Report: la certificazione delle competenze nel primo ciclo

Un’innovazione condivisa?

Giunge assai opportuna la pubblicazione ufficiale sul sito del MIUR del Rapporto conclusivo della sperimentazione dei nuovi modelli di certificazione per il primo ciclo di istruzione. L’iniziativa era stata avviata nell’a.s. 2014/15 con la CM 3 del 13/2/2015, ed aveva progressivamente coinvolto nel triennio un ampio numero di istituzioni scolastiche, fino a giungere al numero di 2.689 nell’a.s. 2016/17. Contemporaneamente il legislatore aveva provveduto a conferire al Governo un’ampia delega per rivedere le norme in materia di valutazione nel primo ciclo, probabilmente proprio in virtù della sperimentazione in atto. In effetti il contenuto del D.lgs. 62/2017, che si riferisce alla certificazione delle competenze (art. 9), riprende direttamente gli esiti del lavoro svolto nelle scuole, e analogamente il DM 742  del 3 ottobre 2017,  nell’allegare i modelli di certificazione, riproduce sostanzialmente quelli utilizzati dalle scuole sperimentatrici negli ultimi tre anni scolastici, con le semplificazioni via via apportate anche in relazione ai feed-back ricevuti dai docenti (CM 2000 del 23/2/2017).

Le caratteristiche della certificazione

I nuovi modelli si ispirano direttamente a quanto suggerito dalle Indicazioni nazionali per il primo ciclo (DM 254/2012), che attribuiscono alla certificazione una preminente funzione formativa, di progressiva attestazione e documentazione delle competenze in fase di prima acquisizione (siamo infatti nell’ambito del primo ciclo!). Tuttavia il legislatore ha dovuto tener conto del dettato del D.lgs. 13/2013, che recepisce nell’ordinamento italiano le suggestioni europee in materia di individuazione, validazione e certificazione delle competenze, per favorire la comparabilità dei percorsi formativi e valorizzare gli apprendimenti acquisiti anche in contesti non formali ed informali. I modelli per la scuola di base hanno quindi assunto precise caratteristiche, ben argomentate all’interno del Report del MIUR, che si possono così riassumere:

  • riferimento alle competenze chiave europee, declinate alla luce del profilo di competenze degli allievi al termine del primo ciclo;
  • descrizione dei livelli di competenze attraverso una rubrica strutturata su 4 livelli progressivi, sintetizzati da 4 lettere dell’alfabeto (A-B-C-D);
  • assenza di livelli negativi, per valorizzare anche le prime acquisizioni in situazioni facilitate e di supporto (questo approccio lo ritroviamo anche per la descrizione degli otto livelli base dell’EQF, il framework europeo delle certificazioni);
  • spazio aperto per identificare ulteriori competenze personalizzate dei singoli allievi;
  • possibilità di apportare adattamenti in presenza di allievi in situazione di disabilità.

L’atteggiamento delle scuole

Come i dati del monitoraggio mettono ben in evidenza, sia nelle rilevazioni quantitative (per il tramite di un questionario cui hanno risposto  1949 istituzioni scolastiche) sia nei focus di approfondimento qualitativo organizzati dagli UU.SS.RR., le caratteristiche della strumentazione certificativa sono state largamente condivise dal mondo della scuola. In particolare il riferimento alle competenze europee appare più gradito rispetto al profilo del 14enne, di lettura non agevole pensando ai destinatari della certificazione; riscuote notevole consenso anche l’utilizzazione di una scala descrittiva piuttosto che dei semplici voti in decimi, come pure l’assenza di un livello esplicitamente negativo (con qualche maggiore incertezza). Oggetto di discussione anche lo spazio aperto, per la preoccupazione che la certificazione compia indebite intrusioni nelle esperienze extrascolastiche degli allievi, che pure contribuiscono allo sviluppo di competenze significative.

Grafico 7 – Grado di apprezzamento degli aspetti del modello di certificazione semplificato (nota prot. n. 2000 del 23-2-2017)

La scuola di fronte alle competenze

Le scuole sembrano aver apprezzato, al di là dei risvolti formali dei modelli di certificazione, il possibile “indotto didattico” messo in moto dal dover affrontare il tema delle competenze in vista della loro valutazione. In effetti la riflessione sulle competenze non nasce con la certificazione, ma viene da più lontano e trova un punto di approdo nelle Indicazioni/2012, ove sia le dimensioni trasversali rinvenibili nel “profilo delle competenze” in uscita dal primo ciclo, sia i “traguardi per lo sviluppo delle competenze” sono fortemente richiamati lungo tutto il testo, fino a suggerire una vera e propria didattica per competenze. Con questo ci riferiamo all’esigenza di una forte integrazione tra gli approcci disciplinari (finalizzati all’acquisizione di conoscenze e abilità, e quindi delle strumentalità di base) e quelli trasversali (che offrono la possibilità di mettere alla prova, utilizzare consapevolmente, rielaborare attivamente conoscenze e abilità). Non c’è dunque una dicotomia, perché i due aspetti si richiamano ricorsivamente: gli uni “reggono” gli altri. Né si può sostenere che le competenze aprono la strada ad una logica funzionale, di preparazione precoce al lavoro. Le stesse definizioni ufficiali (cfr. art. 2 del D.lgs. 13/2013) fanno riferimento all’uso, in situazioni di lavoro, di studio e nella vita personale e sociale, di un insieme strutturato di conoscenze, abilità e atteggiamenti per affrontare compiti sfidanti, progressivamente più complessi, con sempre maggiore autonomia in contesti anche inediti.

In molte scuole l’adozione dei nuovi strumenti è diventata l’occasione per rinnovare il curricolo di istituto, ma anche per veicolare innovazioni didattiche e metodologiche in un’ottica verticale. L’effetto più incisivo sembra essere quello del rinnovamento delle pratiche valutative (nel 62% dei casi). Accanto alle tradizionali prove di accertamento degli apprendimenti (compiti, test, esercizi) si sta diffondendo l’utilizzo di prove esperte (compiti di realtà), momenti di osservazione, pratiche di autovalutazione (anche se in misura più ridotta), per rendere gli allievi consapevoli del loro apprendimento e dei processi messi in atto. È evidente che la certificazione non può tradursi in un accanimento docimologico (trattando aritmeticamente alcune prove di verifica), ma richiede di “leggere” l’apprendimento con uno sguardo qualitativo, capace di sondare i processi e accompagnare gli allievi nella loro crescita complessiva. Senza enfasi né approssimazioni, ma per realizzare un didattica più efficace.

Tabella 3 (rif. Grafico 6) – Cambiamenti significativi nel modo di lavorare della scuola in seguito all’adozione del modello di certificazione delle competenze (fino a tre risposte)
In seguito all’adozione del modello di certificazione delle competenze l’istituzione scolastica ha promosso cambiamenti significativi nel proprio modo di lavorare. In quali direzioni? (Sono possibili più risposte, fino a un massimo di tre) % N.
Attività di formazione per approfondire il nuovo strumento 34,7% 676
Adozione di un nuovo curricolo di istituto ispirato alle Indicazioni Nazionali 2012 e riferibile al Profilo dello studente 46,0% 897
Esperienze generalizzate di innovazioni didattiche e metodologiche 42,2% 823
Limitate innovazioni didattiche affidate alla disponibilità dei singoli docenti 11,1% 217
Rinnovamento delle pratiche valutative (prove autentiche, osservazioni, autovalutazioni) 62,0% 1208
Migliore raccordo in verticale tra scuola primaria e scuola secondaria di primo grado 55,5% 1081

Tutto è bene quel che finisce bene?

Con molto realismo il Rapporto di monitoraggio, dopo aver raccolto pareri, esperienze, perplessità, dalla viva voce degli interessati (c’è anche un capitolo del rapporto che “raccoglie” i tweet rilasciati in calce ai questionari), sintetizza alcune delle questioni che restano aperte. Affidiamoci dunque al testo del Rapporto 2017:

La scuola dimostra di aver gradito le modifiche introdotte nell’ultima versione dei modelli di certificazione, perché rispondenti alle questioni di merito sollevate anche nei procedenti monitoraggi (riduzione degli enunciati di competenza, loro riconduzione alle competenze chiave oltre che al profilo, semplificazione del linguaggio, eliminazione degli ambigui riferimenti alle discipline) e la conferma degli elementi portanti del modello (articolazione per competenze trasversali, adozione di livelli (4) descrittivi, spazio aperto per personalizzazione, assenza di livelli seccamente negativi).

Resta aperto il significato da attribuire alla certificazione, che viene in genere ascritta al dominio della valutazione formativa, pro-attiva, in grado di descrivere e conoscere la progressione degli apprendimenti (v. Indicazioni/2012), piuttosto che l’attestazione “legale” di effettivi standard di competenza, magari affidata a soggetti “terzi”.

In questo scenario si inserisce la prospettiva voluta dal legislatore di accogliere all’interno dei documenti di certificazione la descrizione dei livelli di apprendimento in italiano, matematica e lingua inglese (o meglio, di alcune competenze legate a tali domini), rilasciate dall’INVALSI in esito alle prove standardizzate nazionali.

Si pone la questione della non congruità dei 4 livelli rispetto a consuetudini internazionali che ne prevedono 5, come ad esempio le 5 fasce di descrizione degli apprendimenti rilasciate dall’INVALSI (…).

Si fa sentire anche il problema di un mancato raccordo con le certificazioni in esito all’obbligo, che espongono riferimenti concettuali e culturali diversi, che possono creare disorientamento nel rapporto tra gli ordini scolastici. Non appare semplice la loro armonizzazione. Debole viene considerata l’attuale collocazione/formulazione del giudizio orientativo al termine del primo ciclo.

Il nodo problematico più forte e ricorrente rimane la certificazione di alunni in situazioni di difficoltà: per allievi con BES o disabilità lievi si mantiene l’ancoraggio al format-standard. Nei casi di maggiore gravità si preferisce uno strumento direttamente ancorato al Progetto educativo personalizzato. Si chiedono comunque indicazioni di carattere nazionale per evitare di risolvere tutto con il volenteroso bricolage delle singole scuole.

Si auspica il coinvolgimento della scuola dell’infanzia sul tema della certificazione, in coerenza con il principio della continuità educativa e con la valorizzazione del ruolo della scuola dai 3 ai 6 anni. Appaiono tuttavia prematuri modelli “formalizzati” di certificazione, e comunque sono da affrontare con molta consapevolezza, gli aspetti evolutivi delle competenze dei bambini di questa età (legati ad una pluralità di situazioni e non solo al contesto scolastico)”.

La sostenibilità dei nuovi strumenti di valutazione

Il “pacchetto” delle novità in materia di valutazione degli allievi è assai più ampio della certificazione delle competenze: spazia sul sistema degli esami, l’ampliamento delle prove INVALSI e il loro significato certificativo, il mantenimento del voto in decimi accompagnato però dalla descrizione dei processi, talune restrizioni alla bocciatura, la nuova formulazione della valutazione delle competenze (che dovrà intercettare anche le competenze di cittadinanza). È un insieme corposo di innovazioni che dovrà essere “metabolizzato” con serenità dalla scuola, senza forzature e automatismi, alla ricerca del “senso” formativo della valutazione scolastica, e con la disponibilità (a tutti i livelli) di modificare, integrare, semplificare ciò che dovesse apparire inutilmente invasivo.