Don Lorenzo Milani, mezzo secolo dopo: la lezione continua

Una testimonianza unica e premonitrice

L’esperienza di Barbiana si è conclusa con la morte del Priore, avvenuta il 26 giugno 1967. Da allora è passato mezzo secolo, eppure la lezione di don Lorenzo Milani è ancora estremamente attuale, perché rappresenta una delle testimonianze educative più straordinarie del Novecento. Egli ha anticipato molte problematiche  che il nostro sistema d’istruzione avrebbe nei decenni successivi parzialmente accolto: il tempo pieno, il lavoro cooperativo, il peer tutoring, la lingua straniera, …

Com’è successo per tutti i grandi educatori, il suo insegnamento divide ancora oggi la platea dei critici, molti dei quali parlano del prete fiorentino senza conoscerlo affatto, o avendo letto svogliatamente Lettera a una professoressa. Manca in molti il giusto approccio a questa figura, persona scomoda e difficilmente catturabile.  Don Raffaele Bensi, suo consigliere spirituale, definisce la sua personalità “dura e trasparente come un diamante”.

Per comprendere l’eredità di don Milani occorre partire dalla scelta radicale che egli compie, quando nei primi anni Quaranta del secolo scorso decide di entrare in seminario. Lui, di famiglia ebrea, “per salvare il corpo” ed evitare le conseguenze delle leggi razziali del 1938, si converte al cristianesimo e decide di farsi prete. Era però un “convertito” speciale. “Era un cristiano, ma anche un ebreo: un piede a suo modo nell’Antico Testamento l’ha sempre tenuto – dice don Bensi. – Di qui il suo rigore, le sue collere e la sua spaventosa intransigenza“. Don Milani è un uomo che scuote le coscienze senza lasciare vie di mezzo ai suoi interlocutori. La sua parola richiama da vicino le stesse forme e la medesima intensità dei gesti e dei discorsi di Cristo.

In effetti il nostro Priore di Barbiana  è stato prete, educatore, ma soprattutto profeta. Difficilmente può essere capito da chi non è disposto a mettersi totalmente a disposizione degli altri. Per comprendere la sua lezione occorre guardare l’albero dalla parte delle radici; se si osservano solo il tronco e i rami sfuggirà la carica della sua straordinaria intelligenza premonitrice.

Istruzione e fede vanno di pari passo

La radicalità della conversione religiosa è parte integrante della sua scelta educativa. Fede e istruzione finiscono così per coincidere. Don Milani riprende spesso questa relazione. In Esperienze pastorali afferma: “Le corde che più vibrano nel cuore del prete non fanno vibrare nulla  nel cuore del sottoanalfabeta“. E ancora, sempre in questo straordinario libro (secondo me molto più importante di  Lettera a una professoressa): “Se nel mondo calmo e silenzioso di ieri l’analfabeta si poteva fare santo, scaraventato nel frastuono di ogg, si gioca sicuramente la fede“.

La scuola nella concezione di don Milani è lo spazio nel quale i ragazzi costruiscono conoscenze, attribuiscono significati, assumono responsabilità, si fanno carico l’uno dei problemi dell’altro. Ma è soprattutto il luogo  del riscatto sociale e dell’acquisizione di una coscienza critica senza la quale  non si può essere  né cittadini né cristiani. Senza un’elevata istruzione i giovani restano prigionieri in un limbo di analfabetismo che li condanna all’ignoranza e ad un cristianesimo di facciata. Non si può, secondo lui, costruire la fede del cristiano sulla inferiorità intellettuale e culturale dei ragazzi.

Perciò – afferma don Milani in Esperienze Pastorali – la scuola mi è sacra come l’ottavo sacramento. Da lei mi attendo la chiave non della conversione, perché questo è segreto di Dio, ma certo l’evangelizzazione di questo popolo  … La povertà dei poveri non si misura a pane, casa e caldo. Si misura  sul grado di cultura e sulla funzione sociale. La distinzione in classi sociali non si può fare sull’imponibile catastale, ma sui valori culturali”.

È del tutto inutile sottolineare la lungimiranza di queste parole; è come se esse fossero state scritte soltanto qualche giorno fa, tanto sono attuali.

Solo la lingua ci fa uguali

La centralità della scuola va di pari passo con la valorizzazione della cultura dei poveri. Don Milani rigetta quell’humus borghese che aveva respirato a pieni polmoni nella sua famiglia. Sente questa cultura sempre più estranea alla missione educativa che intende realizzare. Così Barbiana, una chiesa, una canonica e un grappolo di case, da luogo di punizione, si trasforma in una finestra sul mondo con cui tutti dovranno fare i conti. La cultura di provenienza viene vissuta in misura crescente come una condizione di incoerenza  per la soluzione dei problemi reali dei suoi  parrocchiani.

La missione che egli si è imposto era quella di riconsegnare ai poveri la coscienza della loro dignità e della loro cultura.  L’unico mezzo disponibile affinché questo potesse accadere era la creazione di una scuola. Non una scuola qualsiasi, come quella statale che riproduce le disuguaglianze d’origine, ma una scuola dove ad ognuno sia garantita  la conquista della parola. “Non la parola qualsiasi di conversazione banale, quella che non impegna nulla in chi la dice  e non serve a nulla  per chi l’ascolta. Non la parola come riempitivo di tempo, ma la parola scuola, la parola che arricchisce” (Esperienze Pastorali). Il libro dei ragazzi di Barbiana Lettera a una professoressa è  il frutto di questo straordinario progetto educativo.

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NdR: L’autore con una serie di interventi su Scuola7.it contribuirà a ricostruire l’esperienza e il pensiero pedagogico di Don Milani, nel 50° anniversario della sua scomparsa.