La 517/1977, una legge politicamente scorretta ha cambiato la storia

Quaranta anni fa…

La legge 517 dell’agosto 1977 è stata l’architrave della scuola italiana della seconda metà del Novecento, ed ha gettato le basi di un modello educativo italiano unico al mondo.  Preceduta da un’altra importantissima norma, la legge 118 del 1971, essa ha segnato uno spartiacque nella cultura pedagogica, giuridica, medica, modificando in profondità i costumi della vita familiare e sociale dell’Italia nel difficile passaggio dalla cultura della “specialità” a quella della valorizzazione delle differenze.

Nonostante fosse rivolta alla scuola dell’obbligo (elementare e media), nell’arco di un decennio ha finito per cambiare radicalmente l’intero sistema d’istruzione del nostro Paese.

Il principio contenuto nell’art. 34 della Costituzione (la scuola è aperta a tutti) è stato in questo provvedimento recepito integralmente: in Italia, tutti i bambini hanno diritto di frequentare le classi normali della scuola pubblica, indipendentemente dalle condizioni personali e sociali in cui versano. La “517”, in particolare, è conosciuta soprattutto per aver avviato lo smantellamento delle classi differenziali e speciali, aprendo le nostre aule ad un’umanità, cosiddetta anormale, che nel corso della storia aveva conosciuto le più aberranti umiliazioni.

Per una volta tanto, è stata la scuola a cambiare la società!

L’accoglienza della diversità

Si trattò di una scelta autenticamente rivoluzionaria, molto coraggiosa e decisamente controcorrente rispetto non solo alla situazione italiana, ma anche alla cultura pedagogica mondiale, che di fatto sosteneva (e sostiene) le scuole speciali per i bambini con handicap e quelle normali per tutti gli altri.

La 517 rompe questo calco, investendo gli insegnanti di nuove responsabilità, valorizzando la loro propensione all’innovazione, alla ricerca didattica, ma soprattutto al riconoscimento della diversità, stabilendo una netta demarcazione tra un prima e un dopo. Infatti già nel corso nell’a.s. 1977/78 molti bambini “portatori di handicap” hanno potuto cominciare un’inedita avventura educativa insieme a compagni della loro età. Per la prima volta “normali” e “handicappati” cominciavano un cammino comune che tuttora continua!

La fatica di cominciare

Polemiche, contrasti, resistenze (quasi fisiche) si sono manifestati all’inizio in tutti i settori della società. In qualche caso i genitori nelle scuole di città (meno in campagna) sbarravano l’accesso davanti ai portoni, pur di non permettere che i loro “cuccioli” si mischiassero con bambini affetti da ritardo mentale, sindrome di down, menomazioni fisiche, deficit sensoriali e disturbi di varia natura.

Gli stessi insegnanti faticavano non poco a capire le ragioni per le quali avrebbero dovuto occuparsi di questa “umanità” sconosciuta e ingombrante, da sempre sepolta nelle mura domestiche o in luoghi contigui ad aree manicomiali.

I rapporti, poi, tra i docenti e gli specialisti delle nascenti ASL erano spesso conflittuali, caratterizzati da incomprensioni e reciproche diffidenze.

Il dado però era stato tratto; lentamente la situazione cominciò a migliorare, grazie al sostegno anche di grandi maestri quali Mario Lodi, Bruno Ciari, Sergio Neri, Andrea Canevaro… e scrittori come Gianni Rodari.

Esperienze esemplari

In particolare due figure segnano in quegli anni questo cambio radicale; si tratta dei fratelli Milani: don Lorenzo, priore di Barbiana, e il fratello Adriano, psichiatra.

Il primo apre una scuola che si occupa degli “ultimi”, dei ragazzi rifiutati dal sistema pubblico, e trasforma completamente impostazioni pedagogiche e modelli educativi. Riferendosi agli alunni in difficoltà, nel libro Lettera a una professoressa, afferma: “L’abbiamo visto anche noi che con loro la scuola diventa più difficile. Qualche volta viene la tentazione di levarseli di torno. Ma se si perde loro, la scuola non è più scuola. È un ospedale che cura i sani e respinge i malati“.

Il fratello, Adriano Comparetti Milani, contribuisce a creare nel nostro Paese la neuropsichiatria infantile; in più occasioni sottolinea che “il bambino handicappato è essenzialmente una persona, e il nostro obiettivo nei suoi confronti non è quello di effettuare un trattamento, ma è soltanto quello dell’educazione in senso più ampio”.

La 517/1977 è stata una delle poche leggi che ha cambiato le istituzioni e le persone di tutti i mondi vitali della società. Insegnanti, genitori, educatori, assistenti sociali, psicologi, neuropsichiatri, imprenditori (in parte), si sono lasciati alle spalle una brutta pagina della nostra storia, e hanno dato vita ad una delle più straordinarie utopie educative, prezioso patrimonio della cultura italiana.

(continua)