Maturità: cercando un altro esame (di Stato)

Un impianto, per ora, confermato

Come diceva un collega ispettore alla riunione dei presidenti delle commissioni dell’esame di Stato delle scuole superiori, la novità dell’esame di quest’anno è che non ci sono novità. E così ci troviamo come tra color che son sospesi, tra un già (una macchina non priva di criticità, ma che quest’anno ripropone lo schema collaudato e rassicurante di procedure note) e un non-ancora (il nuovo esame disegnato dal D.lgs 62/2017 agli articoli 12-21). Anche qualche ansia da eccesso di zelo di alcune scuole (“ma quest’anno per gli scrutini delle classi terze bisogna già usare le nuove tabelle dei crediti?”) è stata tranquillizzata dal Ministero.

Interni vs esterni: tra crediti e prove d’esame

L’impianto del nuovo esame come disegnato dal decreto 62/2017, delegato dalla legge 107/2015, ricalca quello attuale nella struttura della commissione: due classi condividono un presidente e tre commissari esterni, a cui si aggiungono i tre interni. Il dibattito tra commissione interna ed esterna accende periodicamente gli animi, come la formazione della Nazionale di calcio. Molti sostengono che la commissione mista spezza l’autoreferenzialità dei docenti della classe e consente di verificare l’operato delle scuole. Questa è stata la scelta di continuità del legislatore. Altri osservano che, per un esame che viene superato dal 99,5% degli studenti ammessi e il cui esito è prevedibile all’85% dai 25 punti di credito assegnati dal Consiglio di Classe, una commissione interna con presidente di garanzia esterno sarebbe più che sufficiente. Tra l’altro, l’innalzamento del credito scolastico a 40 punti, previsto dal decreto 62/2017 in conseguenza dell’abolizione della terza prova, rinforzerà tra due anni questa tendenza alla conferma del percorso scolastico. In effetti, quando la commissione interna fu prevista fino al 2007 dalla ministra Moratti, nessuno osservò andamenti più lassisti rispetto alle percentuali attuali, difficilmente superabili. E con una parte dei 150 milioni di euro all’anno che si spendono ora, si potrebbe aumentare il controllo esterno anche sulle scuole paritarie rinforzando il corpo ispettivo, o immaginare forme differenti di verifica esterna come il blind review di parte delle prove (come accade in altri paesi dell’Est e del Nord, dove equipe indipendenti correggono le prove e ne restituiscono i risultati alle commissioni interne). Il dibattito continuerà…

La terza prova: una promessa non mantenuta

La grande novità è però l’abolizione della terza prova, che è stato un laboratorio di autonomia fallito. E quando il legislatore ne ha preso atto e l’ha eliminata, in pochi hanno sofferto. Ma non era nata così, e non era scritto che dovesse andare così. La normativa prevedeva infatti che[1] “la terza prova è espressione dell’autonomia didattico-metodologica ed organizzativa delle istituzioni scolastiche ed è strettamente correlata al piano dell’offerta formativa utilizzato da ciascuna di esse. Essa è a carattere pluridisciplinare”. Quali sono i fattori che hanno fatto sì che essa si trasformasse quasi ovunque in una mortificante giustapposizione di quesiti mono-disciplinari lottizzati tra quattro discipline (quelle non coinvolte in prima e seconda prova)? Per quale motivo le scuole si sono limitate alle sole tipologie “a”, “b” e “c”, trascurando le promettenti tipologie “d” “e” ed “f” che consentivano la giusta multidisciplinarità progettuale tra le discipline di indirizzo presidiate dall’autonomia delle scuole? Forse una certa “pigrizia monodisciplinare” del nostro insegnamento, forse il timore di giocare le libertà e le novità che pure la legge ci mette a disposizione, forse la mancanza di accompagnamenti ministeriali (le riforme lasciate a se stesse si spengono). Credo che una riflessione su questo sia necessaria, per evitare che gli strumenti di autonomia nelle mani delle scuole restino inattuati.

Prove Invalsi e certificazione

Altro piatto forte è l’ingresso nell’esame della prova standardizzata (Invalsi). Chi avrebbe preferito il suo inserimento nel punteggio d’esame può comunque apprezzare che essa sia condizione di ammissione all’esame, e che nel curriculum associato al diploma ne siano indicati gli esiti in forma descrittiva, insieme alla certificazione sulle abilità di comprensione e uso della lingua inglese. Anche l’ingresso della prova di inglese, coerente con il Quadro Comune Europeo di Riferimento, è una novità (attesa).

I cambiamenti preannunciati per i prossimi anni

Sono molti gli altri cambiamenti, meno eclatanti ma che chiederanno la nostra attenta riflessione. La prima prova potrà essere strutturata in più parti, anche per consentire la verifica di competenze diverse: si potrà superare la “forma-tema”, abbandonata ora anche nei concorsi a cattedra? La seconda prova potrà vertere su più discipline che caratterizzano il corso di studi, creando quella “multidisciplinarità possibile” che la terza prova non è riuscita ad attivare; una parte della prova (solo per i professionali?) verrà predisposta dalla commissione. Verranno pubblicati quadri di riferimento per la redazione delle prove, come ormai prassi nelle prove standardizzate italiane ed internazionali, e griglie di valutazione comuni. Il colloquio si svolgerà non su “domande” (ora spesso “interrogazioni” accostate tra loro) ma su testi, documenti, esperienze, progetti, problemi posti dalla commissione, e su una relazione del candidato (basata non su improbabili “tesine” ma sull’esperienza di alternanza scuola-lavoro). C’è il superamento della necessità della sufficienza in tutte le discipline, che consentirà maggiore trasparenza rispetto alle effettive carenze dei candidati. I criteri di gestione degli studenti con disabilità e DSA sono integrati nella nuova normativa. Appaiono ammorbiditi i criteri di attribuzione delle lodi. Qualche maggiore attenzione sui candidati esterni ridurrà lo spazio mortificante anche se minoritario dei “diplomifici”, valorizzando le tante paritarie che operano al meglio.

Insomma altri cantieri attendono la nostra progettazione, e forniscono uno sfondo di riferimento anche per le ultime due tornate del “vecchio” esame.

Esami oggi: non banalizzare, non drammatizzare

Quale consiglio si può dare quindi a chi anche quest’anno vive l’impegnativo lavoro delle commissioni? Non banalizzare: pur non essendo più la prova di ingresso nella vita adulta che era quarant’anni fa, in una scuola più elitaria e che deteneva ancora un sostanziale monopolio tra le agenzie formative dell’adolescenza, resta tuttavia una prova puntuale alla fine di un percorso formativo importante, in cui emergono tratti della personalità degli studenti che possono riservare sorprese anche positive. Ma anche non drammatizzare. L’attenzione troppo spinta a procedure e dettagli burocratici non ci faccia dimenticare che qui si attiva una delle dimensioni nobili della funzione docente, quella della valutazione, che richiede di concentrarci sugli studenti e non sulle cose che tanto ci occupano, come le dinamiche interne alle commissioni, i programmi svolti dai colleghi, i verbali, le medie, il bilancino dei punteggi. Ciascuno cresce solo se sognato, scrive Dolci: in questo rito di passaggio alle scelte della vita adulta, sognare cosa potranno diventare queste giovani donne e uomini è uno dei compiti che il nostro mestiere ancora ci assegna.

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[1] Legge 425/1997 come modificata dalla legge 1/2007.