Se cinquant’anni vi sembran pochi

Mezzo secolo di scuola dell’infanzia (Legge 18-3-1968, n. 444)

Quando le riforme si vedono dopo 50 anni

Può sembrare paradossale, ma cinquant’anni sono un periodo giusto per misurare gli effetti di una riforma scolastica. Qualche anno fa, nel 2012, è passato quasi sotto silenzio il cinquantenario dell’istituzione della scuola media unica (con la legge 31 dicembre 1962, n. 1859). Eppure quella riforma, a detta di molti studiosi, è stata forse il provvedimento più incisivo e innovatore della storia della Repubblica: ha consentito a intere generazioni di italiani di accedere a un livello più elevato di istruzione, ed ha accompagnato la crescita del nostro Paese in termini sociali e culturali. Dopo tanti anni resta irrisolto il tema dell’equità, cioè delle reali opportunità offerte dalla scuola media ai nostri ragazzi, per divincolarsi dai condizionamenti sociali, culturali e territoriali, che pesano fortemente sul successo scolastico[1]. E qui è evidente il link con la scuola dell’infanzia…

Mezzo secolo di scuola materna statale

In questi giorni si festeggia il 50° anno dall’istituzione della scuola materna statale, che fu approvata dopo molti contrasti al termine della prima legislatura di centro-sinistra, caratterizzata dai governi di Aldo Moro (Legge 18-3-1968, n. 444). Sono stati cinquant’anni di progressiva espansione e presenza nel panorama della scuola italiana, con un insediamento capillare in tutti i territori, specie in quelli più complessi (le grandi aree urbane, i piccoli centri periferici). La scuola italiana per i bambini dai 3 ai 5 anni è tra le più frequentate d’Europa, anche se non obbligatoria, e coinvolge oltre il 95% dei bambini in età. È un panorama articolato, che vede la presenza di oltre 22.000 scuole, in genere di piccole dimensioni e molto vicine alle comunità e ai genitori, con diverse forme di gestione: scuole statali (60% del servizio), comunali (10%) e private paritarie (30%). L’intervento dello Stato è risultato decisivo per diffondere l’educazione per l’infanzia, per garantirla a bassi costi (praticamente gratuita) ed in ogni contrada. Non altrettanto può dirsi per i servizi educativi per i bambini fino a tre anni (nidi d’infanzia), dove la copertura arriva a malapena al 23%, secondo le stime più recenti.

Domanda sociale, risposta educativa

Uno sviluppo così importante della scuola dell’infanzia non sarebbe stato possibile, se non fosse stato spinto da una domanda sociale forte e determinata. Lavoro femminile extradomestico, nuovi stili di vita, urbanesimo e famiglie “corte” hanno certamente trovato risposte nella rete di servizi educativi e scolastici per l’infanzia. Questa domanda porta anche il segno dell’emancipazione femminile, di parità di diritti e doveri, di conciliazione più equilibrata tra tempi di vita, di lavoro, di cura famigliare. La domanda sociale, però, a volte è disordinata (si pensi alla richiesta di tempi lunghi, di estrema flessibilità degli orari di apertura, di funzioni assistenziali). La scuola la deve saper ascoltare, filtrare, educare, proponendo un progetto educativo che si faccia apprezzare per la sua qualità, per l’attenzione ai compiti di sviluppo dei bambini, per un progetto pedagogico ricco di stimoli e suggestioni, per la capacità di dialogo aperto con i genitori. Le scuole dai 3 ai 5 anni sono scuole di prossimità, a chilometro zero, godono della fiducia della comunità: sono il primo luogo di incontro con una istituzione pubblica, per imparare (grandi e piccoli) le regole del vivere insieme.

Il progetto curricolare degli Orientamenti

I livelli di qualità della scuola dell’infanzia sono assai diversi, e dipendono dalla professionalità degli insegnanti (dovremmo dire: delle insegnanti), dalle condizioni operative (strutture, numerosità dei frequentanti, compresenza dei docenti), dal supporto organizzativo e dalla supervisione pedagogica (coordinamento). In effetti, i programmi (o meglio, gli orientamenti che si sono via via succeduti in questo lungo periodo) hanno consolidato l’identità pedagogica di questo segmento scolastico, evitando che la scuola dell’infanzia fosse considerata una semplice “sala di custodia”, ma anche che si trasformasse in un precoce luogo di addestramento pre-alfabetico. Gli Orientamenti del 1991, che restano insuperati nella loro struttura concettuale, trovano un bel punto di equilibrio nel definire la scuola un “ambiente di vita, di relazioni e di apprendimento”, mettendo in evidenza la dimensione vitale dell’esperienza dei bambini, il loro crescere in un clima ricco di risonanze affettive e sociali, attraverso appropriati stimoli cognitivi, linguistici, estetici.

I campi di esperienza e il curricolo verticale

Il concetto di “campo di esperienza” è il dispositivo che da trent’anni regola il curricolo della scuola dell’infanzia. Da un lato permette di tenere al centro le esperienze del bambino, le loro azioni, il vissuto, il loro osservare, raccontare; dall’altro offre (con la mediazione competente dell’adulto) linguaggi, strumenti, abilità, conoscenze riferite ai diversi ambiti del sapere. L’esperienza del bambino diventa conoscenza, perché l’adulto, i compagni, il contesto, rilanciano, inviano risposte, retroagiscono, danno consistenza e consapevolezza a quelle azioni. È qui il nucleo generativo del curricolo verticale, perché il rapporto esperienza-conoscenza via via si approfondisce, si arricchisce, e procede alla conquista di nuovi saperi.

Ecco perché è giusto che il segmento 3-5 anni sia fortemente collegato al percorso del primo ciclo (6-14 anni), visto che entrambi fanno parte dell’istituto comprensivo, ed entrambi fanno riferimento alle Indicazioni per il curricolo del 2012[2].

Che la festa (dei 50 anni) continui…

Questa lunga storia, fatta di riflessioni pedagogiche ma anche di evoluzione organizzativa (orari di funzionamento, organici, compresenza, rapporti con il territorio), trova in queste settimane un punto d’approdo in numerosi seminari che si tengono in tutta Italia, in ogni capoluogo di regione, a cura degli Uffici Scolastici Regionali. Non si tratta di celebrazioni retoriche, ma piuttosto di riconoscere e riconoscersi in una bella vicenda pedagogica e istituzionale, con un pizzico di orgoglio, sapendo che una scuola “ben fatta” a partire dai tre anni è uno dei possibili fattori di successo dell’istruzione pubblica. Dopo i seminari regionali (promossi sulla base della CM 483 del 1-3-2018), gli insegnanti partecipanti sono impegnati a portare la loro testimonianza nei rispettivi collegi dei docenti, per tornare in maniera più diffusa sul significato e l’apporto culturale, pedagogico e didattico della scuola dell’infanzia all’intera scuola di base.

I temi non mancano: l’ambiente di apprendimento e relazione, le discipline come campi di esperienza, l’operatività e la riflessione, la valutazione formativa, la mediazione didattica…

Insomma, un patrimonio non solo da conservare (i gioielli di famiglia!), ma da reinvestire con saggezza e generosità a vantaggio di tutti.

—-

[1] MIUR, Una politica nazionale di contrasto del fallimento formativo e della povertà educativa, Roma, gennaio 2018.

[2] MIUR – Comitato Scientifico Nazionale Indicazioni, Infanzia e oltre. Indicazioni per il curricolo e identità della scuola dell’infanzia, USR ER, Tecnodid, Napoli, 2018. Prelevabile sul sito USR ER: https://drive.google.com/file/d/1QXmowOnYclzq3Sma_3eORQn5FLK1DgEl/view