Povertà digitali ai tempi del «COVID-19»

A partire dai dati ISTAT

Prendendo spunto dalla pubblicazione (2020) del Documento dell’Istat «Spazi in casa e disponibilità di computer per bambini e ragazzi»[1], in cui confluiscono gli esiti di due indagini campionarie[2],in questo contributo si presentano i dati raccolti e si sviluppano alcune riflessioni con riferimento alla DAD, Didattica a Distanza. I fenomeni indagati interessano gli anni 2018-2019.

La sfida del digitale in contesti di disuguaglianza

Il Documento, esplorando il digital divide[3] e le disuguaglianza territoriali, approccia sei aree problematiche (famiglie senza PC, differenze territoriali, ragazzi e PC, competenze digitali per i 14/17enni, abitudine alla lettura, sovraffollamento abitativo), per ognuna delle quali riporta dati e analisi. Ne forniamo alcune tabelle di sintesi:

Tab. 1 Famiglie senza PC
Il 33,8% delle famiglie non ha computer o tablet in casa, la quota scende al 14,3% tra le famiglie con almeno un minore. Solo per il 22,2% delle famiglie ogni componente ha a disposizione un pc o tablet.
Tab.2 PC e differenze territoriali
MezzogiornoCentro Nord
-Il 41% di famiglie (media) è senza PC
-il 26,6% ha a disposizione un numero di pc e tablet per meno della metà dei componenti e solo il 14,1% ne ha almeno uno per ciascun componente
-il 21,4% di famiglie con minori non ha un PC
Il 30 % è senza un PC
-una quota di famiglie tra il 50% al 70% possiede un PC
-la quota di famiglie in cui tutti i componenti hanno un PC si attesta al 26,3%
-il 14,3% di famiglie con minori non ha un PC
Tab. 3 Ragazzi 6-17 anni, PC, Italia e Mezzogiorno
[4] Come sostengono alcuni autori (es. J.M. Twenge, Iperconnessi. Perché i ragazzi oggi crescono meno ribelli, più tolleranti, meno felici e del tutto impreparati a diventare adulti, Einaudi, Torino, 2018) l’esposizione ai social da parte delle classi più disagiate deve avvenire in modo limitato ed intelligente, perché questi ceti sociali non hanno sufficienti risorse per difendersi dai rischi di un uso incontrollato.
Il 12,3% dei ragazzi 6-17 anni non possiede un PC (ca. 850.000 ragazzi) di cui -ca. 450 mila nel Mezzogiorno[5]
Il Governo con il Decreto Cura Italia (2020) ha stanziato 70 mln per l’acquisto di PC da fornire in comodato agli studenti meno abbienti.
Il 57% lo deve condividere con la famiglia.
Tab. 4 Accesso alla Rete (famiglie e ragazzi 6-14 anni)
Il 76, 1% (media nazionale) delle famiglie è connessa alla Rete, ma tale percentuale varia dall’82,3% della Provincia di Trento al 67,3% della Calabria. Il 75% dei ragazzi 6-14 anni utilizza la Rete in modo autonomo.
Tab.5 Competenze digitali adolescenti 14-17 anni
Nel 2019, tra gli adolescenti che hanno usato internet negli ultimi 3 mesi, due su tre hanno competenze digitali basse o di base, mentre meno di tre su dieci (ca. 700.000 ragazzi) si attestano su livelli alti.
Tab. 6 Sovraffollamento abitativo
Nel 2018 il 27,8% delle persone viveva in condizioni di sovraffollamento abitativo. Questa situazione interessava il 41,9% dei minori, impossibilitati a disporre di idonei spazi per lo studio. A ciò, in molti casi, si aggiungevano carenze di sussidi librari e inadeguata strumentazione per la fruizione della Rete.

Non solo ISTAT: indagini nazionali e internazionali

Accanto al Documento ISTAT, segnaliamo altri tre Report dedicati: a livello europeo il Report DESI della Commissione UE(2019) ci colloca al 24° posto tra i 28 Stati Europei per l’indice di digitalizzazione, nonostante dal 2015 con il PNSD il MIUR abbia implementato progetti e risorse in questa direzione (dal 2015 al 2020 budget stanziato di 1 mld 94 mln). Tuttavia ancora tre persone su dieci non utilizzano internet abitualmente e più della metà della popolazione non possiede competenze digitali di base; –in Italia il Report Educare Digitale dell’Agcom (2019, dati MIUR a.s 2016-17), riferisce che solo il 47% dei docenti si serve con frequenza delle TIC e solo l’8.6% usa la Rete per gestire piattaforme di apprendimento interattivo; –a livello internazionale il Rapporto OCSE Skills Outlook Scoreboard – Prosperare in un mondo digitale(2019),rivela che il 75% dei docenti italiani intervistati (3 docenti su 4) esprime la necessità di ricevere una ulteriore formazione in materia di TIC[6];

Povertà digitale e povertà socio-economico- culturale si sovrappongono

Se esaminiamo i dati della situazione socio-economico-culturale del Mezzogiorno (con riferimento agli anni 2018- 2019)[7], ci accorgiamo che si interfacciano con quelli riportati nei paragrafi precedenti.

Tab. 7 – Indicatori di povertà socio-culturale
a. il tasso di disoccupazione giovanile 15-34 anni è intorno al 51% (Italia, 28.9%, Europa, 15,2%)
b. la povertà minorile interessa una popolazione di ca. 500.000 bambini(15,7% del tot. nazionale);
c. la copertura dei servizi per la prima infanzia è inferiore alla media italiana, posizionata intorno al 24,7%
d. il reddito medio disponibile pro capite si attesta intorno ai 14.000 € (quello nazionale è di ca. 23.000 €);
e. la carenza di servizi culturali e ricreativi (biblioteche, librerie, musei, teatri, centri aggregativi…) fruibili per giovani ed adolescenti si aggira intorno al 70% del fabbisogno, rispetto al dato del Nord del 50%.

L’ “esplosione” della DAD: lavori in corso

L’emergenza sanitaria ha accelerato il processo di utilizzo delle risorse del digitale nella scuola, avviato nel 2007 con una prima edizione del PNSD, proseguito con l’introduzione delle LIM e poi con il PNSD del 2015[8]. La DAD, resa obbligatoria con il D.L. 22/2020, è diventata la “parola d’ordine” del MI, nel tentativo di dare continuità al servizio scolastico sospeso. Ma attorno ad essa si sono sviluppati, oltre agli interessi mercantili di editori ed aziende[9] (“i piazzisti dell’istruzione” secondo alcuni commentatori), analisi, dibattiti, pronunciamenti pro e contro[10]. Il MI, consapevole della fragilità dello stato di alfabetizzazione digitale in Italia[11], ha cercato di sostenere l’impresa con apposito ambiente di lavoro in progress e stanziando la somma di 85 mln. Il successivo monitoraggio di marzo, di cui si attende il Report, pare abbia rilevato il coinvolgimento del 93% degli studenti e la sperimentazione per la prima volta di lezioni online dell’82% delle scuole (6.023 Istituti)[12]. Un sondaggio a cura di Skuola.net ha riscontrato invece che quasi il 50% degli studenti non è stato coinvolto in maniera efficace nella DAD.[13] Dobbiamo poi riflettere sullo scarso impatto che la DAD sembra aver avuto nella Scuola Primaria dovele pratiche della didattica digitale sono meno diffuse, molte insegnanti hanno scarsa confidenza con il mondo dell’e-learning, i bambini necessitano del sostegno genitoriale. In molti casi, si apprende dalla Rete, la DAD si è ridotta all’assegnazione dei compiti a casa, con successive revisione e verifica e con approfondimenti dedicati.

E ora come pensare al/il futuro? Dieci domande…

A fronte di quanto il sistema-scuola sta faticosamente sperimentando, da più parti[14] si sono levati peana e prefigurati “orizzonti di gloria”, al coro di “nulla sarà come prima”. Più prudenzialmente, considerando che questo scenario emergenziale sicuramente si ripeterà anche nel prossimo anno scolastico, forse è possibile avanzare alcune considerazioni, qualche dubbio e “discrete” proposte per auspicabili, graduali cambiamenti[15]:

1. Siamo certi che il tradizionale format lezione- feedback digestivo- valutazione sia stato scalfito dalla DAD, oppure stiamo assistendo da un lato ad un suo adattamento al nuovo e dall’altro ad una versione tecnicistica dell’ e-learning ?

2. La previsione della «classe virtuale» deve essere letta come un’apertura di credito verso nuove strategie di insegnamento per un apprendimento attivo (flipped classroom, cooperative learning, peer tutoring, debate, circle time, problem solving, ricerca-azione, autovalutazione…), oppure serve a camuffare sotto una diversa “etichetta” pratiche tradizionali: lezione ex cattedra, assegnazione esercizi, qualche video, documentazione (= vikipedia), valutazioni sommative, reprimende?

3. Il ruolo dell’insegnante tenta di conquistare nuove dimensioni (mentore-coach, facilitatore, tutor, leader educativo…), oppure si conferma nel classico profilo del dispensatore di saperi (certo non eliminabili), del mediatore unico della scena didattica, del misuratore di intelligenze, del detentore della “disciplina”(condotta)?

4. È arrivato il momento che si investano adeguate risorse per una formazione “obbligatoria” di tutti i docenti su scuola digitale e DAD?[16] Questa fase può essere propizia, tenendo conto che si può recuperare una parte del tempo non utilizzato per le lezioni online[17], ovviamente contrattualizzando tale impegno professionale;

5. La “nuova” stagione che si è aperta da quest’a.s. non necessita forse di:

a. una sollecita rivisitazione dei curricola scolastici in dimensione digitale, con riferimento alle Indicazioni Nazionali del 2012[18];

b. una riconfigurazione degli ambienti di apprendimento, sia nel loro assetto strumentale, sia nell’utilizzo di metodologie innovative?

6. Quale futuro “diverso” si può prefigurare per la classe-scatola nera, dentro la quale si consumano i destini di insegnanti e studenti e che invece potrebbe, grazie alla DAD, diventare laboratorio permanente trasversale, aperto e flessibile, all’interno di un tempo-scuola diversamente modulato?

7. Questa prima esperienza di DAD non sollecita una riflessione decisiva sulle cosiddette figure di leadership intermedia – middle management (l’assegnazione di 1000 Assistenti Tecnici informatici alle scuole del primo ciclo ne è un segno) da introdurre nella scuola in modo stabile e con profili riconoscibili e riconosciuti (anche orientatori, psicopedagogisti, mediatori culturali, supervisori della didattica, formatori…)?

8. Ancora: in che modo il mondo dei BES sta attraversando questi nuovi territori del digitale, quali “cautele metodologiche” sono state approntate per facilitarne la partecipazione attiva, il coinvolgimento nel gruppo classe e quali “alleanze” si sono negoziate con le famiglie, per evitare derive di isolamento e deprivazione ? Molti segnali che arrivano dalla scuola militante non sono incoraggianti.

9. Non sarebbe anche opportuna una riflessione approfondita, corale sul valore aggiunto della DAD, non sostituiva dell’insegnamento d’aula[19], ma strumentale ai processi educativo-didattici, per renderli più vicini ai profili socio-cognitivi dei nativi digitali, per facilitare l’approccio responsabile ai mondi virtuali oggi così pervasivi, per far maturare negli studenti consapevolezze rispetto ai rischi della cultura e della società digitali? In fondo la scuola come sistema complesso fondato sulla relazione, sull’ascolto, sulla mediazione comunicativa, sull’inclusione educativa e sociale, non può essere dematerializzata, né ridotta ad una appendice tecnologica di piattaforme cd. intelligenti, ma senz’anima.

10. Ovviamente sullo sfondo, ma non tanto, restano le problematiche della situazione edilizia di molte nostre scuole e i già menzionati ritardi tecnologici.

Conclusione: c’è ancora una “normalità” che affiora, che si impone, che interroga tutti e di cui bisogna tener conto anche in questo momento, per evitare “voli pindarici”.

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[1] È possibile leggere la versione integrale su https://www.istat.it/it/files/2020/04/Spazi-casa-disponibilita-computer-ragazzi.pdf.

[2] L’indagine «Aspetti della vita quotidiana», che dal 1993 esplora le condizioni sociali di individui e famiglie, www.istat.it/it/archivio/23 6920 e l’indagine «L’indagine Eu-silc:» che offre dati comparabili tra Paesi rispetto alle diseguaglianze, alla povertà e all’esclusione sociale, www.istat.it/it/archivio/236432.

[3] È il divario esistente tra chi ha accesso effettivo alle TIC (in particolare PC e Internet) e chi ne è escluso, in modo parziale o totale, causa condizioni economiche, livello d’istruzione, qualità delle infrastrutture. M.Piras (Sole24ore, 30.03.2020) sostiene che la scuola può ridurlo, non eliminarlo. Ma, ritengo, nemmeno amplificarlo come spesso succede. Una direzione sarebbe quella di costruire alleanze con le famiglie per orientare le scelte politiche delle nostre classi dirigenti, in una dimensione di strategie e di priorità comuni.

[4] Come sostengono alcuni autori (es. J.M. Twenge, Iperconnessi. Perché i ragazzi oggi crescono meno ribelli, più tolleranti, meno felici e del tutto impreparati a diventare adulti, Einaudi, Torino, 2018) l’esposizione ai social da parte delle classi più disagiate deve avvenire in modo limitato ed intelligente, perché questi ceti sociali non hanno sufficienti risorse per difendersi dai rischi di un uso incontrollato.

[5] Il Governo con il Decreto Cura Italia(2020) ha stanziato 70 mln per l’acquisto di PC da fornire in comodato agli studenti meno abbienti.

[6] Cfr. Focus Italia. In questa indagine l’Italia si trova nel gruppo di coda, insieme a Cile, Grecia, Lituania, Repubblica Slovacca e Turchia.

[7] Dati ricavati dal Documento governativo 2020 «Piano per il Sud. 2030» e dai Rapporti ISTAT, SVIMEZ, Save the Children, 2018-2019.

[8] Le problematiche del PNSD sono state analizzate da M. Gui, (Università di Milano Bicocca) nel suo libro “Il digitale a scuola. Rivoluzione o abbaglio?”(2019). L’autore ricorda che in questo settore, tra il 2007 e il 2017, è stato stanziato oltre 1 mld di €, puntando sul- l’introduzione delle TIC nelle classi,per superare”… il concetto di laboratorio informatico e concependo la classe come contesto per un uso costante della tecnologia”, ma senza definire gli indicatori per valutarne il successo a livello di insegnamento-apprendimento.

[9] Cfr. ad es. le proposte delle aziende Cisco e Ibm per aule virtuali gratuite, i sussidi offerti da Zanichelli, Giunti, Loescher, Pearson…

[10] Cfr. i nn. da 174 a 180 di Scuola 7, Tecnodid; la rivista online ROARS, marzo 2020; il quotidiano Sole24oreScuola, marzo e aprile 2020; la Rivista dell’Istruzione, Maggioli, n.3/2018; la rivista online del CIDI, Insegnare (G.Bagni «La scuola a distanza non è scuola»).

[11] Il 15° Rapporto Censis sulla comunicazione, 2018 rivela che la dieta mediatica degli italiani è sempre più ricca di prodotti informatici, ma soffre di una bulimia comunicativa e di un uso troppo “personalizzato”dei social network. Certo ancora quasi un 30% di popolazione, in maggioranza anziani, non ha familiarità con il mondo digitale. E i giovani ne sono consumatori spesso passivi.

[12] Secondo il Sole24ore, con articolo di E. Bruno, del 23 marzo 2020.

[13] Un altro sondaggio ha esitato che gli studenti promuovono la DAD al 60%, e i professori al 51%.

[14] Tra queste voci segnaliamo quelle della Fondazione Agnelli, dell’Associazione Treelle, di commentatori del Sole24ore scuola, di A. Baricco, dell’ex Presidente Invalsi P. Sestito.

[15] Alcune argomentazioni richiamano, con adattamenti, quanto scrive il prof. D. Siess sul quotidiano Sole24orescuola del 16.04.2020 nell’art. «Una pericolosa normalità. Quale scuole dopo l’emergenza»

[16] Un utile riferimento per la programmazione degli interventi formativi può essere, in questo contesto, il Documento INDIRE “La scuola fuori dalle mura”, 2020.

[17] Da una recente indagine della CISL (Il punto sulla DAD) però risulta che l’impegno richiesto agli insegnanti (preparazione, gestione, verifi-ca delle attività…) per la DAD è superiore al quello profuso nell’insegnamento in classe. Ma in Cina, ad es. gli insegnanti impiegano nella ricerca un terzo del tempo che dedicano al lavoro.

[18] Ricordiamo l’approvazione da parte della Camera dei deputati della Mozione n. 1-00117/2019, che impegna il Governo ad “adottare iniziative per introdurre progressivamente e gradualmente, entro il 2022, nella scuola dell’infanzia e nel primo ciclo di istruzione lo studio del pensiero computazionale e del Coding nell’ambito del curricolo digitale obbligatorio, in coerenza con le indicazioni nazionali per il curricolo”

[19] L’approccio blended learning potrebbe rappresentare un via più percorribile in questa fase e anche per il futuro?