Don Lorenzo Milani, mezzo secolo dopo: la lezione continua

Il priore, un assolutista…

Nell’intervento precedente ho sottolineato la scelta radicale che il giovane Lorenzo Milani fece nel momento di intraprendere la vita sacerdotale.

Un episodio poco conosciuto ma forse decisivo nella scelta di voltare pagina e farsi prete avvenne nei primi Anni Quaranta del secolo scorso.

Siamo nel 1942 in una Firenze stretta dalla morsa della guerra e dalle enormi difficoltà che la gente viveva in quei terribili mesi.  Lorenzo, piccolo borghese, poteva permettersi di mangiare un pezzo di pane mentre camminava in una viuzza vicina a Palazzo Pitti. All’improvviso  da una finestra una donna gli grida: ” Non si mangia il pane bianco  nelle strade dei poveri!”. La crudezza di quel rimprovero lo tramortisce a tal punto da decidere di cambiar vita. Quell’urlo diventerà per il futuro priore di Barbiana il precetto morale di un’intransigente coerenza  che lo accompagnerà per tutta la sua breve esistenza di prete e di educatore.

Per questo suo temperamento poco incline al dialogo, fu bollato dall’arcivescovo  di Firenze, Ermenegildo Florit, con queste parole: “Tu, don Milani,  sei per natura un assolutista e rischi di produrre fra i più sprovveduti di cultura e fede dei veri classisti di destra  o di sinistra, non importa“.

I ragazzi di Barbiana

A questa lettera, i ragazzi del priore risposero: “A  Barbiana abbiamo sempre ricevuto tutti. Ricchi e poveri potevano mettersi a sedere  a scuola senza che nessuno gli dicesse niente. A noi pare che il nostro priore sia l’unico prete veramente anticlassista … Noi speriamo che un giorno anche Lei capisca il priore come lo capiamo noi. Lei ora non può capire perché non ha mai visto la nostra scuola, non ci conosce, non è mai stato ad una nostra lezione, ma parla per sentito dire. Ma un parroco non si giudica dai suoi scritti, ma dalla sua parrocchia“.

In realtà, il vescovo aveva qualche ragione. I grandi educatori hanno sempre espresso una certa intransigenza, soprattutto quelli che, come don Milani, hanno conosciuto il passaggio della conversione.

Da una persona che decide di farsi prete per  ascoltare soltanto la voce dei poveri, non ci si poteva attendere atteggiamenti compromissori o troppo concilianti. Inoltre chi affida tutte le proprie energie ad una grande utopia educativa, come l’esperienza di Barbiana, difficilmente avrebbe potuto scendere a patti o cercare scorciatoie.

Liberare i giovani dalla schiavitù

Per liberare i poveri dalla schiavitù della loro condizione sociale e culturale, Don Milani organizza una scuola  finalizzata ad aiutare i ragazzi a realizzarsi pienamente, partendo da problemi e fatti concreti, approfondendoli con lo studio, la ricerca, il confronto,  e soprattutto “dominando” i temi affrontati con l’ assoluta padronanza dell’Italiano  e delle lingue straniere.

Egli, infatti, mandava i suoi ragazzi ad imparare le lingue all’estero e ospitava ogni anno a Barbiana  giovani provenienti da altri paesi che avevano il compito di insegnare la loro lingua ai suoi alunni.

Il 9 gennaio 1964 (il priore era già molto malato) don Lorenzo  scrive a Gostino, uno dei suoi ragazzi: “Qui funziona bene il nostro sudafricano biondo. Non è razzistasembra che abbia una gran miseria. Insegna con grande passione per l’intera mattinata a tutti, compresa la terza.  Io mi tengo la prima e la seconda e faccio Italiano tutte le mattine” (Lettere, 1970).

Afferma Edoardo Martinelli, uno dei suoi alunni: “A Barbiana non c’erano banchi ma tavoli, attorno ai quali sedevano i ragazzi per le attività che erano spesso di gruppo. Un metodo attivo, del saper fare, capace di formare il pensiero autonomo e che ci consentiva di studiare da soli o in  piccoli gruppi.

… La sfida più grande per Lorenzo maestro consisteva nello spostare l’attenzione dai saperi alla persona, dai programmi ministeriali onnicomprensivi alle conoscenze necessarie al ragazzo che egli voleva liberare dalle timidezze contadine“.

Diventare sovrani

Il fine educativo della scuola di Barbiana non era quello di ” confezionare” avvocati, ingegneri, dottori,…

No, don Milani desiderava che i suoi ragazzi diventassero ” sovrani”. Non importava il lavoro che avrebbero fatto. Potevano essere contadini, operai, muratori,… Una sola cosa era loro vietata: diventare subalterni ad ogni forma di appiattimento culturale!

Si diventa padroni di se stessi solo liberandosi dalla condizione di semianalfabetismo  e conquistando gli strumenti che ci permettono di comprendere la realtà degli uomini, delle cose e dei grandi cambiamento della storia.

La mancanza di istruzione rende un pessimo servizio sia al cristiano che al cittadino. Istruzione-fede-cittadinanza sono per don Lorenzo Milani una triade inscindibile: senza cultura siamo destinati a sprofondare nella disuguaglianza e nella indegnità della condizione umana.

Per conseguire questo obiettivo, il priore  rifiuta  il ruolo del maestro  “trasmettitore” di nozioni avulse dalla realtà. Egli vuole che i ragazzi sappiano mettersi alla prova attraverso il piacere di studiare, elaborare e comprendere!

Bibliografia

– Lettere di Don Lorenzo Milani, priore di Barbiana, Mondadori, Arti Grafiche delle Venezie,  Vicenza, 1970

– Martinelli E., Pedagogia dell’aderenza, Polaris, Firenze, 2002

(continua)