Operare nell’emergenza e nel post-terremoto

A distanza di dieci giorni dal sisma di Amatrice e dei paesi limitrofi (tra Lazio e Marche), cessata l’emergenza per cercare di salvare più persone possibili, c’è da affrontare la dura realtà: il terremoto, anche questa volta, ha colpito molto duramente lasciando dolore e distruzione.

In pochi secondi sono svanite certezze, riferimenti e affetti: tanti si trovano ora nella condizione di dover dipendere totalmente da altri.

Le costanti di ogni terremoto

Per chi ha vissuto, sette anni fa, il terremoto dell’Aquila è stato un tornare indietro nel tempo e, repentinamente, si sono riaperte ferite in apparenza sopite, si è riacutizzato un disagio profondo e si sono vissuti di nuovo momenti tragici. Sapere che altri dovranno affrontare periodi difficili spinge però ad andare oltre i propri sentimenti e ad attivarsi affinché ciò che non ha funzionato nel 2009 possa non accadere di nuovo.

I due eventi sismici presentano alcune similarità: l’orario, l’intensità della scossa, il numero elevato di vittime… ma ciò che accomuna tutti i terremoti sono la paura, il disagio, la distruzione, la perdita dei punti di riferimento, stati d’animo che permangono nelle persone anche a distanza di anni. Ecco allora la necessità di imparare dalle esperienze pregresse e cercare di non commettere gli errori fatti in passato. Non esiste un modello da seguire perché le situazioni e le dinamiche degli accadimenti sono sempre molto dissimili tra loro. Esistono però delle metodiche che potrebbero essere attivate adattandole di volta in volta alle singole situazioni.

Le variabili che fanno la differenza

Il ritorno ad un vivere quotidiano delle popolazioni che hanno subito negli ultimi 10 anni gli eventi sismici è stato sicuramente condizionato dalla tipologie orografiche dei luoghi, dalla stagione, dall’impegno di tutti gli operatori (insegnanti compresi), ma anche dalle stesse modalità di intervento.

È indubbio il fatto che la caratteristica fisica del luogo, pianeggiante o montuoso, pesi non poco nel tempestivo arrivo dei soccorsi; che la vastità del territorio colpito, quindi un maggiore o minore numero di centri abitati coinvolti, influisca sull’efficacia degli interventi; che l’intensità del sisma determini effetti diversi sulle persone colpite.

La stagione ed il periodo scolastico corrispondente è un altro punto da considerare. Nell’aquilano e nel modenese gli eventi sismici sono avvenuti in aprile e maggio, praticamente ad anno scolastico quasi concluso: ci si avviava quindi verso la pausa estiva (periodo utile a molti per riprendersi e razionalizzare su ciò che era accaduto). Nella situazione attuale ciò non sarà possibile, perché si va verso le stagioni fredde; nel resto d’Italia, la scuola inizierà fra pochi giorni: chi si troverà a lavorare in quelle zone dovrà “tener duro” fino alle vacanze di Natale.

Attualmente è in atto una corsa contro il tempo (anche per via delle previsioni meteorologiche) per cercare di allestire moduli provvisori per accogliere famiglie e comunità scolastiche, dove gli operatori e gli insegnanti saranno chiamati a portare avanti un lavoro non facile per ristabilire una quotidianità (o meglio una parvenza di quotidianità). Allo stesso tempo, però, essi stessi dovranno essere in grado di gestire situazioni di stress generalizzato: compito non facile per chi è già traumatizzato.

Creare ponti per ritornare alla normalità

Passato il momento mediatico, quando le luci dei riflettori saranno rivolti altrove, sarà necessario affiancare quanti lavoreranno in quelle zone e non sottovalutare la sensazione di solitudine e di impotenza che può venirsi a creare. Ecco allora la necessità di creare ponti tra coloro che, loro malgrado, si sono ritrovati protagonisti di eventi drammatici e che, in un certo senso, hanno acquisito competenze in questo particolare campo.

Il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli Studi dell’Aquila – docenti prof. Alessandro Vaccarelli e M. Vittoria Isidori – ha iniziato un percorso di studio e di ricerca-azione sugli effetti che una tale catastrofe può lasciare negli individui (adulti, ragazzi, bambini), a partire dalle conseguenze rilevate nella città dell’Aquila. Sono state messe in evidenza l’importanza dell’intervento educativo-didattico sui fronti della prevenzione, dell’attivazione dei comportamenti resilienti, delle forme di ricomposizione socio-culturale, della resistenza degli individui e delle comunità rispetto alle condizioni avverse che le catastrofi producono. Si sono posti nella condizione di analizzare come e quanto il terremoto e il post-terremoto influiscano sulle attività di studio e di apprendimento, sulle condizioni di vita, sulla progettualità degli studenti.

In questo ambito sono diventati tanto “esperti” da collaborare poi con la Scuola di Psicologia e Scienze della Formazione e il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna proprio a seguito del terremoto del maggio 2012. Si è cominciato quindi ad analizzare e a confrontare le reciproche esperienze per poter attuare (anche nell’emergenza) una sorta di prevenzione del disagio.

Attualmente il gruppo dell’Università degli Studi dell’Aquila, in collaborazione con associazioni di volontariato ed enti del territorio, partecipa al Progetto Velino for children promosso dalla Comunità Montana del Velino (a seguito del terremoto del 24 agosto di quest’anno) per poter dare nel più breve tempo possibile risposte efficaci alla popolazione in età scolare, alle famiglie, alle scuole (ancora prima dell’inizio dell’anno scolastico, per non trovarsi impreparati e dover poi improvvisare), sia nell’emergenza sia, soprattutto, nel post-emergenza.

Ripartire dalla scuola

In conclusione, portare aiuti alla popolazione non deve basarsi solo sul sostentamento materiale, ma è qualcosa di più profondo. È necessario, anzi vitale, ripartire dalla Scuola perché essa rappresenta il luogo dell’incontro, dello stare insieme, del ritrovarsi e condividere esperienze piacevoli e non, del gruppo che trova la forza per andare avanti al suo interno, per acquisire un proprio ruolo riconoscendosi nella comunità. Andare a scuola è riattivare una routine “tranquillizzante”; è un riappropriarsi dello scorrere del tempo ed è un crescere insieme più che mai utile in questo momento così caotico e disgregante.