Rinnovo organi collegiali: una “routine” da ripensare

Un quadro incerto

In queste settimane tutte le scuole del Paese stanno avviando i preparativi per la celebrazione di quello che è ormai diventato uno stanco rituale: le elezioni per il rinnovo degli Organi Collegiali. Come ogni anno, il Miur ha dettato le istruzioni operative con una circolare, la n. 7 del 21 settembre 2016, che conferma le procedure previste dall’Ordinanza ministeriale n. 215 del 15 luglio 1991, modificata ed integrata dalle successive Ordinanze nn. 267, 293 e n. 277, rispettivamente del 1995, 1996 e 1998. Nulla di nuovo quindi sotto il sole dell’autonomia, che invece reclamerebbe la diffusione di una reale cultura dell’interazione e della corresponsabilità, con il varo ormai troppo a lungo rimandato della riforma degli Organi collegiali.

Una delle spie di insormontabili difficoltà a trovare soluzioni convincenti anche a problemi tutto sommato semplici è costituita dalla situazione degli Istituti onnicomprensivi, in cui continuerà ad operare, al posto del Consiglio di Istituto, un commissario straordinario dagli incerti poteri; tra l’altro, è bene ricordarlo, questa lacuna normativa ha provocato gravi imbarazzi nella fase di individuazione dei componenti il Comitato di valutazione per la valorizzazione del merito dei docenti, ed è facile prevedere che anche quest’anno l’ingranaggio da qualche parte si intopperà.

La “crisi” della partecipazione

A parte la necessità di studiare almeno dei correttivi per adeguare il sistema alle novità introdotte dalla Legge 107/2015, è chiaro che la gestione democratica della scuola attraversa una fase di stallo, anzi di vera e propria crisi. Lo dimostra anzitutto il fatto che la partecipazione dei genitori alle elezioni è diventata, col tempo, sempre più esigua, fino a tradursi in numeri risibili; i dati ci sono, e compaiono nero su bianco nelle tabelle dei RAV, ove, all’area “Integrazione con il territorio e rapporti con le famiglie”, si legge che la percentuale nazionale di genitori votanti effettivi sul totale degli aventi diritto per il Consiglio di Istituto è pari al 10% circa. In tale situazione, la rappresentatività è diventata un fatto di cooptazione molto più che di personale convinzione; i pochi genitori presenti si vedono in genere costretti ad immolarsi come candidati, e non è raro il caso che qualcuno si trovi eletto in contumacia.

Gli alunni votano, se non altro perché le elezioni sono organizzate in orario scolastico, ma circa il loro impegno effettivo e la loro fiducia nelle possibilità di un protagonismo attivo la dice lunga il teatrino cui si assiste ogni mese in occasione dell’assemblea di Istituto: una riunione che troppo spesso dura, per usare la formula di un fortunato sketch degli anni ’90, “dalle 8 alle 8”: il tempo di aprire i lavori e poi tutti fuori, al bar a prendere cappuccino e cornetto e a far festa perché quel giorno non c’è lezione.

Chi rappresenta chi?

Sembra funzionare appena un po’ meglio il meccanismo delle Consulte provinciali degli studenti, istituite – anch’esse prima dell’avvento dell’autonomia – per rafforzare le possibilità di proposta, di confronto e di iniziativa (una delle “competenze chiave”, non dimentichiamolo) degli adolescenti, forse perché in questo caso i giovani sono supportati da un docente referente in ogni Ambito territoriale, e realizzano momenti di coordinamento a livello sia regionale sia nazionale, in cui per così dire ci mettono la faccia; tuttavia anche le Consulte, fatte salve alcune fulgide eccezioni, attraversano una fase di stanchezza, vuoi per la scarsità di fondi, vuoi perché spesso i rappresentanti vengono selezionati in base alla loro “popolarità” tra i coetanei, e poco sanno di quello che dovrebbero e potrebbero effettivamente fare.

In ogni caso i rappresentanti dei genitori e degli alunni percepiscono troppo di sovente le loro funzioni come marginali e burocratiche, tendono a farsi portavoce di problemi ed esigenze specifici e contingenti, mentre i temi importanti, quelli propriamente educativi, finiscono per restare sullo sfondo, o peggio si rinchiudono in logiche corporative, vedendo in Dirigenti e docenti quasi una sorta di “controparte”.

Un rito di passaggio?

Che valore si può attribuire al rito di passaggio delle elezioni degli Organi Collegiali, se poi il genitore che, volente o nolente, è stato nominato, viene chiamato a prendere parte alle riunioni fondamentalmente per conoscere il livello della classe, per confermare una decisione già presa su di una visita guidata o sull’adozione di un libro di testo, per approvare un Programma annuale di cui non conosce bene le logiche, per essere informato su problematiche di cui poi darà conto alle altre famiglie con una e-mail o un messaggio whatsapp? E magari il paziente genitore, alla fine della seduta, ne approfitterà per porre la domanda fondamentale: “Sì, bene, ma mio figlio come va?”.

Fare comunità

Non si può che concludere che è indispensabile, e urgente, rifondare gli Organi collegiali e con essi la comunità scolastica. Proviamo a trarre qualche suggestione da una riflessione di Roberto Esposito [1]: se in genere quando pensiamo ad una definizione di “comunità” viene spontaneo richiamare alla mente termini quali bene comune, o comune appartenenza, e pertanto caratterizzarla come un “avere in comune”, è possibile cambiare prospettiva e soffermarsi sull’etimologia della parola latina communitas, cum-munus, che significa originariamente “dono” inteso come dovere, come obbligo. Esposito conclude che il munus che la communitas condivide “non è una proprietà o un’appartenenza, non è un avere, ma, al contrario, un debito, un pegno, un dono-da-dare”. A prescindere dalle implicazioni che il filosofo ricava da tale assunto, ci sembra particolarmente adatta alla scuola l’immagine di una comunità in cui ciascuno dona all’altro, gratuitamente, e tutti si passano un pegno come in una staffetta. Forse non è impossibile, non ancora, anche prima della sospirata riforma, far attecchire una prospettiva del genere contro quella della chiusura e dell’individualismo che immunizza – immunitas come contrario di communitas – il soggetto e lo lascia solo nel suo cammino: una prospettiva non tecnicistica, non sterile, non inutilmente burocratica che, se condivisa, può far incontrare in un dialogo fattivo i genitori, i ragazzi, la scuola.

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[1] R. Esposito, Communitas. Origine e destino della comunità, Einaudi, Torino, 1998.