Educazione al rispetto: note a margine

Nel mese di ottobre del 2017 sono uscite le Linee Guida sull’educazione al rispetto, al fine di dare attuazione a quanto previsto dal comma 16 della Legge 107/2015[1].

Ideologie gender

Nel testo delle Linee Guida si trovano ottimi riferimenti giuridici e un apprezzabile intento formativo, oltre che informativo. È meritevole l’intenzione di sgombrare il campo dalla zavorra delle “ideologie gender”, strumentalizzate un paio di anni fa per depotenziare gli interventi sulle pari opportunità e su un adeguato ed opportuno accompagnamento alla maturazione dell’identità di genere di bambini/e e ragazzi/e. Allora fu avviata infatti una ridicola caccia alle streghe, offrendo in alternativa una educazione “genitoriale” che evitasse di parlare del “genere”. Ovviamente il fantasma che agitava le ansie di queste frange fondamentaliste è quello dell’omosessualità, dimostrando in questo modo una grande confusione ed anche notevoli pregiudizi. Ritengo pertanto importante che su questa tematica il Miur si sia espresso con fermezza.

Maschi o femmine si nasce

Il documento incappa però nella prima scorrettezza concettuale quando afferma “nascere uomini  o donne”… Non è così: si nasce maschi o femmine, uomini o donne si diventa. Il processo che accompagna questa maturazione non è semplice, e affronta delle tappe. La prima tappa è l’identità biologico-sessuale, definita al momento della nascita dalla lettura dei genitali esterni, senza margini di errore tranne nei casi di “intersessualità”, un tempo  definita “ermafroditismo”.

La seconda tappa è l’accettazione dell’identità sessuale, definita identità psicologica. In mancanza di questa possiamo trovarci di fronte ad un notevole disagio, che si trasformerà nel tempo in una grande sofferenza, chiamata “disforia di genere”, che potrebbe sfociare nel fenomeno del trans-genderismo (senza intervento chirurgico) oppure nel trans-sessualismo (con intervento).

Identità di genere

Dopo l’accettazione comincia a maturare l’identità di genere, vale a dire la percezione di sé come donne o uomini,  insieme all’assunzione del ruolo loro attribuito in un determinato contesto socio-culturale, aspetto assorbito inizialmente acriticamente. È un processo maturativo lungo, che attraverserà le tempeste ormonali della pubertà e dell’adolescenza. Ed è su questa “identità di genere” che bisogna agire per evitare il più possibile che vengano assunti stereotipi sessisti, che dovrebbero essere superati dal paradigma culturale delle pari opportunità, ma che sono duri a morire proprio perché assorbiti inconsapevolmente. Diventa fondamentale allora la scuola, luogo dove intenzionalmente e sistematicamente docenti professionalmente preparati sono chiamati ad accompagnare con riflessività, impegno ed esempio questa maturazione. La famiglia è il luogo della conservazione, tranne rare eccezioni; la scuola invece può promuovere una coniugazione intelligente tra tradizione ed innovazione.

L’orientamento sessuale

La terza tappa è l’identità di “mèta”, come amava dire una delle prime sessuologhe in Italia, Jole Baldaro Verde, che definisce l’orientamento sessuale (eterosessuale, omosessuale, bisessuale).

A proposito della tematica dell’orientamento, il testo non osa nominare l’omofobia, ancora troppo presente nel nostro Paese. Il termine però viene rifiutato dalle forze più conservatrici, e diventa l’emblema delle resistenze assurde, ancora presenti nel nostro Parlamento. Infatti stiamo aspettando da tempo la legge contro l’omofobia, ma c’è ancora chi ama definire l’omofobia “libertà di pensiero”. Eppure qui si annida la modalità più frequente di mancanza di rispetto da parte dei preadolescenti ed adolescenti nei confronti di compagni o compagne, spesso attraverso vere e proprie azioni di bullismo o, negli ultimi tempi, di cyberbullismo. Qualche volta queste azioni, oltre che esprimere violenza, nascondono paura ed ignoranza: una ragione in più perché la scuola si faccia portatrice di contrasto a questa tipologia di oscurantismo ormai inaccettabile, in nome di una educazione al rispetto scevra da pregiudizi.

Educazione alla parità tra i sessi

Nell’indagare la genesi del cosiddetto modello antropologico relazionale, il testo dimentica di nominare l’intersoggettività cui siamo programmati tutti dalla nascita, grazie ai “neuroni specchio”, una recente e illuminante scoperta dovuta alle neuroscienze. L’intersoggettività sottolinea una volta di più l’importanza dell’esempio anche nel trattare la tematica del rispetto, semmai ci fosse ancora bisogno di rammentarlo: esempi di genitori, docenti ed adulti in genere. La storia del patriarcato, invece, nel documento viene esplorata in modo efficace e convincente, a sollecitare e sostenere un’educazione che eviti la trasmissione di un modello di relazione “gerarchica”, in cui la differenza di genere viene vissuta come disuguaglianza. Riprendendo le parole delle linee guida: “se c’è una differenza, allora qualcuno è migliore e qualcuno è peggiore e, soprattutto, c’è una dimensione di potere dell’uno sull’altro”. Questa deformazione impedisce fortemente la cultura delle pari opportunità, ed è alla base della nascita della violenza sulle donne. Gli uomini che la esercitano non sopportano di perdere il potere sulla loro donna, e con il potere il possesso. Recalcati aggiunge: “Tuttavia, nell’affermazione di questa superiorità ontologica, si rivela anche una profonda angoscia. L’uomo può odiare una donna… perché in essa vede quel mistero della libertà a cui egli ha rinunciato” (da “Quella ragazza bruciata come strega della libertà”).

Autorealizzazione e relazionalità

Il paradigma culturale delle pari opportunità è una bella scommessa da portare avanti: significa superare il maschilismo non solo come affermazione teorica, ma come modalità di essere al mondo per uomini e donne, di relazionarsi e di pensare ad un progetto di vita sulla corresponsabilità simmetrica. Tutto ciò presuppone la capacità di attivare  identità di genere nuove e riconciliate (E. Badinter). Tutto il paragrafo “Educazione alla parità tra i sessi e al rispetto delle differenze” rispecchia riflessioni adeguate e interessanti. Aggiungo che un aspetto importante in questo senso è avere attenzione alla formazione di ragazzi e ragazze sia all’“autorealizzazione” (più scontata per il maschile) e alla “relazionalità” (più scontata per il femminile). Questo atteggiamento educativo rispetta le differenze, ma le coniuga all’interno della cultura della complessità.

Alfabetizzazione emotiva

La prevenzione della violenza contro le donne è la parte migliore del documento, ma manca di indicazioni pedagogiche e strategie opportune per aiutare i docenti ad affrontare la formazione di studentesse e studenti alle finalità indicate. Non c’è lo spazio per inoltrarci all’interno di tali strategie, ma almeno possiamo indicarne per sommi capi qualcuna. Si tratta soprattutto dell’alfabetizzazione emotiva (per esempio secondo il modello psicologico dell’analisi transazionale, che aiuta a distinguere le emozioni naturali da quella parassite). L’educazione emotiva legittima per maschietti e femminucce tutte le emozioni naturali: paura, rabbia, tristezza e gioia. Non è scontato che questo avvenga all’interno dell’educazione familiare. Rischio: inibizione della paura per i maschietti e della rabbia per le femminucce. Si dovrebbe insegnare poi, al posto di “agire” l’emozione istintivamente, a porre la richiesta sociale adeguata a seconda dell’emozione naturale provata, prima che questa si trasformi in parassita.

Un’altra strategia viene indicata anche dalle Indicazioni Nazionali. Si tratta dell’educazione alla “cura”: di sé, degli altri, dell’ambiente, da dedicare sia a femminucce che a maschietti a partire dai tre anni di età.

Questa importante accortezza, oltre che riequilibrare i carichi di lavoro in famiglia, potrebbe servire ad aprire la strada alle professioni di cura anche agli uomini: nella scuola ce n’è tanto bisogno.

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[1] È già stato pubblicato in questa rubrica un commento didascalico molto utile ed istruttivo, a firma di Rosa Stornaiuolo (Scuola7.it, n. 65). Il mio intervento perciò avrà un taglio diverso, anche un po’ critico non sulla tematica, quanto mai opportuna, ma sulla “timidezza” con cui è stato affrontato l’argomento.