Quale cultura umanistica per il XXI secolo?

Una svolta culturale?

Lo schema di decreto legislativo (Atto n. 382 del 16-1-2017) dà attuazione alla norma di delega contenuta nell’articolo 1, comma 181, lettera g) della Legge 107/2015, che conferisce al Governo il potere di intervenire per la “promozione e diffusione della cultura umanistica”, la “valorizzazione del patrimonio e della produzione culturali, musicali, teatrali, coreutici e cinematografici”, nonché per il “sostegno della creatività connessa alla sfera estetica”.

La finalità generale della disposizione, a leggere in modo incrociato il decreto e le premesse alle relazioni allegate, appare quella di assicurare agli alunni, fin dalla scuola dell’infanzia, la conoscenza del patrimonio culturale italiano ed una formazione artistica che comprenda la musica, le arti dello spettacolo e quelle visive, “sia nelle forme tradizionali che in quelle innovative”, allo scopo di svilupparne la sensibilità e di consentire “un armonioso sviluppo delle rispettive personalità”, oltre che di potenziare i talenti, individuando e sviluppando precocemente attitudini ed eccellenze.

Da tale punto di vista, l’intervento sembra essere teso da un lato a riequilibrare la curvatura scientifico-tecnologica di buona parte degli attuali curricoli, soprattutto della secondaria di 2° grado, e a recuperare lo spazio sottratto nel tempo agli insegnamenti di tipo umanistico, in specie alla Storia dell’arte ma anche alla Musica (scomparsa dal Liceo delle Scienze Umane, mentre nel vecchio Istituto magistrale aveva un posto di tutto rilievo), dall’altro a conferire più ampio respiro e regolamentazione alle molteplici esperienze in ambito musicale, teatrale, performativo, pittorico, manipolativo realizzate con successo, e per lo più in progetti extracurricolari, dalle Istituzioni scolastiche.

Cultura umanistica o saperi artistici?

Insomma, dopo anni di insistenza sulle tre “I”, Informatica, Inglese e Impresa, dopo che si è a lungo incoraggiato un taglio settoriale, per lo più misurato sul criterio della ricaduta nel mercato del lavoro e della potenziale incidenza sulla crescita economica, sembra riprendere forza un’idea di formazione più completa ed equilibrata, in cui trovano nuovamente il loro posto l’arte, la bellezza, il gusto estetico, le “attività dello spirito”, quelle che danno all’uomo la possibilità di conferire senso alla propria esistenza, di cogliere il proprio posto nel mondo, di rispondere ai propri interrogativi vitali ed esistenziali. Un intento meritorio: peccato che nel Regolamento venga messo in ombra lo specifico della cultura umanistica, la cui promozione dovrebbe costituire l’oggetto principale dell’intervento, vale a dire l’esercizio della critica, la ricerca della verità, la riflessione speculativa, il colloquio con i classici e con i loro testi, letterari o artistico-architettonici che siano. Il perimetro di tale cultura viene circoscritto al “sapere artistico”, in cui peraltro vengono inseriti non solo il cinema, la danza, la musica, ma anche l’artigianato di qualità.

In vari passaggi comunque si mantiene l’aggancio all’art. 9 della Costituzione, che tra l’altro costituisce il focus di un fortunato progetto-concorso promosso dal MIUR, dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche e dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, giunto quest’anno alla quinta edizione. Ad esempio è significativo che all’art. 1 dello schema di decreto si sottolinei la particolare importanza della tutela e della valorizzazione del patrimonio culturale, come è rilevante il fatto che si preveda di incentivare la collaborazione tra scuole e loro reti da un lato e musei, istituti e luoghi della cultura dall’altro, per la cui fruizione da parte degli studenti saranno studiate forme di agevolazione.

Lascia perciò piuttosto perplessi il fatto che la promozione di percorsi relativi alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione non compaia tra le macroaree di attività, elencate all’art. 3: qui si enucleano infatti, introducendo una nuova definizione normativa, quattro “temi della creatività”, definiti “componenti del curricolo, anche verticale”, che interessano gli ambiti musicale-coreutico, teatrale-performativo, artistico-visivo e linguistico-creativo, mentre all’art. 2 si parla, più ampiamente (e forse allargando fin troppo i confini del campo di esperienze possibili), di attività “di studio, approfondimento, produzione, fruizione e scambio in ambito artistico, musicale, teatrale, cinematografico, coreutico, architettonico, paesaggistico, linguistico, storico, storico-artistico, demoetno-antropologico, artigianale”.

Un Piano per le Arti

Le specifiche misure organizzative sono demandate al “Piano delle Arti” (art. 5), da adottarsi a cadenza triennale con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, che dovrebbe prevedere anche l’incentivazione di tirocini e stage artistici all’estero, nonché la promozione internazionale di giovani talenti attraverso gemellaggi tra istituzioni formative artistiche italiane e straniere.

La progettazione di attività è affidata alle Istituzioni scolastiche, all’interno però di un sistema coordinato di cui gli altri attori sono, ovviamente oltre al MIUR, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, l’INDIRE, le Istituzioni AFAM, gli Istituti tecnici superiori e gli Istituti di cultura italiana all’estero, nonché soggetti pubblici e privati specificamente accreditati dai due Ministeri (art. 4); ciò sulla base del presupposto che la promozione della conoscenza e della pratica delle arti quale “requisito fondamentale del curricolo di ciascun grado di istruzione” richiede  necessariamente il raccordo interistituzionale.

Alla logica di una reale governance sembra rispondere anche la previsione, all’art. 11, di “Poli ad orientamento artistico e performativo”, cioè di scuole del primo ciclo del medesimo ambito territoriale che abbiano realizzato buone pratiche, adottando curricoli verticali in almeno tre temi della creatività, e che fungeranno da capofila di rete per realizzare la progettualità relativa al settore musicale ed artistico.

La strada stretta della nuova offerta formativa

Le scuole sono chiamate a progettare, ovviamente anche in rete, e ad inserire nel Piano triennale dell’offerta formativa, iniziative e percorsi relativi ai “temi della creatività”, cioè alla musica, al canto ed alla danza (area musicale-coreutica), al teatro ed al cinema (area teatrale-performativa), alla pittura, alla scultura, alla grafica, alle arti decorative, al design e ad altre forme artistiche “anche connesse con l’artigianato artistico e con le produzioni di qualità del Made in Italy” (area artistico-visiva), alla scrittura creativa, alla poesia, alla lingua italiana, ai linguaggi ed ai dialetti (area linguistico-creativa).

Considerato che non si prevede alcuna variazione degli assetti ordinamentali vigenti, né implementazione delle risorse finanziarie, strumentali ed umane (art. 1, c. 3), le strade percorribili sono limitate: o inserire i percorsi nel curricolo obbligatorio, utilizzando la quota di autonomia, articolando in modo flessibile gli orari, prevedendo attività per gruppi e a classi aperte, anche in verticale (ed è la strada più difficile ma più sfidante ed auspicabile), oppure proseguire sui sentieri già battuti dei progetti extracurricolari, o ancora prevedere un ventaglio di attività opzionali, tra cui i ragazzi saranno chiamati a scegliere. In ogni caso va tenuto presente che i processi organizzativi, le pratiche adottate e gli obiettivi raggiunti per l’attuazione dei temi della creatività costituiranno un ulteriore ambito del procedimento di valutazione delle Istituzioni scolastiche previsto dal D.P.R. 80/2013, tanto che nello schema di decreto si afferma esplicitamente che tramite l’Invalsi si studieranno in merito specifici indicatori (art. 5, c. 2).

La filiera artistico-musicale

Ampio spazio nel decreto è riservato ai percorsi formativi della “filiera artistico-musicale”. Interventi specifici sono previsti infatti all’art. 12 per le scuole secondarie di primo grado ad indirizzo musicale, che si vuole riequilibrare a livello territoriale e potenziare, definendo indicazioni nazionali per l’inserimento dell’insegnamento dello strumento, la tipologia degli strumenti insegnati (almeno 4 per ogni corso, anche in coerenza con quelli previsti nei curricoli dei licei musicali), le prove d’esame, la correlazione delle competenze in uscita degli allievi con quelle richieste per iscriversi ai licei musicali e coreutici. A questi ultimi viene consentito di rimodulare il monte orario complessivo del secondo biennio e dell’ultimo anno, “al fine di offrire agli studenti la possibilità di scelta tra diversi insegnamenti, prevedendo specifici adattamenti del piano di studi” (art. 14); in ogni caso, i loro curricoli dovranno essere armonizzati ai requisiti di accesso ai corsi accademici di primo livello che saranno definiti con apposito decreto MIUR. Come nella sezione dedicata alla promozione della pratica artistica e musicale nel primo ciclo (artt. 9 e 10) si insiste dunque, in maniera convincente, sull’esigenza di assicurare continuità ai percorsi.

I punti critici: risorse e tempi

Un primo punto di criticità è rappresentato dalla sostanziale esiguità delle risorse previste. Si precisa solo che per l’attuazione del “Piano delle arti” è istituito un apposito fondo, con una dotazione di 2 milioni di euro annui, parte dei quali sarà destinata alle Istituzioni scolastiche del 1° ciclo costituite in  “Poli ad orientamento artistico e performativo” ed alle scuole di 2° grado che abbiano nell’organico dell’autonomia posti per il potenziamento coperti da docenti impegnati nei temi della creatività (art. 13, c. 2).

In secondo luogo, l’attuazione concreta dei vari punti del dispositivo richiede ulteriori provvedimenti. Il più urgente riguarda il “Piano delle arti”, che deve essere adottato con DPCM, su proposta del Ministro dell’istruzione, università e ricerca, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo; decreti ministeriali sono necessari per avviare i Poli a orientamento artistico e performativo, per regolare le modalità di funzionamento delle scuole secondarie di 1° grado ad indirizzo musicale, per armonizzare i percorsi formativi della filiera artistico-musicale;  ancora, soggetti pubblici e privati potranno collaborare al sistema coordinato di progettazione (compresa la formazione dei docenti) solo dopo la stipula di un protocollo di intesa.

Una creative economy?

I nodi più consistenti vanno comunque cercati in profondità.  Anzitutto si esordisce affermando che il sapere artistico è garantito agli alunni “come espressione della cultura umanistica, finalizzata a riconoscere la centralità dell’uomo, affermandone la dignità, le esigenze, i diritti e i valori” (art. 1, c. 1), ma nel seguito questo assunto viene abbandonato. Invece si insiste sull’importanza dello “sviluppo della creatività”, cui viene riconosciuta una funzione di mediazione per assicurare ai giovani l’acquisizione delle competenze negli ambiti individuati (art. 1, c. 2).

Ora, è vero che la creatività costituisce un argomento “caldo” degli orientamenti dell’Unione europea: basta pensare al documento del Consiglio di Bruxelles del 2009 su “Istruzione, gioventù e cultura”, in cui si afferma l’esigenza di puntare ad un’interazione più stretta dei “tre poli del triangolo della conoscenza perfettamente funzionante”, cioè istruzione, ricerca, innovazione, in particolare reimmettendo nell’istruzione gli obiettivi e i risultati della ricerca e dell’innovazione, in modo che l’insegnamento e l’apprendimento siano sostenuti da una solida base di ricerca e possano svilupparsi in un ambiente che incorpori maggiormente il pensiero creativo e gli approcci innovativi. In quel documento, però, non si manca di rimarcare opportunamente non solo il valore essenziale della ricerca (cui solo en passant si fa cenno nel decreto in esame), ma anche il ruolo svolto nell’innovazione dalle scienze sociali e dagli studi umanistici.

L’impressione è che, partendo dalla promozione della cultura umanistica, si sostenga in fondo il nuovo paradigma della Creative economy, che considera la creatività, insieme con la conoscenza e l’accesso alle informazioni, come potente motore trainante della crescita economica nel mondo globalizzato. Nulla di male, sia chiaro, in questo approccio: non intendiamo tessere l’elogio del sapere disinteressato, o assumere posizioni “passatiste”; ci limitiamo sommessamente a rilevare che sarebbe stata necessaria maggiore chiarezza, e soprattutto maggiore coerenza tra i principi enunciati, ridotti a mera cornice di sfondo, e la successiva esplicitazione di indicazioni concrete.

Dal patrimonio culturale al made in Italy: un arco (troppo) ardito?

Non si può, infine, non osservare che nel decreto la conoscenza del patrimonio culturale viene posta sostanzialmente sullo stesso piano di quella delle produzioni di qualità del “made in Italy”; arte e artigianato, Raffaello e griffe della moda, Brunelleschi e interior design sembrerebbero forme in una certa misura equipollenti del “sapere artistico” da garantire agli studenti. Ancora, scorrendo l’elenco delle aree in cui le scuole sono chiamate a cimentarsi dimostrando capacità progettuali (art. 2, c.1), ci si chiede perché siano collocate nell’alveo del “sapere artistico” di cui all’incipit le attività in ambito storico e demoetno-antropologico, che peraltro non rientrano nei quattro “temi della creatività” proposti.

Insomma, una serie di scollamenti, cambiamenti di rotta, opacità, che si auspica possano essere superati e composti. In ogni modo, da un decreto così significativo nelle intenzioni ci si poteva attendere qualcosa di più: magari un intervento volto a superare finalmente il dannoso dualismo tra le cosiddette due culture, umanistica e scientifica, che rimarcasse da un lato l’opportunità di un approccio storico-ermeneutico ai contenuti scientifici – mirante sia ad illuminare le tradizioni di ricerca, i problemi, i limiti da cui nascono le ipotesi, sia a scoprire il senso propriamente umano dell’impresa conoscitiva -, dall’altro la necessità di avvicinare i giovani alla comprensione critica e, perché no, alla pratica delle varie forme di arte, anche attraverso la conoscenza delle basi tecnico-scientifiche delle civiltà del passato, che ci hanno lasciato opere sublimi ma purtroppo esposte al degrado, soprattutto quello che nasce dall’ignoranza, dal disinteresse o da prospettive puramente economicistiche.