Lo storytelling dello “zerosei”

Lo zerosei come “cornice emozionale”

Se la narrazione, attraverso il potere delle emozioni, è in grado di stimolare idee nuove, condivisione di valori, voglia di sperimentare nuove soluzione, allora si può ben dire che la forza del “progetto zerosei” risiede nello storytelling. Cioè nell’orientare l’attenzione della nostra società (dai decisori politici ai genitori) verso politiche pubbliche a sostegno dell’infanzia e della genitorialità. Si deve infatti prendere atto che nel nostro Paese si assiste ad un vero e proprio crollo della natalità e che questo dato va collegato anche alla scarsa presenza di supporti e servizi per le famiglie che decidono di avere figli. Dunque, l’obiettivo prioritario del decreto legislativo sullo “zerosei” (in dirittura d’arrivo dopo i pareri positivi di Camera e Senato) è quello di estendere la rete degli asili nido e delle scuole dell’infanzia, e di garantire la loro qualità (a prova di telecamera). E di farlo in una cornice emozionale in cui l’obiettivo politico (amministrativo, gestionale, organizzativo) sia considerato “equo e giusto” e capace di far immaginare anche agli operatori del settore un futuro migliore. Forse è questo il motivo per cui il decreto “zerosei” è tra quelli in preparazione considerato il più sicuro, soprattutto dall’opinione pubblica (un po’ meno dagli addetti ai lavori, ma questo, si sa, è il problema ricorrente delle riforme scolastiche). Non è un caso che poi sia il decreto con il budget finanziario più consistente (oltre 200 milioni annui).

Due strutture con specifica identità pedagogica

Evocare un percorso educativo “zerosei” rimanda all’idea di uno sviluppo in continuità e coerenza tra prima e seconda infanzia, anche se poi sappiamo che un conto sono i nidi d’infanzia, rivolti ai bambini da 3 mesi a 3 anni (all’incirca il 20% dei potenziali utenti) e cosa diversa sono le scuole dell’infanzia che si rivolgono alla totalità dei bambini dai 3 ai 5 anni (96% di iscritti). Lo schema di decreto rispetta le diverse identità delle due strutture, perché chiama le prime “servizi educativi” (ed in esse operano gli educatori) e le seconde “scuole dell’infanzia” (affidate a insegnanti). Per i nidi sono previsti “orientamenti educativi nazionali” (che al momento non esistono), mentre le scuole dell’infanzia faranno riferimento alle Indicazioni nazionali per il curricolo (appena rinnovate nel 2012). Per assicurare la continuità dei due percorsi saranno definite le Linee Guida pedagogiche, ad opera di una apposita commissione scientifica nazionale. Sarà dunque decisiva la cornice pedagogica “comune” allo zerosei, che dovrà però mettere in evidenza le parole forti del nido: cura, accoglienza, corpo, benessere, protezione, routine ma anche enfatizzare lo specifico della scuola dell’infanzia: relazione, apprendimento, sviluppo, gioco, linguaggi, campi di esperienza, curricolo verticale. Certamente i due guardaroba pedagogici sono largamente comuni, ma richiedono una specifica attenzione alle diverse età dei bambini.

Prendersi cura dei bambini

Ma i confini tra i due mondo non sono rigidi. Prendiamo il termine “cura”: possiamo riferirci alle cure materiali, all’attenzione ai bisogni primari dei bambini più piccoli (riposo, alimentazione, pulizia, ecc.), alla funzione di accoglienza tipico del nido; tuttavia quello stesso termine si carica immediatamente di risvolti psicologici, di attenzione all’altro, di sostegno all’autonomia, di relazione educativa. Non c’è cura senza educazione, non c’è educazione senza cura, come ci ricorda il bel documento europeo sulla qualità delle strutture educative 0-6 anni che ha ispirato fortemente il progetto italiano.[1]

Il modello organizzativo

Il decreto legislativo sullo 0-6 non modifica le attuali forme gestionali di nidi e scuole: vengono salvaguardate le attuali strutture dei comuni, quelle dei privati, quelle dello Stato. Ogni operatore continuerà ad avere il proprio stato giuridico ed il proprio trattamento contrattuale. L’invito è però quello di dotarsi di regole e standard comuni, un concetto che si è un po’ affievolito dopo la Sentenza n. 284 del 22 novembre 2016 della Corte Costituzionale che ha demandato alle Regioni la responsabilità nella definizione degli standard di funzionamento per il segmento 0-3 anni)[2]. Il decreto legislativo, comunque, rafforza la regia dello Stato nel definire le caratteristiche comuni dell’intero sistema integrato 0-6 anni ed il Ministero dell’istruzione dovrà fare la sua parte. Altrettanto decisiva però sarà la Conferenza Unificata (quella ove siedono i rappresentanti di Stato, Regioni, Comuni) nel delineare il Piano pluriennale di sviluppo del sistema e il Piano finanziario per  assegnare le risorse (che saranno erogate ai Comuni). E’ prevedibile che con le nuove risorse si potranno costruire nuovi nidi, nelle zone che ne sono sprovvisti, oppure abbattere i costi di gestione di quelli esistenti (oggi troppo elevati). I Comuni riceveranno un qualche sollievo per salvaguardare le loro scuole dell’infanzia (evitando di esternalizzare parti qualificanti del servizio educativo, come sta accadendo in molte realtà) e così pure i “privati” potranno aspirare alla loro quota di risorse. Il sistema è integrato, appunto, perché a fronte del rispetto di regole comuni vengono erogate risorse pubbliche anche ai soggetti privati (paritari).

E la scuola dell’infanzia statale?

Al di là delle affermazioni sulla generalizzazione quantitativa e qualitativa della scuola dell’infanzia, per il settore statale si prospetta un cammino non facile, ma aperto a nuove possibilità. Accantonata l’idea, troppo impegnativa, di definire gli standard di funzionamento in forma di livelli essenziali delle prestazioni (il Senato nel suo parere positivo del 15-3-2017 parla di “principi fondamentali” occorre verificare con attenzione come sarà attuata l’estensione dell’organico di potenziamento alla scuola dell’infanzia (una clamorosa dimenticanza della legge 107/2015), perché potrà avvenire solo assorbendo posti “liberi” prelevati dagli organici degli altri livelli scolastici. E dire che nella scuola dell’infanzia alcune migliaia di posti di “potenziamento” sarebbero indispensabili per:

– garantire fasce pregiate di compresenza tra docenti;

– attivare semiesoneri ai docenti per forme di coordinamento pedagogico

– garantire figure specializzate di docenti per arricchire l’offerta formativa (pensiamo alla figura dell’insegnante di atelier, che ha fatto la fortuna delle mitiche scuole di Reggio Emilia);

– completare il doppio organico là ove ci sono carenze di organico (ma tale misura dovrebbe piuttosto far parte di misure ordinarie);

– contribuire a ridurre il numero dei bambini per sezione, con organizzazione flessibile dei gruppi.

Si tratta di innovazioni a lungo attese dalla scuola dell’infanzia italiana (quella statale in particolare), che da troppi anni vive nel dilemma di buone “indicazioni”, ma di risorse inadeguate.

Il coordinamento pedagogico

La prova del “nove” di un sistema veramente integrato sarà la questione del coordinamento pedagogico, che deve essere realizzato con la piena valorizzazione delle risorse presenti nel sistema. Che significa? Che ognuno dei tre settori in cui si articola il sistema (statale, privato, comunale) dovrà esprimere i propri coordinatori, scegliendoli tra le migliori professionalità a disposizione al proprio interno. Quindi la scuola statale avrà diritto ai suoi coordinatori, cioè a quelle figure “intermedie” che già esprime, ma che dovranno essere messe nelle condizioni di poter operare e di essere ben formate. Insieme, i diversi coordinatori, andranno a costituire il coordinamento pedagogico territoriale, un punto di riferimento indispensabile per far crescere la qualità del servizio e per curare la formazione dei colleghi (consulenza, supervisione, autovalutazione, lavoro collaborativo, ricerca sul curricolo e sull’ambiente di apprendimento). I coordinatori collaboreranno, nella scuola statale, con i dirigenti scolastici cui spetta la tenuta unitaria del progetto “verticale” dell’istituto scolastico (ormai comprensivo nell’80% dei casi).

Due possibili novità: polo infanzia e sezioni primavera

Lo schema di decreto legislativo sullo zerosei scommette sul rilancio e l’espansione dei servizi educativi per l’infanzia (nidi, micro-nidi, servizi integrativi come spazi gioco, centri per bambini e famiglie, servizi in contesti domiciliari) e sulla qualità delle scuole dell’infanzia. Si mantengono gli ordinamenti vigenti e le diverse tipologie di gestione, con una più forte regia del MIUR (tutta da costruire), ma offrendo anche qualche nuova ipotesi, come i poli infanzia 0-6 e le sezioni primavera. Nel primo caso vengono previsti finanziamenti per costruire strutture sperimentali in grado di ospitare bambini di età diversa, ma con possibilità di spazi flessibili, servizi integrati, esperienze di lavoro comune. Un vero e proprio “campus” per i bambini, dotato di ogni comfort pedagogico. Molti comuni sono interessati a sperimentare soluzioni architettoniche innovative, ma le risorse (INAIL) sono assai esigue. I nuovi poli costruiti ex-novo saranno poche decine. Ma già molte realtà si aprono a integrazioni nido-materna. E’ il caso delle sezioni primavera, nate nel 2006 come risposta all’anticipo, per accogliere in strutture adeguate e con personale ad hoc i bambini dai 24 ai 36 mesi. Si tratta di consolidare anche questa soluzione, oggi assai gracile e senza precisi criteri organizzativi e pedagogici (che dovranno essere al più presto definiti). Anche lo Stato gestisce sezioni primavera, oltre che i privati e i comuni. In molte realtà questa potrà essere una soluzione praticabile per estendere la rete dei servizi e raggiungere quella soglia europea del 33% di accoglienza che è negli auspici del legislatore.

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[1] http://zeroseiup.eu/la-qualificazione-dei-servizi-per-linfanzia-in-una-prospettiva-europea/

[2] Per un commento della sentenza 284/2016 vedi l’intervento di G.Cerini in: http://www.edscuola.eu/wordpress/?p=85248