Quale certificazione per le competenze?

Verso un modello semplificato

L’anno 2016-2017 costituisce di fatto il terzo anno di sperimentazione del modello di certificazione per il primo ciclo d’istruzione. C’è un problema però. Manca ancora una nota ufficiale che dica alle scuole come e se proseguire il lavoro, che dia indicazioni sulla base del monitoraggio effettuato (i cui risultati sono contenuti in articolato documento pubblicato sul sito del Miur[1]), che proponga il modello di scheda da utilizzare: possibilmente più semplice, nei contenuti e nella forma, più facile da capire, soprattutto per le famiglie. Gli insegnanti si aspettano chiarimenti in tempi brevi, anche perché hanno risposto con entusiasmo e con molto “coraggio” alla proposta sperimentale.

Un vero atto di coraggio

Possiamo, infatti, considerare la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado le più coraggiose in materia di competenze e di conseguenti certificazioni. Le ragioni sono diverse. Anche se di questo tema si parla da moltissimi anni, non siamo mai arrivati ad una sintesi, né culturale, né istituzionale. Gli istituti tecnici e professionali, in realtà, potendo anche contare su supporti importanti (es. linee guida, EQF…), hanno avuto modo di mettersi alla prova con discreto successo. I licei, invece, continuano ad accusare storici ritardi. È noto che essi non sono facilitati né dalle Indicazioni nazionali, né da documenti istituzionali che richiedano di certificare le competenze acquisite a fine percorso.

Uno schema nazionale ci voleva

Diventa quindi molto apprezzabile il tentativo che da alcuni anni il primo ciclo d’istruzione sta portando avanti: sono circa 2.200 le istituzioni scolastiche che hanno messo alla prova un modello di certificazione a carattere nazionale. Lo è ancora di più se si pensa alle maggiori difficoltà (rispetto alle scuole superiori) per via della natura specifica dello sviluppo cognitivo e sociale di questa fascia di età. È difficile, quando processi e cambiamenti sono assai veloci e mai sequenziali, poter definire e condividere le manifestazioni esterne cui far riferimento per attestare le competenze in fase di acquisizione, e farlo in maniera tale che siano da tutti comprese.

Tenere insieme tante variabili

Il comitato scientifico nazionale, che ha accompagnato l’adozione del modello sperimentale negli anni 2014-2015 e 2015-2016, si sarà chiesto, fin dall’inizio, da quali fonti far scaturire le competenze da certificare alla fine del percorso di studi. Tra le tante a disposizione la scelta, forse ineludibile, è stata quella di prendere in considerazione: il profilo dello studente in uscita; le competenze chiave europee; i traguardi di sviluppo delle competenze relativi ad ogni disciplina; ma anche gli intrecci tra competenze disciplinari e competenze trasversali, senza tuttavia dimenticare il quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente. Il passo successivo è stato quello di assemblare tali riferimenti all’interno di uno strumento essenziale, sobrio e soprattutto funzionale ad attivare un processo di miglioramento attraverso la consapevolezza di sé, dei livelli raggiunti e del potenziale di sviluppo.

Un modello a prova di scuola

Gli intenti erano sicuramenti eccellenti, tant’è che la proposta ha riscosso un indubbio successo. Molte sono state le scuole che, forse, stanche dei modelli “fatti in casa”, si sono affidate fiduciose ad uno schema sicuramente ritenuto più fondato sul piano scientifico ed istituzionale. Il modello proposto ha cercato di semplificare in 12 aspetti le competenze del profilo, associandole alle competenze chiave, chiedendo contestualmente al docente compilatore di specificare la disciplina maggiormente coinvolta. Ma è andato anche oltre. Ha voluto, attraverso un tredicesimo aspetto “aperto”, continuare a percorrere la strada della personalizzazione. Fare in modo, cioè, che le competenze di ogni studente, anche le più nascoste e le meno formalizzate, avessero diritto di cittadinanza e potessero essere ben spese a livello di scelte orientative o, comunque, sul piano sociale. Inoltre l’aggiunta di un quarto livello (D: iniziale) ai tre livelli standard (A: avanzato; B: intermedio; C: di base) ha rilanciato un bel messaggio di scuola inclusiva.

È difficile essere chiari e farsi capire

Da questa scelta sono scaturiti, però, alcuni problemi. Per esempio c’è stata un’enfasi eccessiva sulle competenze trasversali e una conseguente sottovalutazione dei risultati a carattere disciplinare. È emersa, da parte dei docenti, la difficoltà a specificare, in poche parole, come ogni disciplina possa contribuire alla costruzione di ogni specifico aspetto del profilo. Inoltre il linguaggio utilizzato nel documento, assai specialistico, non ha contribuito ad una diffusione della cultura valutativa. Un modello nazionale deve avere innanzitutto la qualità della chiarezza. Gli insegnanti devono sapere se le loro azioni avranno una ricaduta vera sugli studenti. L’istituzione deve potersi rendere conto se gli interventi scelti vanno nella giusta direzione. Gli studenti devono poter utilizzare il documento come un dispositivo efficace per migliorare processi ed esiti. I decisori politici devono far riferimento a dati certi per capire come sta andando il sistema scuola. Soprattutto le famiglie devono essere messe nelle condizioni di comprendere se i propri figli acquisiscono, attraverso la frequenza scolastica, ciò che serve per la vita e per la società. Non è facile, ma è indispensabile…

Il parere e le proposte degli insegnanti

Le istituzioni scolastiche, che hanno risposto assai numerose alla sperimentazione (1503 nel primo anno; 2183 nel secondo anno), non si sono sottratte ad esprimersi in merito. Ci sono stati diversi apprezzamenti. I docenti hanno infatti riconosciuto che il documento proposto non rappresenta solo un atto formale, ma uno strumento più complesso di natura qualitativa. Uno strumento volto ad accompagnare gli studenti lungo il percorso scolastico, a sollecitare scelte metodologiche innovative, a facilitare la costruzione di ambienti di apprendimento stimolanti e un clima sociale incoraggiante e solidale. Inoltre le tante attività formative collegate hanno contribuito in maniera evidente al miglioramento della qualità della didattica.

Pur tuttavia ci sono stati diversi suggerimenti volti a modificare il documento per renderlo più essenziale, funzionale e chiaro. Le conclusioni del rapporto nazionale fanno presupporre alcune variazioni. Per esempio, se le competenze del profilo vengono ancorate alle 8 competenze chiave europee invertendo l’ordine di presentazione, sicuramente si renderanno più espliciti gli esiti formativi. Sarebbe, inoltre, opportuno semplificare il linguaggio relativo alla descrizione delle competenze da certificare, perché è stato ritenuto (a ragione) troppo complesso, soprattutto per le famiglie che ricevono il documento. Un terzo punto che potrebbe essere espunto dalla scheda è l’interconnessione tra le discipline e le competenze. Anche se è un punto focale, resta difficile rappresentarla in un documento finale che deve essere, per natura, sintetico ed inequivocabile.  Ad evitare, comunque, possibili e deleteri processi semplificatori, sarà necessario indicare qualche ulteriore “strategia” che aiuti gli insegnanti ad approfondire tale rapporto.

Ben venga un modello semplificato

Le scuole stanno concludendo la prima fase dell’anno scolastico. Una prima ragionevole aspettativa è quella di avere indicazioni in merito sul prosieguo della sperimentazione almeno entro quest’ultimo scorcio di anno. Ciò permetterebbe di riorientare le azioni didattiche in tempo ancora utile. Una seconda ragionevole aspettativa è quella di poter contare su un modello di scheda che faccia tesoro delle pregresse esperienze e che tenga conto delle principali osservazioni di coloro che si sono messi alla prova e ne hanno sperimentato la fattibilità.

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[1] http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/istruzione/dettaglio-news/-/dettaglioNews/viewDettaglio/40409/11210