L’italiano L2 nella Scuola plurilingue

Un breve glossario

La glottodidattica è una scienza pratica ed interdisciplinare che ha, al suo interno, una componente operativa che definisce metodi e seleziona tecniche e tecnologie per l’insegnamento/apprendimento delle lingue. In glottodidattica, si parla di lingua seconda (L2) quando l’apprendimento della lingua non materna avviene in un contesto nel quale essa venga impiegata come lingua di comunicazione quotidiana (per esempio l’italiano acquisito in Italia attraverso i normali scambi comunicativi); si parla, invece, di lingua straniera (LS) quando l’apprendimento avviene in un contesto nel quale essa sia presente soprattutto in momenti di apprendimento guidato (per esempio l’italiano appreso all’estero in una scuola di lingua, o l’inglese appreso nelle scuole in Italia). Spesso si parla più genericamente di L2 per identificare tutti quei sistemi linguistici non materni, siano essi lingua seconda o straniera. La linguistica definisce lingua materna (L1) quel sistema di competenze raffinate che, sin dalla pancia della mamma, attiva parti del cervello specificatamente dedicate, nell’essere umano, al linguaggio e che si forma settando parametri linguistici nella mente-cervello del bambino.

Lingua per comunicare, lingua per studiare

A scuola, si può favorire il naturale processo di acquisizione linguistica dei bambini/ragazzi parlanti italiano L2 attraverso la facilitazione linguistica[1], che consiste di una serie di pratiche didattiche che creano occasioni di scambi comunicativi significativi, motivanti e ricchi di input linguistico e che, al contempo, focalizzino l’attenzione degli allievi/apprendenti sulle forme linguistiche in contesto. In un arco di tempo che può variare da pochi mesi a qualche anno, si sviluppa così, oltre al sistema linguistico, la lingua della comunicazione di base: tutta una serie di competenze linguistiche e competenze/abilità linguistico-comunicative che permettono ai bambini/ragazzi di comunicare i propri bisogni primari ma anche le proprie emozioni e le proprie opinioni via via in modo più vicino alla lingua target.

La scuola, tuttavia, richiede anche ulteriori conoscenze, abilità e competenze, che coinvolgono operazioni cognitive complesse insieme all’uso della lingua, spesso una lingua specialistica non spontanea (lingua della matematica, delle scienze, della storia etc.). Ecco, allora, che a scuola si sente usare l’espressione lingua dello studio, un insieme di varietà linguistiche e di tecniche ed abilità (linguistiche e cognitive) che sono specifiche soprattutto del contesto e delle discipline della scuola stessa e che mettono a rischio il successo formativo degli allievi. Per lo sviluppo della lingua dello studio occorrono tanti anni di quotidiano allenamento con la lingua. Quando la lingua dello studio è una seconda lingua, occorre un numero ancora maggiore di anni per lo sviluppo di queste abilità.

La facilitazione linguistica

Per favorire il successo formativo di tutti, nella scuola plurale i docenti più illuminati fanno ricorso alla semplificazione, rielaborazione e riorganizzazione dei testi disciplinari, cioè alla riscrittura del testo in microlingua (linguaggio specifico delle discipline) in un linguaggio più vicino alla comunicazione di base, con una rielaborazione del testo che ne aumenti la comprensibilità tramite ridondanza e secondo un’organizzazione logico-concettuale che ne faciliti l’elaborazione cognitiva e la comprensione. Attraverso le tecniche di semplificazione linguistico-testuale, i materiali didattici diventano a dimensione di tutti e si abbassa il carico cognitivo richiesto dai compiti.

Le didattiche inclusive

Tuttavia, la scuola può fare ancora di più per creare un ambiente di apprendimento veramente inclusivo e non meramente di integrazione: può tentare di ridurre le barriere che ostacolano gli apprendimenti; barriere che è la scuola stessa, spesso, a creare attraverso una didattica frontale e trasmissiva, poco attenta alle specificità e alla varietà. In alcune scuole del territorio nazionale, in accordo con le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione (MIUR, 2012), a cui si attinge per le parole che seguono, si stanno costruendo ambienti di apprendimento nei quali si valorizza l’esperienza e le conoscenze degli alunni; si attuano interventi adeguati nei riguardi delle diversità; si favoriscono l’esplorazione e la scoperta; si incoraggia l’apprendimento collaborativo; si realizzano, infine, attività didattiche in forma di laboratorio. In queste scuole, si promuove «il confronto, il dialogo ed anche la reciproca trasformazione, per rendere possibile la convivenza» (La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri, MPI 2007).

Per un apprendimento linguistico cooperativo

Nel territorio pratese il Comune di Prato da anni promuove l’inclusione attraverso una metodologia didattica inclusiva. Essa prende il nome di ALC (Apprendimento Linguistico Cooperativo) e fonde insieme Cooperative Learning e Facilitazione Linguistica. Attraverso le relazioni e l’attenzione posta ad aspetti linguistici e microlinguistici, attivate da procedure didattiche che creano interdipendenza positivaresponsabilità personaleequa partecipazione ed interazione simultanea, tutti i bambini/ragazzi scoprono i linguaggi specifici della scuola e fanno operazioni complesse insieme, senza il timore di cadere senza reti o perdere la faccia: ognuno lo fa con i propri mezzi, all’interno di ruoli cooperativi specifici selezionati dal docente/facilitatore degli apprendimenti; ruoli che siano, per ciascuno, sfidanti ma sostenibili. Le attività sono motivanti, gli apprendimenti si costruiscono divertendosi: questa è la scuola di tutti e di ciascuno.

—-

[1] Per un approfondimento sull’argomento si veda: “L2 – La facilitazione linguistica e degli apprendimenti nella classe plurilingue“, Alan Pona, Tecnodid editrice, aprile 2016.