Chiamata diretta e mobilità: un primo bilancio

In mezzo al guado degli organici

“Adda passa’ ‘a nuttata”, per parafrasare il grande Eduardo. Ed è passata. La foga, l’entusiasmo, i timori, le paure che la “chiamata diretta” ha ingenerato nel mondo della scuola, sono ormai sopiti, se non fosse per alcune improvvide dichiarazioni di qualche dirigente o per alcune chiose di qualche rappresentante politico.

Ma tali dichiarazioni e chiose sono emblematiche di due punti sensibili della chiamata diretta:

– l’azione dei dirigenti scolastici, in bilico tra una leadership amministravo-gestionale ed una di stampo più privatistico;

– il modello di scuola di riferimento, tra la possibile deriva aziendalistica o il recupero di una autonomia significativa.

Un esempio di questi giorni: la tradizionale distinzione in organico di diritto ed organico di fatto sembrerebbe superata da alcune scelte della legge 107/2015 che parla di organico dell’autonomia. Ciò non toglie però che la scuola abbia ancora molti dubbi, che si muova tra incertezze e timori e che i dirigenti possano commettere facili errori.

Miti e riti della chiamata diretta

A cosa è servita la chiamata diretta? A rifornire le scuole di docenti selezionati secondo il proprio fabbisogno? Teoricamente sì, se davvero il dirigente (la scuola) avesse potuto scegliere secondo una modalità di reclutamento del personale tipica di un’azienda privata. Ma per quanto ci si sforzi di andare in quella direzione, la scuola rimane territorio caratterizzato dalla normativa pubblicistica, anche se fortemente condizionata dalla c.d. “privatizzazione” del pubblico impiego.

Quali sono stati gli “spazi” della “chiamata diretta”? Assai residuali, ovvero limitati solo ai docenti già assegnati ad una titolarità di ambito, secondo modalità definite dal piano straordinario di assunzioni della legge 107/2015 e vincolate a regole ben precise. Quindi, diventano attendibili quelle chiose, prima citate, laddove si dice che «la chiamata diretta “vera” è un’altra cosa», mentre questa non è altro che una ulteriore burocratizzazione da parte dei dirigenti della procedura di selezione.

Le prospettive dell’organico potenziato

E qui veniamo al nodo gordiano dell’autonomia della scuola, che da 16 anni vive in un incantesimo mai spezzato, in una specie di iato tra ciò che è normato e ciò che è vissuto.

Se si prova ad analizzare il comma 3 della L. 107/2015 (nella parte in cui richiama l’art. 4, comma 2, del DPR 275/1999) si vedono tutte le congruenze. In particolare:

– quelle che riguardano l’articolazione modulare del monte ore annuale, cui è stato aggiunto nel comma 3, “ivi compresi attività ed insegnamenti interdisciplinari” (che peraltro nel comma 2 dell’art. 4 era il punto e);

– quelle che attengono alla “definizione di unità di insegnamento non coincidenti con l’unità oraria della lezione e l’utilizzazione, nell’ambito del curricolo obbligatorio” (che nel comma 3 della L. 107/2015 diventa: programmazione plurisettimanale e flessibile dell’orario complessivo del curricolo e di quello destinato alle singole discipline, anche mediante l’articolazione del gruppo classe”).

La vera novità del comma. 3 della L. 107/2015 sta nella lettera b): «il potenziamento del tempo scolastico anche oltre i modelli e i quadri orari, nei limiti della dotazione organica dell’autonomia di cui al comma 5, tenuto conto delle scelte degli studenti e delle famiglie». È proprio nel rinvio al comma 5 che è assegnato l’organico dell’autonomia. Tale organico altro non è che quello risultante dal “piano di assunzioni a tempo indeterminato” (v. comma 95), per i docenti iscritti nelle graduatorie di merito e in quelle ad esaurimento. Per questi si è poi è provveduto ad un piano altrettanto straordinario di “mobilità territoriale e professionale su tutti i posti vacanti dell’organico dell’autonomia” (v. comma 108) «per tutti gli ambiti territoriali a livello nazionale». Dunque, si tratta solo di docenti assegnati agli ambiti per l’ampliamento dell’offerta formativa.

Come sono avvenute le assegnazioni

L’Amministrazione ha dovuto porre in essere un nuovo algoritmo sulla base delle contestazioni sopravvenute e dei tentavi di conciliazione.

Infatti, se per ogni sede il docente ha espresso più di una preferenza, e se il sistema informativo, sulla scorta dell’algoritmo preimpostato, non è andato a considerare tutte le preferenze, ma una sola, il risultato scontato è che il docente ha avuto attribuita una collocazione non confacente rispetto alle proprie scelte, sia in termini di sede che di preferenze, ma anche di punteggio spettante. Ad es. sulle sedi scelte per posto comune o di inglese per la primaria, un docente che avesse indicato entrambe le scelte, per diverse sedi, si sarebbe potuto trovare al posto X in graduatoria, mentre avrebbe avuto diritto ad una posizione Y, se solo si fosse tenuto conto, per ogni sede, di entrambe le scelte.

Chi ha scelto i docenti

Ma non basta. Si è anche verificato che i docenti assegnati agli ambiti non corrispondevano alle classi di concorso di cui avrebbero avuto bisogno le istituzioni scolastiche autonome per realizzare la loro offerta formativa (PTOF) e il piano di miglioramento (PDM).

Si dirà: con la chiamata diretta per competenze ogni scuola avrebbe potuto risolvere questa asimmetria. Ma con la chiamata diretta i dirigenti scolastici non potevano fare altro che visionare i curricula dei docenti già assegnati a quell’ambito, secondo la funzione SIDI, e sperare di trovarne qualcuno rispondente all’offerta formativa della scuola, quindi pubblicare coraggiosamente un “avviso” e magari procedere anche ad un “colloquio” con l’interessato.

Le polemiche non sono mancate in questa fase, e vanno da riflessioni di natura personale, fino a tesi più ampie e generalizzate, tanto da far richiedere da parte dei sindacati della scuola l’intervento della giustizia amministrativa.

Il ruolo dell’amministrazione (periferica)

Che ruolo hanno avuto i vecchi “Provveditorati”, quelli che una volta gestivano le nomine del personale della scuola?

Il loro spazio è stato molto limitato: tutto, come è noto, è gestito a livello informatico su piattaforme dedicate dove arrivano i dati relativi alle assunzioni, e a questi si deve dare esecuzione (salvo le direttive che passano dalle Direzioni Generali degli Uffici Scolastici Regionali).

Ma il lavoro richiesto è stato comunque frenetico: tra mobilità, utilizzazioni e assegnazioni provvisorie, conciliazioni approntate per porre rimedio agli errori dell’algoritmo, tra scampoli di assunzioni per il personale dell’infanzia e per il personale ATA (che anch’esso fa capolino in questa grande tornata assunzionale).

Il governo vanta tuttavia che per la prima volta, dopo tanti anni, sono stati assunti ben 90.000 docenti. Ed è questo il risultato che conta veramente. Un risultato che ha visto, però, come effetto immediato, il travaso al Nord di insegnanti del Sud. Al Nord, infatti, si trovano servizi scolastici più ampi e articolati e un tempo pieno più diffuso, che si traducono in posti di lavoro per i docenti.

Quale futuro prossimo

Un ritorno al territorio d’origine degli insegnanti che sono stati costretti ad abbandonarlo è possibile. Ma bisogna rafforzare i servizi e le opportunità formative per gli studenti del Sud; bisogna saper fare squadra, condividere ed utilizzare la rete, attivare gli Enti Locali. Una volta superata questa fase è anche possibile tornare ad un’assunzione di tipo regionale e non nazionale, attraverso una chiamata diretta nel vero senso del termine: se una scuola ha bisogno di un docente di lingua inglese, il dirigente deve essere messo nella condizione di poter scegliere il migliore, il più affidabile per i suoi studenti, magari con il supporto finanziario della stessa comunità.

Si potrebbe ricorrere ad una Local Authority come in Inghilterra? Perché no, se solo si volesse concepire l’autonomia (tanto esibita) in termini di partnership, ovvero di alleanza tra governo centrale, autorità locali e associazioni degli insegnanti; se solo si riconoscesse che il corpo docente è definito da principi, come la responsabilità per il proprio compito, e da prassi, come la negoziazione sindacale, anziché da doveri imposti per via gerarchica, con il conseguente conflitto con l’autorità. Solo in tal caso potrebbe iniziare una nuova era: quella, appunto, dell’autonomia.

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1 Cfr. http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/ministero/cs220716