. Semmai ha ampliato lo sguardo includendo il corpo e la emozione, la didattica laboratoriale, l’educazione come costruzione di senso, l’educazione linguistica democratica, le neuroscienze dell’apprendimento, le pratiche inclusive, le pratiche cooperative…
Cosa vuole significare l’espressione “Tornare ai maestri”?
Il maestro è un professionista che educa con rigore e cura, che costruisce ambienti di apprendimento significativi, che si relaziona coi colleghi e le famiglie, che cerca di accogliere la complessità del mondo contemporaneo, che è posto davanti a sfide del tutto nuove.
Visione, formazione, continuità, ricerca sono i pilastri che caratterizzano il mestiere di maestro.
Cioè di quel professionista dell’educazione che non lascia nessuno indietro, che non seleziona, che non solo aiuta a costruire saperi, ma che sa soprattutto ascoltare le voci degli studenti.
Il parere del CSPI
Molti si sono interrogati sulle ragioni che hanno portato il Ministro a non prendere ancora in considerazione alcune delle richieste formulate dal CSPI, un organo consultivo che rappresenta le diverse componenti del settore e che opera nell’interesse della scuola. Facciamo solo qualche esempio.
- Il CSPI chiedeva di sostituire la frase “la scuola è la sede principale per la trasmissione degli apprendimenti” con “la scuola è la sede principale per la co-costruzione degli apprendimenti”.
- Il CSPI chiedeva di “rimodulare la figura del docente definito MAGIS”, termine che fa pensare ad una scuola dell’insegnamento a scapito di una scuola dell’apprendimento.
- Il CSPI sosteneva che sarebbe stato opportuno dedicare un paragrafo al ruolo del ragazzo che costruisce l’apprendimento con la guida del docente che assume il ruolo di REGISTA, non MAGIS.
Noi pensiamo che la scuola debba formare ragazzi con la testa ben fatta, non con la testa piena e con nozioni frammentate. Vogliamo ragazzi con un’intelligenza capace di organizzare il sapere, esercitare un pensiero critico e complesso, e, soprattutto, sviluppare la competenza essenziale di sapersi confrontare, dialogare e co-creare soluzioni in modo costruttivo con gli altri, formando così cittadini riflessivi e responsabili in un mondo interconnesso.
Noi siamo rimasti lì con la scuola della Costituzione, quella che ci aiuta ad acquisire la libertà di parola che vorremmo poter continuare ad esprimere. E spero che con noi ci restino in tanti.
Sognando ancora una ballata popolare
Giancarlo Cerini non ha mai creduto alle imprese solitarie, né alle idee risolutive architettate da pochi pensatori o da commissioni di esperti, seppur geniali[3].
Una idea può andare a buon fine solo se diventa patrimonio di tutti, o perlomeno di tanti. “Un’idea deve diventare narrazione a più mani. ove anche gli ascoltatori possono diventare narratori, ove i ruoli si intrecciano e si scambiano, in una impresa corale, che viene dunque sentita come propria”[4].
Come si può dunque costruire un rapporto positivo con la scuola? Di certo occorre leggere i bisogni del paese, degli allievi, fare diagnosi convincenti, costruire una proposta avvincente, argomentata. Non basta il programma di governo. Occorre avere un progetto, fare chiarezza sulle risorse, sugli investimenti in formazione del personale. Ricostruire motivazioni, condizioni di benessere, di soddisfazione, di incentivi al miglioramento; coltivare alleanze con i genitori, le comunità, prestare attenzione ai luoghi non formali dell’apprendimento.
Sospensione del parere del Consiglio di Stato
C’è qualcun altro, oltre al Presidente Mattarella, che ancora vigila sul rispetto della Costituzione: il Consiglio di Stato (CdS), organo di controllo per garantire la legalità e la legittimità degli atti amministrativi, compreso il documento delle “Indicazioni 2025”. Il Consiglio di Stato ha espresso forti riserve sulla validità delle premesse e dell’analisi (la “diagnosi”) su cui si basa questo documento. Di conseguenza, il timore è che, se l’analisi della situazione di partenza è errata o imprecisa, le soluzioni o le direttive proposte (la “terapia”) risulteranno inefficaci se non addirittura dannose.
L’analisi di impatto della regolamentazione (AIR)[5] è stata ritenuta “inadeguata allo scopo” poiché priva di obiettivi chiari e di un confronto sistematico con le Indicazioni del 2012. Il CdS, ha inoltre, evidenziato l’assenza di una trattazione analitica delle ragioni di inadeguatezza delle Indicazioni vigenti, nonché la mancanza di un’argomentazione coerente a sostegno dei cosiddetti “cambiamenti epocali” menzionati nel testo.
Fa notare, per esempio, che a pag. 12 delle Indicazioni 2025, le locuzioni “… garantire a tutti i cittadini pari condizioni di accesso all’istruzione” e “… assicurare a tutti i cittadini l’istruzione obbligatoria di almeno otto anni” non sono conformi all’art. 34 comma 1 della Costituzione che afferma che “La scuola è aperta a tutti” e non ai soli cittadini (pensiamo all’esito del recente referendum sulla cittadinanza).
Un nuovo scenario: il sistema integrato 0-6
Il Consiglio di Stato osserva anche che nel testo delle Indicazioni 2025 si citano atti dell’Unione Europea ai quali la commissione presieduta dalla professoressa Perla ha ricondotto l’esigenza di sostituire le Indicazioni vigenti. Tra questi atti si ricorda, ad esempio, la Raccomandazione del Consiglio dell’UE 22 maggio 2018 sulle Competenze chiave per l’apprendimento permanente, la Raccomandazione del 22 maggio 2019 sui Sistemi di educazione e cura di alta qualità della prima infanzia, le Raccomandazioni sull’insegnamento delle Lingue, sul miglioramento dell’offerta di abilità e competenze digitali. Tuttavia, pur richiamando tali atti europei, il documento non mostra un effettivo allineamento né una coerenza interna con il quadro strategico europeo che essi delineano, risultando così disomogeneo sul piano degli orientamenti e delle finalità.
In tanti si sono chiesti se fosse così urgente e necessaria una rivisitazione delle Indicazioni del 2012, già integrate dal documento sui nuovi scenari del 2018 e dalle linee guida sulla educazione civica. Di certo sarebbe stato urgente completare il quadro dei nuovi scenari con l’introduzione di un preciso capitolo per il sistema integrato 0-6.
Negli ultimi dieci anni le politiche europee sui servizi per l’infanzia hanno conosciuto una svolta significativa: dall’obiettivo di ampliare principalmente l’offerta si è passati al riconoscimento del loro elevato valore educativo, soprattutto nella fascia 0-6 anni.
La Commissione e il Consiglio Europeo considerano questa fascia di età il periodo più importante e decisivo di tutta la vita di ogni persona[6]. Numerose ricerche nazionali e internazionali attestano che la frequenza del nido e della scuola dell’infanzia può contribuire a favorire il pieno sviluppo delle potenzialità infantili sul piano cognitivo, relazionale e sociale, contrastando gli effetti di condizioni disuguali di partenza e di povertà educativa.
Lo 0-6 italiano
Il nostro Paese con le “Linee pedagogiche per sistema integrato zerosei” (DM 22 novembre 2021, n. 334) e con gli “Orientamenti nazionali per i servizi educativi per l’infanzia” (DM 24 febbraio 2022, n. 43) si conferma, almeno dal punto di vista del pensiero pedagogico, all’avanguardia nella educazione all’infanzia.
Altra cosa è il piano italiano di sviluppo dei nidi d’infanzia rispetto al quale si segnala un abbassamento della percentuale di posti nido da attivare sul territorio sulla base dei finanziamenti messi a disposizione (33% entro il 2027) rispetto all’obiettivo europeo del 45% entro il 2030.
Il Nido d’infanzia dunque deve entrare a far parte del sistema di istruzione a tutti gli effetti. Ciò rende necessario ridefinire un percorso curricolare che si estenda sin dai tre mesi di vita del bambino, garantendo servizi educativi di qualità. Purtroppo, nelle Indicazioni 2025, al di là del riferimento alla Raccomandazione del Consiglio Europeo del 2019, non vi è alcun richiamo ai documenti relativi alle Linee pedagogiche e agli Orientamenti dei nidi d’infanzia. Un’occasione mancata: avremmo potuto affermare un vero primato europeo nella cura e nell’educazione della prima infanzia.
Le suggestioni di una ballata popolare
I mali della scuola vengono da molto lontano: “dalla difficoltà del nostro paese a mettere al centro delle sue scelte strategiche la cultura, la ricerca, la formazione, in un’ottica di cittadinanza diffusa e costituzionale; da una particolare sottovalutazione dei saperi scientifici e tecnologici, considerati quasi un corpus minore della conoscenza; da un’idea di scuola rigida, impermeabile all’apprendimento dei ragazzi, in difficoltà di fronte alla liquidità dei saperi”[7].
“Indicazioni, programmi didattici, linee guida non valgono in sé, ma solo se sono in grado di smuovere processi culturali, formazione in servizio, atteggiamento sperimentale, curiosità per ricercare e rinnovare metodi didattici, contenuti, ambienti di apprendimento. Diventano decisivi i processi di formazione in servizio…La formazione in servizio non è tutto, ma se ben fatta, può diventare un’occasione di crescita per tutta la scuola”[8].
Per realizzare traguardi ambiziosi sono diversi i soggetti che si devono impegnare e gli obiettivi che andrebbero messi al centro:
- l’autonomia di ricerca mai messa a fuoco e sostenuta sotto il profilo finanziario;
- la professionalità degli operatori (docenti e dirigenti) riconoscendo impegni e meriti, ricostruendo motivazioni, condizioni di benessere, di soddisfazione;
- il miglioramento degli ambienti scolastici, facendoli diventare luoghi dove sia piacevole vivere e apprendere;
- il coinvolgimento degli operatori della scuola ogni qualvolta si intenda introdurre innovazioni importanti nel sistema scolastico. La scuola è in grado di mandare segnali importanti che vanno raccolti se si vuole elevare la qualità dell’istruzione.
Noi continueremo a dare il nostro contributo nella direzione di questi traguardi ambiziosi perché crediamo fermamente nella scuola fondata sui principi fondamentali della nostra Costituzione.
[1] G. Cerini, Atlante delle riforme (im)possibili, Tecnodid, 2021, scheda 4: “Ripensare i saperi e i curricoli”.
[2] Op. cit. p. 83.
[3] G. Cerini, Se la riforma fosse una ballata popolare. Strategie e tattiche per l’innovazione nella scuola, Homeless Book, Faenza, 2006.
[4] Sono parole di G. Cerini espresse il 31 marzo 2021 in occasione della presentazione delle Linee pedagogiche per il sistema integrato 0-6.
[5] AIR è uno strumento tecnico e procedurale obbligatorio, utilizzato dal Governo o dal Legislatore, prima di approvare una nuova legge o un regolamento significativo.
[6] Raccomandazione del 22 maggio 2019 relativa ai sistemi di educazione e cura di alta qualità della prima infanzia ECEC – Early Childood Education and Care.
[7] G. Cerini, Se la riforma fosse una ballata popolare, op. cit. pag. 18.
[8] G. Cerini, Atlante delle riforme (im)possibili, Tecnodid, 2021, scheda 4: “Ripensare i saperi e i curricoli”.



