La sperimentazione della scuola superiore in 4 anni: luci ed ombre

I riferimenti normativi  per la presentazione dei progetti

Il 13 novembre 2017 scadrà il termine fissato dal MIUR per la presentazione – da parte delle scuole secondarie di II grado statali e paritarie di progetti sperimentali di percorsi quadriennali di scuola superiore (di cui all’Avviso del 18 ottobre 2017, prot. n. 820 del Registro dei Decreti), in applicazione del D.M. 3 agosto 2017, n. 567, recante il Piano nazionale di innovazione ordinamentale per la sperimentazione di percorsi quadriennali di istruzione secondaria di secondo grado.

Il decreto di fatto estende, ma nel contempo supera, la sperimentazione “autonoma” dei cosiddetti “licei brevi”, avviata nell’a.s. 2014-5 da 4 scuole statali (e un anno prima dal liceo paritario “G. Carli” di Brescia), e oggi estesa a 12 scuole superiori, a cui – su queste stesse pagine – dedicai un intervento un anno fa (Scuola 7, n. 11 – 19 settembre 2016, Liceo quadriennale: spunti per un dibattito). Qui intendo rivolgere l’attenzione del lettore su quelli che appaiono i punti di forza e di debolezza della sperimentazione.

Le finalità del Piano nazionale di innovazione ordinamentale (art. 1 del DM) sono la “piena attuazione dell’autonomia scolastica e del curricolo di scuola” (c. 1) e la verifica della “fattibilità della riduzione di un anno dei percorsi di istruzione secondaria di secondo grado” (c. 2) dei licei e degli istituti tecnici (il c. 3 esclude i professionali a seguito del D.Lgs n. 61/2017). Ci muoviamo dunque nello spazio normativo compreso tra l’art. 11 del DPR n. 275/1999 e il comma 3 dell’art. 1 della L. n. 107/2015.

Un nuovo contenitore o una diversa progettualità?

Il richiamo alla “flessibilità didattica e organizzativa, consentita dall’autonomia scolastica, alla didattica laboratoriale e all’utilizzo di ogni risorsa professionale e strumentale disponibile” esplicitato nel DM (art. 1, c.  5) e nell’Avviso di ottobre (art. 1, c. 2), delimita il recinto entro cui si muove il Piano, che produce una sostanziosa innovazione ordinamentale (il superamento della durata quinquennale del curricolo), sotto-ordinandola all’adozione di una metodologia e di una didattica le cui caratteristiche sono sommariamente elencate dall’art. 3 dell’Avviso – Requisiti di partecipazione (che richiama l’art. 5 del DM). Resta fermo che la proposta delle scuole dovrà garantire agli studenti “il raggiungimento delle competenze e degli obiettivi specifici di apprendimento previsto per il quinto anno di corso entro il quarto anno” (lettera b).

Un elemento significativo è anche quello contenuto alla lett. f) dell’art. 3 dell’Avviso, ovvero la “individuazione di azioni di valorizzazione delle attività laboratoriali e dell’utilizzazione delle tecnologie didattiche innovative per l’acquisizione di specifiche competenze disciplinarti e di competenze trasversali, anche attraverso diverse articolazioni del gruppo classe”, in cui ritroviamo da un lato la preoccupazione che la riduzione di un anno di scuola non si traduca in una mera compressione del percorso scolastico, con il mero versamento di contenuti in un contenitore ridotto.

Innovazioni curricolari e metodologiche

Come ha ricordato Andrea Gavosto (Fondazione Giovanni Agnelli), è necessario che “l’accorciamento di un anno delle superiori sia adeguatamente compensato da una progettualità didattica ben strutturata che non toglie, non riduce, non accorcia il programma di studio, ma lo qualifica e lo rende significativo e funzionale”. Di qui il richiamo alle scuole perché utilizzino quanto l’autonomia scolastica ha riconosciuto alle scuole in termini di flessibilità del curricolo (art. 8 del DPR 8 marzo 1999, n. 275) e, di riflesso, tutti i meccanismi che consentono l’adozione di misure organizzative finalizzate ad una didattica innovativa.

Le lettere dalla d) alla h) del citato art. 3 dell’Avviso specificano quanto previsto dall’art. 5 del DM, dal potenziamento di almeno una disciplina non linguistica mediante il CLIL a partire dal terzo anno di corso (nei corsi ordinari, tranne il linguistico, il CLIL è adottato, con non poche riserve, solo nell’ultimo anno), all’attivazione di insegnamenti opzionali (v. art.1, c. 7 della L. n. 107/2015) anche in funzione orientativa. Quest’ultimo elemento, non esclusivo della sperimentazione, andrà attentamente valutato dalle scuole, al fine di non appesantire il curricolo, e sempre tenendo conto che la sperimentazione non consente oneri aggiuntivi per lo Stato (lett. k dell’art. 3 Avviso). Ciò significa che le classi sperimentali disporranno in proposito delle sole risorse professionali “liberate” – con tutti i suoi limiti – dall’organico dell’autonomia.

La ristrutturazione del monte-ore e dell’orario scolastico

Di rilievo è quanto previsto dalla lett. h del medesimo art. 3, ove si parla della “individuazione delle specifiche modalità di adeguamento e rimodulazione del calendario scolastico annuale e dell’orario settimanale delle lezioni (artt. 4-5 del DPR n. 275/1999), destinate a compensare, almeno in parte, la riduzione di una annualità del percorso scolastico. È il terreno più scivoloso di tutta la sperimentazione: si tratta di conferire all’abbreviazione del percorso di studi una equilibrata articolazione del monte ore (tenendo anche conto dei connessi problemi di organico), nonché una rimodulazione annuale e finanche settimanale degli insegnamenti, avendo come finalità il raggiungimento dei medesimi obiettivi in termini di conoscenze e competenze del corso di ordinamento.

Sarà compito (non facile) della Commissione tecnica (prevista dall’art. 6 del DM ripreso dall’art. 5 dell’Avviso) valutare i progetti: trattandosi di cento diverse scuole, di diverse regioni ed ordini scolastici differenti, non sarà operazione semplice. Va tuttavia osservato a proposito che il MIUR non ha tenuto conto delle osservazioni del CSPI a proposito della definizione di Linee Guida  per l’elaborazione delle proposte progettuali delle scuole (v. dispositivo in premessa), richiamando l’art. 4 del DPR n. 275/1999. Del resto le 12 sperimentazioni avviate in questi anni hanno dimostrato che un monte ore “rinforzato” (non più di quanto avveniva nei progetti sperimentali assistiti dal MIUR, ed anche nei “Piani di studio Brocca”, con un monte ore settimanale di 34-36) rispetto alle 27 ore settimanali attuali del primo biennio, consente un sostanziale recupero delle ore perdute con la riduzione di un anno.

Una proposta che fa discutere

Personalmente valuto positivamente anche la limitazione imposta alle scuole di presentare un’idea progettuale per una sola classe di un solo indirizzo di studio (art. 2, c. 2 dell’Avviso), perché 100 classi sono obiettivamente un contingente limitato, se si calcola che il target coinvolge i 4/5 delle scuole superiori italiane, e che bisognerà “tener conto di una equilibrata distribuzione (…) a livello nazionale nell’ambito di tre macroaree (nord – centro – sud)”. Inoltre, anche per fugare qualche dubbio già balenato sui media, opportunamente il MIUR ha declinato nell’art. 3, lett. c) tra i requisiti di partecipazione – pena l’esclusione – anche l’indicazione dei criteri di formazione della classe sperimentale (oltre ad altri vincoli di carattere amministrativo).

L’innovazione è un processo complesso e non lineare che mette in gioco numerosi elementi, processi e attori sociali, è qualcosa di più e di diverso da nuova tecnologia, è un momento non effimero di cambiamento concettuale, sociale e culturale; ogni innovazione è figlia della tradizione”. Premetto questa acuta osservazione di M. Bucchi (Per un pugno di idee. Storie di innovazioni che hanno cambiato la nostra vita, Bompiani, 2016) alla elencazione delle obiezioni che vengono mosse al Piano, la principale delle quali (le altre, che mi limito ad elencare sono: il ciclo quadriennale scardina il consolidato sistema quinquennale “senza rete”, il sovraccarico di tempo scuola per gli studenti, la mancanza di adeguati sussidi strutturali, un appesantimento senza riconoscimenti del lavoro docente, la indeterminatezza sul monte ore e sui “risparmi” di ore, la riduzione degli organici in termini di classi), lamenta che “la semplice riduzione a 4 anni e compattamento del curriculum non è automaticamente innovazione” (M.  Dutto, Percorsi quadriennali nella scuola secondaria di secondo grado, IPRASE, Trento, 2015).

Agire su spazi, tempi e modi della didattica

In realtà il Piano chiarisce subito che il compattamento del curricolo non deve essere un semplice conglomerato di nozioni, bensì – come ha notato Nadia Cattaneo  (Un’esperienza di percorso quadriennale in un istituto tecnico statale italiano, in Atti del Seminario Internazionale ADi 2017) – “un processo di distillazione dei programmi, realizzato attraverso l’insegnamento per competenze.” Il che significa che, per essere realmente una innovazione che superi la mera riorganizzazione quantitativa del monte ore, deve interessare almeno tre ambiti: spazi, tempi, modi della didattica.

Il ripensamento degli spazi

L’aumento medio dell’orario settimanale e l’allungamento dei periodi scolastici devono comportare un ripensamento degli spazi scolastici, da adeguare alle diverse attività degli studenti, tanto in termini di logistica (ad esempio siano i docenti ad accogliere gli alunni nelle  aule deputate), quanto in termini di arredi, ma anche superando le mura dell’aula per rivolgersi a spazi virtuali, grazie ad un uso flessibile delle ICT (piattaforme di condivisione studenti-docenti al di fuori dell’orario scolastico, una modalità ormai alquanto diffusa). Contemporaneamente vanno ripensati per un uso aperto anche ambienti dimessi, quali la biblioteca, un vero e proprio ambiente di apprendimento al pari (e forse più) degli altri laboratori (il rinvio è a Biblioteche innovative del PNSD).

Flessibilità e modularità dei tempi

Più delicato è il tema dei tempi, che devono rivolgersi ad una revisione dell’articolazione annuale, alla necessaria compattazione, al ricorso a classi aperte. Nel primo caso il MIUR chiede (art. 5, lett. g del DM) di compensare, almeno in parte, la riduzione di una annualità (anche in questo caso il MIUR non ha recepito il richiamo del CSPI). Ora, volendo evitare giornate scolastiche di 8 ore, le scuole che già attuano la sperimentazione hanno fatto ricorso agli strumenti della flessibilità e della modularità oraria: l’anticipo e/o il posticipo dell’inizio delle lezioni nel calendario annuale, la presenza a scuola di pomeriggio per attività di progetto.

La flessibilità organizzativa può agevolare il compattamento di alcune discipline, riunite in moduli di alcune settimane, impartite per un solo periodo. Questa operazione, già adottata per le classi di ordinamento a norma del DPR n. 275/1999, consente altresì di ridurre la frantumazione delle discipline, mentre l’organizzazione modulare dell’orario e il ricorso alla codocenza sono misure che agevolano l’attività di scomposizione e ricomposizione del gruppo classe in gruppi di livello, o per competenze o per attività particolari, come i percorsi in Alternanza Scuola Lavoro (ASL). Non si tratta di una rivoluzione, bensì di accorgimenti adottati fin dagli esordi dell’autonomia (qualcuno ricorderà la “quota di variabilità”, sperimentata a norma dell’art. 8 del DPR n. 275), per garantire alle singole scuole gli spazi di autonoma progettazione di una parte del curricolo, che smuovono la rigida routine dell’orario e del monte ore settimanale.

Didattiche innovative per le classi sperimentali

Anche per la didattica la sperimentazione del quadriennale può servirsi di strategie e strumenti non nuovi (personalizzazione, pluridisciplinarità, cooperative learning e learning by doing, valutazione per competenze, flipped classroom, peer education, debate, senza tener conto del Clil e dell’ASL, obbligatori per tutte le scuole dopo la L. 107/2015), ma con la differenza che essa li assume (in tutto o in parte) come consiglio di classe e non come scelte individuali del docente, per garantire agli studenti una continuità metodologica, che influenzerebbe positivamente anche il rendimento.

Quale esame di Stato al termine del quadriennio?

Qualche perplessità – ma io credo che ci sia il tempo per apportare le opportune integrazioni al decreto – desta l’esame di Stato conclusivo, perché il c. 1 dell’art. 7 del D.M. conferma l’impianto ordinamentale (come avvenuto per il liceo “G. Carli” che ha concluso l’anno scorso il primo quadriennio), per cui il credito scolastico sarà attribuito dal secondo anno (c. 2) e le prove restano invariate. È lecito domandarsi se abbia senso fondare una sperimentazione sulla didattica laboratoriale orientata alla costruzione delle competenze, e mantenere inalterato un esame di Stato fondato sulle semplici conoscenze.

La durata quadriennale della scuola secondaria superiore deve essere accompagnata nel secondo biennio da una riduzione della intensità curricolare, attraverso una maggiore flessibilità e personalizzazione degli itinerari individuali, da collegare alle successive scelte di studio o di lavoro (come peraltro ribadito dall’art. 4, c. 1 del DM), e con riflessi dunque anche sull’esame di Stato.

Si può ben comprendere, tuttavia, che una sperimentazione avviata non senza opposizioni tenda ad evitare ulteriori elementi di contrasto: pur tuttavia senza mettere in discussione, ovviamente, la sostanza dell’esame (la validità legale del titolo impone l’obbligo di una prova unitaria), ne riveda le modalità (come accaduto in passato per le sperimentazioni assistite e per la Brocca).

Rimodulazione dell’alternanza scuola-lavoro

Qualche criticità si presenta per i percorsi di ASL nell’ambito del nuovo quadriennio: l’art. 5 del DM parla di adeguare e rimodulare il calendario scolastico e l’orario settimanale delle lezioni (c. 1) anche per realizzare i percorsi in ASL a partire dal terzo anno. Tuttavia lasciare inalterata la normativa per l’Asl significa per il quadriennale comprimere ai soli due anni conclusivi il  cospicuo monte ore (200 ore nei licei e 400 nei tecnici). Del resto, mantenere inalterata la triennalità in un percorso di quattro anni coinvolgerebbe illegittimamente studenti quindicenni. Le scuole che già sperimentano il quadriennale hanno avviato l’ASL nel secondo anno (non con le attività in azienda), utilizzando il monte ore per altre attività formative (norme sulla sicurezza, formazione in aula), salvaguardando in tal modo la valutazione dei percorsi in ASL ai fini dell’attribuzione del credito scolastico.

Come scegliere le scuole sperimentali?

Mettendo da parte le critiche pregiudiziali, che si attestano su una acritica difesa dell’esistente (soprattutto a difesa degli organici e della rigidità ordinamentale) in nome di non meglio precisate uguali opportunità da riconoscere a tutti gli studenti (che dire allora dei cosiddetti “ottisti”?), va tuttavia rilevato che la indeterminatezza della proposta (individuata dagli artt. 4 e 5 del DM), ed anche la genericità dei criteri di valutazione individuati dall’Avviso (art. 5, c. 3), comporteranno di certo un compito gravoso per la Commissione tecnica (art. 6 del DM, precisato dall’art. 5, c. 1 dell’Avviso) che valuterà le candidature delle scuole (aprendo la strada anche ad eventuali contenziosi). Sarà operazione ardua la “reductio ad unum” di 100 differenti proposte, se il fine di tale sperimentazione è – come dichiarato dal citato c.  2 dell’art. 1 del DM – “verificare la fattibilità della riduzione di un anno (…)”.

Compattare i tempi o selezionare i nuclei essenziali delle discipline?

Una innovazione ordinamentale che entra nel tessuto del curricolo, rivoluzionandone la durata e l’articolazione, avrebbe potuto entrare nel merito della revisione degli statuti epistemologici delle singole discipline: operare una diversa articolazione del curricolo e lavorare promuovendo una didattica non solo multidisciplinare, ma transdisciplinare, che dovrebbe condurre all’aggregazione dei campi di saperi, e non solo al loro raggrumarsi in meno tempo, in funzione di una reale sviluppo delle competenze disciplinari e trasversali.

Il MIUR, rovesciando il normale iter sperimentale, intende probabilmente esplorare la capacità delle 100 scuole di avanzare proposte percorribili (e riproducibili?) in proposito. Mi auguro anche che questo nodo sia affrontato in sede di misure di accompagnamento, perché la riuscita della sperimentazione fa affidamento proprio sugli operatori, che sono chiamati ad organizzare l’insegnamento secondo tempi e modalità del tutto nuovi, rompendo la routine della biennalità/triennalità, rimodulando le tecniche didattiche, adeguandole ad un curricolo più denso ma più breve, in cui anche i contenuti avranno una scansione ed un’articolazione differenti. Un compito di tal natura non può essere lasciato ai singoli, necessita di un accompagnamento che indichi il percorso al modus operandi delle scuole.

Le forme di accompagnamento e di supporto formativo

Riprendendo la riflessione di Bucchi: “ogni innovazione è figlia della tradizione”, credo che questa sperimentazione affidi alle scuole una grande responsabilità: il percorso quadriennale non può essere improvvisato, né deve essere un “esperimento sulla pelle degli studenti”, come preconizzato da qualcuno. Esso deve tener dietro al percorso di innovazione che le scuole che intendono accedervi hanno compiuto negli anni (dalla recente didattica per competenze, ben lungi dall’essere patrimonio comune, risalendo indietro fino alla flessibilità e modularità garantite dall’autonomia fin dal 1997, ai percorsi sperimentali assistiti ed a quelli autonomi ex artt. 2 e 3 del DPR n. 419/1974). Non è “archeologia ordinamentale”, ma le scuole devono evitare il rischio della improvvisazione, e riflettere con onestà sulle esperienze realizzate e sulle risorse (professionali, strumentali, organizzative) disponibili, anche usufruendo degli strumenti offerti dal PTOF, dal RAV e dal PdM.

In tal senso la formazione in servizio dei docenti – per essere funzionale alle finalità della sperimentazione – non dovrà essere generica e generalista, ma dovrà articolarsi su due piani comunicanti tra loro: saperi e metodologie, ed aspetti organizzativi (della didattica), prevedendo il ricorso non soltanto alla FAD, ma anche a non episodici incontri in presenza tra dirigenti scolastici e docenti con il Comitato Tecnico nazionale (come non è avvenuto per le sperimentazioni già avviate). Bene ha fatto il MIUR ad affidare tale compito (art. 9  del DM) ad un gruppo di tecnici esperti della scuola superiore, che si avvarranno anche del monitoraggio effettuato dai Comitati tecnici regionali (art. 8 del DM) e dei suggerimenti rivenienti – finalmente – dalle associazioni professionali e disciplinari degli insegnanti (art. 9, c. 3).

Una scuola per le elite o una utopia “sostenibile”?

Un punto critico potrebbe rivelarsi l’iscrizione degli studenti alla classe sperimentale: l’Avviso (art. 3, lettera c) ha opportunamente inserito tra i requisiti di partecipazione anche “i criteri di priorità deliberati dal Consiglio di istituto da applicare in caso di eccedenza”. Si tratta di una precauzione necessitata dalla scelta di limitare ad una classe per scuola l’adesione alla sperimentazione, per cui le scuole dovranno evitare che le famiglie facciano a gara per iscriversi al quadriennale, fase che di per sé presenta delle obiezioni da quanti paventano il rischio che l’accesso finisca per essere riservato agli studenti, per condizione socioeconomica della famiglia e/o per i buoni risultati scolastici, più in grado di affrontare con successo il quadriennale.

È, sottotraccia, una del critiche più ricorrenti: il quadriennale sarebbe una sperimentazione elitaria, discriminatoria del principio democratico di scuola pubblica, che deve rispettare il principio di offrire a tutti le medesime opportunità di formazione. Non va sottaciuta la preoccupazione opposta: che la sperimentazione quadriennale diventi un comodo escamotage per ridurre il percorso di studio, dando dunque ragione a chi, da altro versante critico, ha parlato di un “liceo di serie B”.

A tali obiezioni, che hanno da versanti opposti un qualche fondo di verità, sembra porre rimedio – se le scuole ne terranno adeguato conto – quanto previsto dal c. 1 dell’art. 4 del DM, laddove si afferma che i progetti devono “qualificarsi per un elevato livello di innovazione in ordine (…) ai processi di continuità e orientamento con la scuola secondaria di primo grado, il mondo del lavoro gli ordini professionali, l’università e i percorsi terziari non accademici”.

Le sfide del nuovo modello

Le scuole dovranno presentare l’innovazione proposta al segmento scolare precedente, e coordinarlo – in termini di orientamento in uscita – con quelli successivi. Si tratta di porre in adeguata luce le peculiarità del percorso “ridotto”, non indulgendo all’enfasi sui vantaggi della riduzione, e ponendo in adeguato rilievo le difficoltà (in termini di impegno e responsabilità) che tale percorso comporta. In uscita, invece, la scuola dovrà approntare percorsi di orientamento che, anche sfruttando le opportunità offerte dall’alternanza, ma non solo da questa, offra allo studente del quadriennale un ventaglio di opportunità di sbocchi.

È una bella sfida a cui sono chiamati tutti, dirigenti, docenti, genitori e soprattutto gli adulti: nella impossibilità di risistemare – per l’ennesima volta – un sistema di istruzione lungo ed articolato, percorrere nuove strade non deve essere vietato: usava dire Adriano Olivetti che la parola utopia “è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità, o coraggio di fare”.