Certificazione delle competenze per il primo ciclo

Rilevazione sulla terza annualità

Tre anni di sperimentazione “partecipata”

I modelli di certificazione delle competenze sono stati riproposti alle scuole del primo ciclo, con alcune semplificazioni, attraverso una nota del febbraio scorso (Prot. n. 2000 del 23.2.2017). Le modifiche apportate sono scaturite dagli esiti dei monitoraggi condotti nei primi due anni di sperimentazione.

È pur vero che i tempi di avvio e riavvio delle sperimentazioni non sempre sono stati in sintonia con i tempi ed i ritmi delle attività didattiche ed istituzionali, ma la risposta delle scuole è stata fin da subito consistente e partecipata. Ciò grazie anche ad un comitato scientifico nazionale (CSN), che ha accompagnato l’adozione del modello sperimentale fin dal primo anno 2014-2015.  Ora sono circa 3000 le istituzioni scolastiche che si sono messe alla prova, riflettendo soprattutto sugli strumenti di miglioramento della didattica e dell’apprendimento. È a queste scuole che si rivolge la nuova “rilevazione” del Miur (Prot. 6945 del 16 giugno 2017).

Una rilevazione prima del modello definitivo

Sappiamo che il recente D.lgs. n. 62/2017[1] (comma 3, articolo 9) prevede l’adozione definitiva di modelli nazionali, con un apposito decreto. La certificazione dovrà essere rilasciata sia al termine della scuola primaria sia al termine del primo ciclo di istruzione (comma 2, dell’articolo 9). L’obiettivo, quindi, della rilevazione è anche quello di fornire al legislatore utili indicazioni per la stesura di un buon decreto che tenga conto degli aspetti (messi alla prova dalle scuole) che hanno retto sul piano pedagogico e su quello comunicativo, per leggibilità e fruibilità.

Va tuttavia rilevato che già nel D.lgs 62/2017 sono ben indicati i criteri da seguire. Sembrano assai chiari e molto più articolati rispetto a quelli abbozzati nel Regolamento dell’autonomia del 1999[2] e soprattutto rispetto ai criteri indicati per il secondo ciclo d’istruzione. Questi ultimi risentono invece della mancanza di una riflessione comune ed allargata nella comunità professionale. Per il primo ciclo d’istruzione nel decreto 62/2017 si specificano i seguenti aspetti:

  1. il riferimento al profilo dello studente nelle Indicazioni nazionali per il curricolo;
  2. l’ancoraggio alle competenze chiave individuate dall’Unione europea, così come recepite nell’ordinamento italiano;
  3. la definizione, mediante enunciati descrittivi, dei diversi livelli di acquisizione delle competenze;
  4. valorizzazione delle eventuali competenze significative, sviluppate anche in situazioni di apprendimento non formale e informale;
  5. la coerenza con il piano educativo individualizzato per le alunne e gli alunni con disabilità;
  6. l’indicazione, in forma descrittiva, del livello raggiunto nelle prove a carattere nazionale (…) e delle abilità di comprensione e uso della lingua inglese.

Sono criteri che non si discostano dalle indicazioni già scaturite dagli esiti del precedente monitoraggio e sono pressoché identici a quelli riportati nella traccia per la relazione conclusiva dello staff regionale (allegato 3)[3] su cui i redattori sono chiamati ad elaborare sintetiche osservazioni. La nuova rilevazione sarà, comunque, una ulteriore garanzia se su tali criteri ci confermeranno le sintonie con le scuole.

Rispondere ad un questionario

Le scuole, che hanno partecipato all’adozione sperimentale dei modelli di certificazione delle competenze nel primo ciclo, sono invitate a redigere un questionario on line entro il 10 luglio. Il fine è quello di raccogliere le osservazioni relative al terzo anno di sperimentazione (allegato 1). Gli item del questionario riguardano, oltre i dati delle scuole[4], notizie su come è stata adottata la sperimentazione; sull’apprezzamento dei diversi aspetti del modello; sull’incidenza del ri-orientamento della didattica; sul livello di comunicazione e di fruibilità. Alla fine del percorso (item 23) si chiede anche di esplicitare chi ha elaborato le risposte, se il dirigente scolastico da solo, se lo staff di direzione, oppure il docente referente o funzione strumentale, se lo ha fatto il gruppo di progetto o il comitato tecnico-scientifico, o lo stesso collegio dei docenti… È una informazione che, oltre a dare conto di come le scuole si organizzano nel periodo estivo, permetterà forse di capire, seppure in via inferenziale, il livello di condivisione delle risposte date. Resta comunque Il rischio che il questionario venga vissuto come un ulteriore adempimento formale e non come un invito ad una più approfondita riflessione nella comunità professionale.

Realizzare focus territoriali

C’è, però, una seconda proposta (allegato 2) che potrebbe invece essere più funzionale: quella di realizzare in ogni territorio regionale alcuni focus per un confronto tra le scuole sperimentali. Si suggeriscono per questo alcune domande stimolo e si forniscono indicazioni metodologiche. Gli esiti, che dovranno essere sintetizzati entro il 15 luglio 2017 (allegato 3), sotto forma di osservazioni, problemi e soluzioni adottate, possono costituire un ulteriore supporto per i decisori politici.

I focus rappresentano sicuramente una delle modalità vincenti per una rilevazione di tipo qualitativo dei trend territoriali. Un focus è una occasione preziosa per poter rileggere l’esperienza in maniera meno autoreferenziale, attraverso il confronto e grazie agli stimoli dei conduttori. I tempi indicati (a chiusura delle attività scolastiche) rischiano però di mettere in crisi una operazione di qualità: i docenti vivono notoriamente la stanchezza di fine anno; il personale amministrativo, tecnico e direttivo è concentrato sui tanti adempimenti che in questa fase vanno portati a sintesi. Rispondere ad un questionario e realizzare un focus sono di fatto operazioni leggere sul piano quantitativo ma, perché gli esiti siano efficaci, richiedono attenzione e comportamenti metodologicamente corretti.

Resta il fatto che la tempistica di tale rilevazione conferma ancora una volta che il lavoro delle istituzioni scolastiche riguarda l’intero anno solare, ivi compresa l’estate, e smentisce l’immaginario collettivo che lo percepisce solo in rapporto alle attività didattiche.

Raccordo con la certificazione dell’obbligo e con il secondo ciclo

Sarà interessante capire quali rapporti ci saranno tra il futuro modello certificativo per il primo ciclo, quello per il quinquennio, anch’esso previsto dal D.lgs 62/2017 (art. 21), e il modello per l’obbligo d’istruzione (DM 9/2010). Quest’ultimo è operativo già da diversi anni, ed è l’unico di fatto esistente[5]. Nel D.lgs 62/2017, a parte un richiamo in premessa, non è rinvenibile alcun riferimento che faccia presagire sviluppi, modifiche o future sinergie.

Per il secondo ciclo ricordiamo che il format relativo all’esame di Stato è tuttora regolato dal DM del 3 marzo 2009, n. 26. Esso prevede l’elencazione di alcune informazioni importanti come: discipline del curricolo, crediti, durata dei corsi, durata oraria complessiva…, ma non l’esplicitazione delle competenze acquisite dagli allievi. Nel comma 3 dell’art. 21 ci sono nuove indicazioni per il modello di diploma finale e di curriculum (che dovrà essere allegato al diploma). Nel comma 2 si individuano alcuni “oggetti” specifici che dovranno essere riportati nel curriculum:

  • le discipline ricomprese nel piano degli studi, con l’indicazione del monte ore;
  • le attività svolte in ambito scolastico ed extrascolastico (con particolare riferimento all’alternanza) con le relative competenze;
  • livelli di apprendimento (in forma descrittiva) conseguiti nelle prove Invalsi.

Si evince subito che, mentre il decreto attuativo della certificazione delle competenze per il primo ciclo (art. 9, comma 3) ha come fondamento tutto il processo di approfondimento delle scuole avviato con la circolare 13 febbraio 2015, n. 3, ciò manca del tutto per la scuola secondaria di secondo grado. L’iter di questo secondo decreto sarà assai più complesso, anche perché le scuole del secondo ciclo sono meno omogenee di quelle del primo, e sono ancorate su storie culturali e professionali assai distanti (si pensi, per esempio, alla profonda diversità tra i professionali e i licei classici).

Un percorso non facile

Tuttavia il percorso che intravediamo non sarà facile neanche per il primo ciclo. Innanzitutto perché resta sempre insoluto il problema della comprensibilità e “compatibilità” sociale tra il documento di valutazione e quello di certificazione. Il primo riguarda le discipline, con espressione in voti in decimi, e il comportamento; il secondo riguarda il profilo e le competenze chiave, ed utilizza enunciati descrittivi. Ci sono difficoltà oggettive, malgrado l’impegno sperimentale delle scuole, a rendere a tutti accessibili i “comportamenti” (cognitivi, sociali, affettivi…) che sottendono la descrizione di un traguardo di competenza. La condivisione del linguaggio richiede un processo culturale e sociale molto lungo. A ciò si aggiunge anche il nuovo impegno di inserire nel documento, sempre in maniera descrittiva, i livelli raggiunti nelle prove Invalsi. Un’operazione che deve essere ancora avviata.

Un’altra questione, su cui forse fino ad oggi non si è lavorato in maniera proficua, è quella della valorizzazione degli apprendimenti non formali ed informali. Quasi tutte le scuole sono in grado di costruire progetti di integrazione con il territorio e di favorire gli studenti nei loro percorsi personalizzati. Ma sono poche le istituzioni che riescono a riconoscere le competenze, a valorizzarle, a considerarle parte integrante del curricolo.

Non va neanche sottovalutata la difficoltà a dare senso all’indicatore “aperto”, al fine di consentire una conoscenza “personalizzata” dell’allievo. Se non ci saranno approfondimenti, ricerche e studi mirati su questo settore, si rischia di ridurlo ad una formula generica priva di utilità.

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[1] Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera i), della legge 13 luglio 2015, n. 107. (GU n.112 del 16-5-2017 – Suppl. Ordinario n. 23).

[2] Il primo l’impegno dello Stato a produrre dei modelli di certificazione delle competenze attraverso decreto risale al DPR 275/1999, articolo 10, comma 3: “… saranno “adottati i nuovi modelli per le certificazioni”. Tali modelli dovranno indicare: “le conoscenze, le competenze, le capacità acquisite e i crediti formativi riconoscibili”.

[3] Si parla anche qui di: a) ancoraggio del modello di certificazione alle competenze chiave europee e al profilo degli allievi (connessioni, rapporti, coerenza ecc.); b) descrizione e codificazione dei 4 livelli di acquisizione delle competenze; c) modalità di adattamento dei modelli in relazione agli allievi disabili o con disturbi specifici di apprendimento o per altre situazioni particolari; d) uso dell’indicatore “aperto” per consentire una conoscenza “personalizzata” dell’allievo; e) leggibilità del modello, da parte di genitori, insegnanti, allievi.

[4] Ci si domanda sempre perché non sia ancora possibile un accesso automatico ai dati esistenti, e perché ogni volta bisogna ri-digitare le informazioni già acquisite a sistema.

[5] Non consideriamo infatti né i diversi formati per l’istruzione professionale, le cui competenze sono certificate secondo indicatori a carattere regionale, e neanche il modello, abbastanza recente, per l’educazione degli adulti (CM 48/2014).