I quadri orario degli istituti tecnici e professionali

È solo un problema di trasparenza delle scelte?

Il focus sul quadro orario

Nel passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento degli Istituti Tecnici e Professionali, la decurtazione da 36 a 32 ore settimanali di lezione diventa subito un elemento dirompente, perché a subire il taglio sono proprio le discipline laboratoriali e d’indirizzo, con la logica conseguenza della creazione di esuberi di personale (poi risolti con le classi di concorso atipichee di una pesante messa in mora di un punto di forza del curricolo dell’istruzione tecnico professionale.

I fautori di un ritorno al passato e quelli che puntano ad un ridimensionamento del curricolo, a favore delle discipline penalizzate, trovano nelle pronunce del TAR Lazio, in accoglimento del ricorso dello SNALS CONFSAL, la rappresentazione delle contrarietà ai quadri orario allegati ai Regolamenti, ma ben poche speranze sul ripristino delle condizioni ex ante.

Uno stralcio della seconda sentenza “… le ragioni dell’annullamento dei due Regolamenti consisteva nello stigmatizzare che le disposizioni relative alla riduzione oraria fossero adottate seccamente e senza l’adozione di nessun criterio e ciò determinando le ovvie ricadute sul dimensionamento scolastico e sui quadri organici…”.

Il 10 agosto 2016, il Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca, in zona Cesarini vista l’imminenza del nuovo anno scolastico, risponde a questa stigmatizzazione del TAR. Licenzia due Schemi di Regolamento che vanno ad integrare i D.P.R. 87 e 88 del 2010, e ottemperano alla Sentenza del TAR Lazio Sez. III-bis, la n.3527/2013, che annullava gli art. 5 comma 1 lettera b) nella “parte in cui si determina senza indicazione dei criteri l’orario complessivo rispettivamente per gli istituti tecnici e professionali e la n. 7363 del 2014.

I criteri introdotti dagli schemi di regolamento

Può essere utile leggere i criteri, definiti al comma 1bis dell’art.5 del nuovo Schema, non tanto come un redde rationem ex post di scelte obbligate dalla razionalizzazione delle risorse economiche ed umane (sono le Finanziarie a dettare le Riforme) ma, e l’etimo stesso della parola lo suggerisce, come strumenti per discriminare, distinguere e definire gli elementi che hanno determinato le scelte.

Ad esempio: c’è una giusta relazione tra la scelta delle discipline nel curricolo, il loro peso orario e il profilo del diplomato? che rapporto c’è tra il curricolo e lo sviluppo della qualità dei risultati di apprendimento?

Proprio a partire dai criteri, può riprendere vigore il dialogo del Ministero con le Reti degli Istituti, con le Associazioni tecnico-professionali e imprenditoriali, con le Rappresentanze Sindacali che nel tempo hanno avanzato proposte interessanti di rivisitazione del curricolo.

Sempre i criteri possono aiutare le singole Istituzioni scolastiche a curvare il curricolo con un più coraggioso utilizzo delle quote di autonomia e flessibilità; possono stanare i falsi problemi legati al confronto dei quadri orario tra vecchio e nuovo ordinamento, per far emergere, ad esempio negli istituti professionali, le questioni aperte con la strutturazione quinquennale del percorso di istruzione e la sussidiarietà integrativa nel percorso della formazione professionale.

Dato il criterio, bisogna farsi qualche domanda

Proviamo a farci domande di senso su alcuni criteri, che prendono in considerazione prevalentemente il curricolo, lasciando sullo sfondo per ulteriori approfondimenti, quelli che assumono la centralità dello studente.

n. Criteri Domande
1 Dare sistematicità alle sperimentazioni in atto sul rapporto curricolo/profilo/peso orario delle discipline Se si sceglie di non adottare un quadro comune di riferimento per le quote di autonomia e flessibilità, quanto tempo hanno le scuole per sperimentare la coerenza tra le quote e i risultati? E i risultati chi li certifica?
2 I piani di studio devono essere funzionali al profilo del diplomato e agli esiti di apprendimento richiesti evitando la frammentazione per agevolare la concentrazione e l’attenzione dello studente… Perché allora non prendere atto che 16 discipline già nel 1° biennio frammentano inevitabilmente i saperi e disorientano gli studenti?
3 a) Ci deve essere un’adeguata ripartizione tra discipline dell’area di istruzione generale e quella dell’area d’indirizzo… tenendo conto che il 1° biennio si pone in relazione all’assolvimento dell’obbligo di pone in relazione all’assolvimento dell’obbligo di istruzione finalizzato all’acquisizione di competenze di cittadinanza… Le competenze di cittadinanza poggiano prevalentemente o esclusivamente su alcune discipline tanto da giustificarne la presenza nel 1° biennio (es. diritto)? Per la competenza di cittadinanza scientifica è bene che la Fisica e la Chimica (scienze integrate) non si possano curvare sulle discipline di indirizzo o sulla stessa biologia? La percentuale di insuccesso in queste discipline, trattate separatamente e rigidamente per le annualità previste, è un indicatore importante.

Rapporto tra area generale e area di indirizzo

Una questione assai complessa resta il rapporto tra ore/discipline da destinare all’area generale e all’area di indirizzo. Un criterio previsto nello schema di regolamento dice che tale rapporto è modulato secondo una proporzione superiore a favore dell’area generale nel primo biennio, proporzione che si inverte nel secondo biennio e nel quinto anno a favore dell’area di indirizzo…

La domanda è: cosa è bene conservare dei punti di forza del vecchio ordinamento?

Le 1056 ore curricolari sono infatti distinte in 1° biennio 660 h area generale + 396 h area indirizzo; 2° biennio e 5 anno 495 h area generale + 561 h area di indirizzo.

Se prendessimo a confronto il vecchio ordinamento dei professionali, le 1188 h curricolari erano divise in 1° biennio 726 h area generale + 462 h area indirizzo; 3° anno 429 h area generale + 759 area di indirizzo; 4° e 5° anno 495 h area generale e 495 h area di indirizzo, a cui si aggiungevano le ore professionalizzanti della cosiddetta Terza Area.

Nuovo ordinamento Vecchio ordinamento
Tot. ore 1° biennio 2° biennio e 5° anno Tot. ore 1° biennio 3° anno 4° e 5° anno
1056 AG AI AG AI 1188 AG AI AG AI AG AI
660 396 495 561 726 462 429 759 495 495

Il confronto quantitativo tra gli orari del vecchio e quelli del nuovo ordinamento non appaiono più così sbilanciati se si considerano due aspetti:

  • la riduzione a 50 minuti dell’unità oraria adottata nella quasi totalità degli Istituti sia Tecnici sia Professionali (difficoltà di trasporti, carico orario incompatibile con la tenuta di attenzione dei ragazzi…) prima della Riforma ridimensiona la fruizione del vecchio curricolo a tempi addirittura inferiori rispetto agli attuali;
  • l’introduzione nei Regolamenti della Riforma dell’obbligatorietà delle 400 h di alternanza scuola lavoro nel secondo biennio e nel 5° anno corrobora il criterio della prevalenza dell’area di indirizzo.

Problemi aperti

Un problema aperto per gli Istituti Professionali resta la gestione del terzo anno e della qualifica professionale. In regime di sussidiarietà integrativa bisogna garantire competenze professionali di tipo operativo che hanno bisogno di un numero maggiore di ore di laboratorio proprio nel primo biennio e nel terzo anno. Che fare?

Un problema aperto per gli Istituti Tecnici è la reale possibilità di implementare/sostituire le discipline in base alle modifiche tecnologiche e alle domande di innovazione del mercato del lavoro.

Un problema aperto per tutti è la gestione (dentro e/o fuori dal curricolo oppure quante ore dentro e quante fuori dal curricolo?) delle ore di alternanza scuola lavoro.

Anche nella ricchissima Guida operativa alle attività di alternanza scuola lavoro dell’8 ottobre 2015 troviamo due significati assegnati all’alternanza scuola lavoro che non ci aiutano a dirimere la questione: è una strategia didattica innovativa utile all’orientamento e alla motivazione degli studenti (vedi Impresa Formativa Simulata etc.)? è un percorso in azienda dal valore formativo equivalente a quello curricolare scolastico? Se poi aggiungiamo il forte impulso alla mobilità europea dei giovani per esperienze di stage con gli Erasmus plus VET, diventa difficile pensare che tutto possa essere svolto in orario extracurricolare o nei periodi di interruzione delle attività didattiche.

E sempre nella Guida operativa è presente e chiaro il riferimento all’apprendimento basato sul lavoro anche con tirocini e periodi di apprendimento di qualità come modelli di apprendimento duale che aiutino il passaggio dallo studio al lavoro in sintonia con le politiche di Garanzia Giovani.

Se si considera che tre anni fa il monitoraggio dell’Indire sulle esperienze di Alternanza Scuola Lavoro negli Istituti Tecnici e Professionali rilevava che gli studenti in alternanza erano il 28,3% degli iscritti nei Professionali e il 6,3% degli iscritti nei Tecnici, sicuramente la legge 107/2015 ha dato una svolta decisiva alla questione dal punto di vista quantitativo.

La revisione dei percorsi dell’istruzione professionale, oggetto di delega legislativa al Governo, dovrà sicuramente entrare nel merito e fare una scelta di campo che consenta di percorrere la strada indicata da ben tre Raccomandazioni Europee: nel 2008 per l’EQF, quadro europeo delle qualifiche; nel 2009 per l’EQAVET European quality assurance in vocational education and training, quadro europeo a garanzia delle qualità dell’istruzione e formazione professionale e sempre nel 2009 l’ECVET European credit System for Vocational Education and Trainig per il trasferimento dei crediti in materia di istruzione e formazione professionale.