Istituti superiori quadriennali: una sfida che si può vincere

Gli antecedenti

Sono stati resi noti dal MIUR, con Decreto della Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici e la Valutazione del Sistema Nazionale di Istruzione del 28 dicembre 2017, i risultati dell’Avviso Pubblico n. 820 del 18 ottobre 2017, con il quale sono stati selezionati 100 istituti di istruzione secondaria di secondo grado autorizzati, dall’anno scolastico 2018/2019, alla sperimentazione di un percorso di studi quadriennale in non più di una classe ciascuno.

Occorre ricordare che questa sperimentazione si pone in continuità con un percorso già avviato da tempo, dapprima su richiesta ai sensi dell’art. 11 del DPR 275/99 da parte di singole scuole, successivamente con il DM 904/2013 firmato dal Ministro Maria Chiara Carrozza. Siamo dunque di fronte alla prosecuzione di un’esperienza già in atto, che ne allarga la base da una decina di Istituti italiani, alcuni dei quali hanno già completato il percorso, mentre altri sono in dirittura d’arrivo quest’anno, ai 100 attualmente selezionati.

Alle proposte progettuali si richiedeva un elevato livello di innovazione, in particolare in relazione all’articolazione e alla rimodulazione dei piani di studio, all’utilizzo delle tecnologie e delle attività di laboratorio nella didattica, all’uso della metodologia Clil, ai processi di continuità e orientamento con la scuola secondaria di primo grado, il mondo del lavoro, gli ordini professionali, l’università e i percorsi terziari non accademici.

Le ragioni dell’innovazione

Come spesso accade quando si introducono innovazioni che incidono in realtà lunghe e consolidate, e vanno a rompere una sorta di confort zone istituzionale, le reazioni contrarie non hanno tardato a farsi sentire, come già all’epoca dell’avvio della prima sperimentazione, e rischiano, in assenza di una base di informazioni fondata ed articolata, di inquinare il dibattito riducendone lo spessore.

Pare dunque importante partire dalle ragioni che hanno spinto il Miur e le scuole stesse a raccogliere questa sfida, senza dimenticarne il carattere sperimentale, che implicherà una valutazione annuale e una conclusiva, ad opera di un Comitato Scientifico Nazionale supportato da analoghi comitati regionali e da misure di accompagnamento.

Come già evidenziato nell’opuscolo curato da Mario Dutto (Percorsi quadriennali nella scuola secondaria di secondo grado – Iprase, 2015), le ragioni per sperimentare sono molteplici e vanno dall’esigenza di allineare tendenzialmente l’età in uscita dalla scuola superiore di una quota di studenti italiani con quella dei coetanei di altri paesi europei, a quella di consentire percorsi specifici per la coltivazione dei talenti diversificando l’offerta formativa, dalla necessità di recuperare l’aumento di un anno per conseguire la laurea in molti percorsi, passati da quadriennali a quinquennali per effetto del 3+2 introdotto dal Decreto 3 novembre 1999, n. 509 (modificato dal decreto 22 ottobre 2004, n. 270), fin anche al bisogno di suscitare una spinta innovativa nella scuola secondaria, mediante la revisione dei piani di studio, l’attuazione di nuove forme organizzative, l’introduzione di nuovi modelli di apprendimento, la personalizzazione degli itinerari e la diversificazione dell’azione didattica.

Gli aspetti giuridici

Per la valutazione delle ragioni di un ingresso anticipato degli studenti italiani all’università o nel mondo del lavoro, oltre ad un’analisi dei paesi europei in cui gli studenti terminano la upper secondary education a 18 anni, può essere importante riflettere sul fatto che i licei italiani all’estero hanno tutti durata quadriennale; inoltre per accedere al percorso universitario italiano lo Stato riconosce la validità dei titoli di studio esteri conseguiti al termine di un periodo di almeno 12 anni. La normativa italiana tiene dunque conto del fatto che il periodo scolastico di 13 anni, vigente in Italia, non costituisce norma generale, anzi prevalgono i percorsi di durata inferiore (12, 11 e persino 10 anni).

D’altro canto la spinta a sperimentare da parte delle scuole sembra ravvisarsi, almeno per coloro che hanno agito da apripista, nella straordinaria occasione che viene offerta per praticare un’autonomia in direzione di un’innovazione strutturale profonda, che investe soprattutto il core dei curricoli e le metodologie.

Alcuni rischi da valutare

Parimenti esistono dei rischi, che dipendono in gran parte da come i modelli di abbreviazione saranno implementati: dal possibile stress e affaticamento dovuto all’eventuale aumento del tempo scuola per compensare la riduzione di un anno del percorso, all’assenza di supporti strutturali adeguati come mense e trasporti pubblici, o adeguate misure di accompagnamento da parte del Miur, all’effettiva presenza di professionalità docenti in grado di applicare con competenza ed esperienza nuovi modelli didattici. All’elenco va aggiunto anche il rischio politico determinato dall’attuale incertezza su come saranno effettivamente gestiti i risparmi legati alla diminuzione del tempo scuola, e dalla non sicurezza che essi possano rientrare come nuovi investimenti per un aumento della qualità del sistema di istruzione. Vi è anche il problema, seppure contenuto dai numeri della sperimentazione, della gestione della cosiddetta onda anomala della quota superiore di studenti in uscita in talune annualità.

Il know-how per sperimentare

In relazione alle scuole autorizzate alla sperimentazione dall’anno 2014 non si dispone di risultati ufficiali, ma sono già stati messi in luce alcuni fattori per una buona riuscita del progetto di innovazione ordinamentale.

In primo luogo l’innesto della sperimentazione su un’attitudine consolidata all’innovazione, e su una vision di scuola che faccia propria la ricerca didattica e metodologica come habitus professionale; di conseguenza anche la presenza di comunità professionali strutturate come comunità di pratiche, e dunque in formazione permanente. La compressione del curricolo non è di per sé una garanzia di qualità, ed è per questo che, come è stato sottolineato dai dirigenti Salvatore Giuliano (IIS “Majorana” – Brindisi) e Nadia Cattaneo (IT “Tosi” – Busto Arsizio), intraprendere la sperimentazione, in assenza di un percorso preesistente di innovazione metodologica e organizzativa portato ad adeguata maturazione, presenta rischi molto elevati. Si auspica pertanto che la commissione che ha selezionato gli Istituti sperimentali abbia tenuto conto di questo fattore, che era tra l’altro tra i requisiti di ammissione. Ad una prima analisi dei selezionati si hanno buone ragioni per credere che questo aspetto abbia avuto un peso elevato nella scelta. Non passa inosservata infatti la presenza, nell’elenco dei 100, di ben 20 istituti già attivamente impegnati in un serio percorso di ricerca sull’innovazione, come fondatori e adottanti del movimento Avanguardie Educative guidato da INDIRE.

La ricerca su curricolo e apprendimento

È importante sottolineare anche il fattore condivisione del progetto all’interno della comunità professionale. Un’“avventura” di questo genere, sin dalla sua progettazione, non può che avere successo come sforzo di squadra. Una seria revisione dei curricoli necessita di un gruppo di lavoro ampio, con rappresentanti di tutte le discipline, impegnati non già in una potatura dei contenuti ma in un’attività di analisi disciplinare, per la costruzione di curricoli per competenze in cui siano  fatte salve quelle previste per l’ordinamento quinquennale, ma redistribuite in un diverso percorso, e perseguite attraverso metodologie didattiche in grado di coinvolgere attivamente gli studenti proprio per evitare il rischio di giornate scolastiche più lunghe e difficilmente sostenibili se meramente trasmissive.

Anche la disponibilità di risorse tecnologiche e di ambienti di apprendimento adeguati rappresenta una variabile non secondaria. Tra chi ha già sperimentato si sottolinea infatti la necessità di garantire un’elevata qualità dell’apprendimento, non solo quello che si promuove nell’ambiente scolastico, attraverso aule dal setting flessibile e laboratoriale, ma anche quello che si attua dopo e fuori la scuola, attraverso strumenti, anche virtuali, che ne sostengano la dimensione individuale e personalizzata, e parimenti possano ricrearne la dimensione sociale.

I fattori di successo

In sintesi, le scuole che hanno già intrapreso il percorso di sperimentazione evidenziano questi ed altri denominatori comuni:  l’internazionalizzazione, in alcuni casi declinata fin nel nome dei corsi, ma in generale garantita dall’impiego ampio e diffuso del Clil, la personalizzazione, l’innovazione metodologica, fondata su un impianto didattico per competenze disciplinari e trasversali, con ampio ricorso all’interdisciplinarietà o addirittura alla scansione dei saperi non nelle discipline tradizionali, bensì in aree disciplinari. Decisivo è il ricorso ad un corpo docente autoselezionatosi per aderire alla sperimentazione, disponibile a mettersi in gioco e mantenersi in un cammino di ricerca e sviluppo della professionalità.

Al momento, ma è sempre bene far presente che non disponiamo di risultati ufficiali conclusivi, non sembra esservi riscontro negativo da parte di studenti e famiglie in merito all’accoglienza della sperimentazione.

Misure di accompagnamento e incentivi

Gli ostacoli più importanti già evidenziati dalle scuole sperimentali sono stati individuati nelle rigidità del sistema, prima fra tutti l’assenza di un’articolazione in carriere nella professionalità docente, che non permette un’adeguata valorizzazione dei professionisti impegnati attivamente nella sperimentazione dei nuovi modelli ordinamentali.

Potremmo aggiungere a questa criticità anche l’attuale modalità con cui viene attribuito alle scuole l’organico dell’autonomia, con una quota di docenti a potenziamento che purtroppo non è possibile scegliere, e che invece risulterebbe particolarmente funzionale a questa innovazione.

D’altro canto appare ineludibile che i Comitati Tecnico-Scientifici, sia a livello centrale che regionale, siano  istituiti per garantire il necessario sostegno alle scuole, e soprattutto una seria valutazione della sperimentazione. INDIRE potrebbe utilmente essere coinvolto nell’accompagnamento della sperimentazione, e si tratterebbe di un’attività perfettamente in linea con sua la mission istituzionale e con il percorso fin ad oggi intrapreso con le Avanguardie Educative.

Un modello solo per studenti talentuosi?

Allo stato attuale la sperimentazione in un numero limitato di Istituti, con un necessario sbarramento in ingresso che consentirà la frequenza dei corsi quadriennali ai soli studenti più motivati e brillanti, continuerà a configurarsi di fatto come un’offerta formativa supplementare, che pone rimedio ad una carenza strutturale del sistema nazionale di istruzione, consistente nell’assenza di misure a sostegno dei talenti.

È vero infatti che la normativa attuale dispone di un solo strumento per l’abbreviazione dei percorsi di studio degli studenti eccellenti, quella che consente di accedere all’esame di Stato direttamente al termine del quarto anno agli studenti “ottisti”, in possesso cioè di alcuni requisiti di merito nel profitto e nel comportamento piuttosto stringenti. Questo sistema tuttavia è assai poco praticato, in quanto l’accompagnamento di tali studenti nell’impegnativo percorso di svolgere di fatto il programma di due anni in uno non è istituzionalmente previsto, ed è appannaggio dell’iniziativa privata, quindi delle sole famiglie che dispongono delle risorse economiche per affrontarlo.

Un punto interrogativo finale

Sic stantibus rebus, il dispositivo sperimentale è significativo senza ombra di dubbio.

Occorre chiarire tuttavia che i risultati della sperimentazione soffriranno proprio di questo limite, che non ne consentirà una generalizzazione all’intero sistema di istruzione. Avremo dati relativi a campioni selezionati di studenti, e senza dubbio gli esiti potranno evidenziare fattori di successo e ostacoli degli impianti quadriennali, ma occorrerà una seria analisi, e con ogni probabilità sarà necessario tornare a riflettere coraggiosamente sull’annosa questione della riforma dei cicli, se si intende affrontare il discorso relativo alla riduzione da 13 a 12 anni nell’ottica della sua estensione all’intero sistema di istruzione.