Riassunto. Perché no?

Educare al pensiero sintetico

Non voglio entrare con questo mio contributo nella diatriba sollevata dal professor Serianni, se sia meglio, all’esame di Stato del primo ciclo di istruzione, far affrontare agli allievi il cosiddetto tema di italiano o il riassunto. Hanno già risposto egregiamente Simonetta  Fasoli dalle pagine della presente rubrica (scuola7 n. 59), e Giuseppe Bagni dal sito del Cidi. Intendo invece, spiazzando forse qualcuno, provare ad affermare che non è male, al giorno d’oggi, insegnare ai ragazzi anche il pensiero sintetico, attraverso appunto una speciale forma di riassunto, insieme naturalmente alla “comprensione” del testo scritto. Per avallare ciò che andrò a dire farò pure riferimento all’uso di alcune prove Invalsi.

L’apprendistato cognitivo

Il riferimento va alla metodologia dell’Apprendistato cognitivo, secondo il modello di Insegnamento reciproco della lettura di Palincsar e Brown. Va ricordato che l’apprendistato cognitivo si differenzia dall’apprendistato tradizionale per l’enfasi posta sui processi cognitivi e metacognitivi sollecitati dall’esperienza guidata dall’insegnante. Attraverso questo metodo si cerca, come suggerisce la denominazione, di sottrarsi a compiti troppo scolastici, astratti, disincarnati. In verità con queste strategie, che si collocano perfettamente al centro del modello socio-culturale vigotskiano, soggiacente al testo delle Indicazioni/2012, si prova ad attivare l’apprendimento di capacità e conoscenze mettendo a disposizione degli allievi i processi mentali dell’insegnante esperto, che altrimenti rimarrebbero taciti e nascosti.

La ricerca di “senso”

Il focus del metodo viene posto su due aspetti: la ricerca del senso nella comprensione del testo, cui segue precisamente l’attivazione della sintesi alla luce del senso, e l’interazione dei pari tra loro.  Naturalmente precede il tutto l’esempio del docente che offre la prima prestazione di lettura, con l’utilizzo di diverse strategie applicate al compito, tra cui appunto la competenza del riassumere.

Sottolineo in modo particolare che tutto ruota intorno alla ricerca di senso, e ciò diventa oltremodo interessante alla luce di ciò di cui siamo a conoscenza oggi, dopo la ricerca portata avanti da Tullio de Mauro, recentemente scomparso, che affermava che il 70% degli italiani adulti soffre di analfabetismo funzionale, perché appunto mantiene la competenza strumentale ma non coglie il senso di quello che legge.

In poche parole, dovendo anch’io essere sintetica, ritornando alla pratica didattica suddetta, si tratta di leggere a voce alta un brano su cui all’inizio l’insegnante si interroga davanti ad un gruppo di allievi circa il “senso” del testo, pensando a voce alta, esprimendo varie possibilità tra cui poi sceglierà la più attendibile e corretta, desunta  dalla riflessività successiva (es. Prova Invalsi, seconda primaria, anno 2016/17, testo dal titolo “L’erba che le lepri non mangiano”, domande B13, B15, B16). Le domande del testo Invalsi possono essere assimilate ai tentativi del docente che esplora a voce alta i “possibili” sensi del testo, fino ad acciuffare quello “giusto”, dopo un adeguato pensiero riflessivo.

La processazione del testo

La seconda strategia di questo metodo didattico consiste nella processazione del testo stesso, vale a dire nel dividere il testo in sequenze narrative, cui segue la vera e propria attività del “riassumere”. È sempre l’insegnante che offre, attraverso l’attività di modeling, la traccia del processo: prende in considerazione una sequenza alla volta e si chiede, sempre pensando a voce alta: Se tolgo questa sequenza, il senso rimane? Se il senso rimane, quella sequenza viene lasciata cadere (es. sulla medesima prova Invalsi vedi le domande B2 con la dicitura  “è importante, non è importante”, con il riferimento ad alcune caratteristiche della narrazione).

Il riassunto

Alla fine rimangono le frasi essenziali a restituire il senso del testo: ecco il riassunto!

La competenza del riassumere fornisce una prova generale di comprensione, e rappresenta in fondo una fase preliminare di autodiagnosi. “Gli studenti imparano che, se non riescono a produrre un riassunto corretto, non hanno capito il testo e devono rileggerlo o tentare di chiarirsi le proprie difficoltà” (Collins-Smith). Appare lampante la correlazione con le competenze metacognitive utili per imparare ad imparare.

Ora a turno provate voi

Successivamente, per far capire che si tratta di un metodo con cui insegnare a tutti gli allievi l’apprendimento della sintesi, dopo la dimostrazione del docente, ogni alunno viene invitato per la prima volta a fare altrettanto, con il sostegno (scaffolding) dell’insegnante, che man mano alleggerirà i suoi interventi, limitandosi a spunti occasionali. Alla fine gli alunni, uno alla volta, su testi diversi, si metteranno alla prova con l’aiuto dei compagni.

Questo metodo impegna gli studenti in un modello diverso, all’interno del quale essi possono scoprire che leggere costituisce un’attività spesso co-costruttiva, come formulare domande, alla ricerca di senso, e fare riassunti, all’interno dei quali si concentra un’azione mentale raffinata e preziosa. Estrarre da un testo un distillato essenziale, togliendo ammennicoli e zavorre, predispone anche la memoria semantica ad una scelta di qualità.

La comprensione significativa

A proposito di quest’ultima affermazione, non posso fare a meno di menzionare Wiggins con la sua ricerca sulla Progettazione a ritroso, che ascrive tra le competenze più importanti, che la scuola però oggi frequentemente trascura, la comprensione significativa e duratura. Secondo me, oltre ai sei aspetti della comprensione proposti da Wiggins, un buon allenamento per avvicinarsi e integrare questo genere di comprensioni può essere anche il riassunto, ovviamente co-costruito secondo la buona pratica didattica che ho tentato di esplicitare. Credo che possiamo affermare che in questo modo si è coniugato il pensiero riflettente con il pensiero riflessivo.