La scuola di fronte alle competenze: certificazione e formazione in servizio

L’orizzonte delle competenze

Si può affermare che attorno al tema delle competenze ormai ruotano tutti gli aspetti pedagogici e ordinamentali del sistema scuola. Sul piano del dichiarato non vi è alcun dubbio. Tuttavia, a fronte di dispositivi certificativi emanati in tempi diversi sia per il primo che per il secondo ciclo (DM 9/2010 per quest’ultimo, circ. 3/2015 per la scuola di base), e a fronte di una certa consapevolezza diffusa della necessità di superare il modello trasmissivo dell’insegnamento a favore di metodologie attive, sul piano delle prassi didattiche si può constatare che le competenze costituiscono un orizzonte non privo di nodi critici.

Il monitoraggio sulla certificazione nel primo ciclo

Il monitoraggio 2016 sulla certificazione delle competenze testimonia la complessità del percorso innovativo compiuto dalle scuole del primo ciclo che hanno voluto sperimentare il modello ministeriale di certificazione. La sua lettura risulta istruttiva e orientante per comprendere le prospettive che si aprono nell’anno scolastico in corso, definito dal documento “anno ponte per l’adozione guidata di nuovi strumenti di valutazione e certificazione”. Parallelamente il Piano Nazionale di Formazione presentato dal MIUR il 3 ottobre 2016 individua tra le priorità formative il punto “Didattica per competenze, innovazione metodologica e competenze di base”, tutto centrato sull’importanza delle adozione di metodologie alternative alla tradizionale lezione trasmissiva.

I nodi, si è detto, non mancano, e forse proprio un costrutto utilizzato dal citato documento ministeriale sulla sperimentazione consente di individuare il nodo dei nodi: è la “cultura della valutazione formativa”, che sarebbe sottesa ai modelli di certificazione e che richiederebbe “processi di lunga durata”, da gestire, si aggiunge qui, attraverso una formazione iniziale ed una formazione in servizio coerenti con gli obiettivi del sistema. Non si tratta, infatti, di applicare dispositivi elaborati altrove. Si tratta di comprendere in profondità il paradigma da cui si parte, ovvero quello della tradizione trasmissiva dell’insegnamento che nel nostro Paese sa resistere pervicacemente soprattutto nell’insegnamento secondario. Occorre comprendere le ragioni di questa resistenza per valutare l’efficacia dei percorsi formativi che si propongono alle comunità professionali.

Trasmettere conoscenze o promuovere competenze?

La trasmissione è funzionale alla selezione e all’omologazione. La sua ancella fedele è la valutazione quantitativa, sia che si tratti di voto numerico che di scala alfabetica (A, B, C, D…) o aggettivale (ottimo, distinto, ecc.). L’insegnamento per competenze confligge con l’idea di trasmissione del sapere e pertanto anche con forme di valutazione quantitativa e statica, ivi compresi i test standardizzati nazionali. Soltanto lo sviluppo di una valutazione formativa di carattere qualitativo e descrittivo, capace di integrare traguardi (di sviluppo, naturalmente, nel primo ciclo) e processi, può sensatamente candidarsi a costituire l’asse portante della formazione sulle competenze.

Questo sostiene il Piano Nazionale di Formazione quando enfatizza la necessità di “lavorare nella direzione di rafforzare l’applicazione di metodologie attive che rendano lo studente protagonista e co-costruttore del suo sapere attraverso il procedere per compiti di realtà, problemi da risolvere, strategie da trovare e scelte da motivare”. Ma occorre, si diceva, coerenza globale tra tutti gli attori del sistema perché nelle aule scolastiche tale prospettiva possa trovare applicazione. Si tratta infatti di un orizzonte didattico che postula una drastica riduzione dei contenuti disciplinari ed una loro conversione, se così si può dire, in “campi di esperienza” per tutti i gradi di scuola.

La scuola dell’infanzia in questo può fare da apripista, con il suo modello didattico globale, capace di integrare i saperi e di valorizzare gli atteggiamenti dei discenti di fronte a compiti che evocano la vita reale. L’integrazione tra dimensione cognitiva e dimensione affettiva in ambito di competenze scolastiche è ineludibile ed “evolutiva” non solo per l’infanzia, come riconosce il monitoraggio quando ipotizza la certificazione anche per quel settore di scuola, ma a tutte le età, e la formazione in servizio non potrà non tenerne conto.

Le priorità del Piano nazionale di formazione

Le linee strategiche individuate dal Piano di Formazione sono dunque condivisibili, ma la loro attuazione passa attraverso la consapevolezza che la mobilitazione degli apprendimenti – progettata, valutata e certificata – nella direzione dello sviluppo di competenze richiede la presa di distanza da ogni approccio meramente quantitativo e classificatorio (“uscire dalla logica della classificazione”, afferma il citato monitoraggio MIUR). Il sapere che si fa problema e lo studente che si fa ricercatore rappresentano i due poli attorno ai quali gli attori del sistema sono chiamati a muoversi, soprattutto nelle occasioni in cui il sistema cerca quelle “evidenze” che né esami di Stato, in cui i saperi e le discipline sono giustapposti, né test standardizzati, in cui i processi di elaborazione delle risposte restano largamente impliciti e convergenti, possono far emergere.

Dunque il cammino sembra ben tracciato dalle dichiarazioni dei documenti da cui qui si è tratto spunto. Ma alle dichiarazioni occorre far seguire una governance coerente sia della formazione in servizio – che richiede forte ancoraggio ai contesti reali e alla cooperazione tra i docenti – sia dei meccanismi ufficiali di valutazione degli apprendimenti degli studenti, che con la loro staticità e col loro orizzonte meramente quantitativo rischiano di opacizzare l’apprezzabile prospettiva pedagogica, formativa e inclusiva, delineata dai documenti ministeriali.