Il test Invalsi di lingua inglese: quale impatto sulla didattica?

Molte incognite da sciogliere

L’inserimento della prova Invalsi per la lingua inglese nella scuola media presenta numerose incognite. La mia riflessione, che esprime il punto di vista di un’insegnante e formatrice in didattica di lingue inglese, prenderà in considerazione queste incognite e si tradurrà in una serie di ipotesi che, evidentemente, dovranno essere verificate sul campo.

La prima incognita riguarda lo spazio che la prova riempirà all’interno del percorso dell’esame di Stato. Quello che ancora non è chiaro è se la prova affiancherà di fatto, come per quest’anno scolastico, le altre prove scritte e orali dell’attuale esame di Stato, o se l’obiettivo dell’Invalsi è quello di sostituirle nel corso degli anni. Le altre incognite riguardano piuttosto le tipologie di esercizi somministrati tramite la prova Invalsi, visto che ad oggi non abbiamo ricevuto né svolto alcuna prova ufficiale.

Per entrare in questo dibattito, tenendo conto delle incognite su menzionate, cercherò per prima cosa di esporre le mie constatazioni rispetto al materiale che abbiamo ricevuto finora dalle diverse case editrici. In un secondo momento proverò ad ipotizzare, sulla base dei pochi dati a diposizione, qualche possibile impatto sulla didattica delle lingue, anzi della lingua inglese. Per concludere esprimerò il mio punto di vista di insegnante di lingua inglese nella scuola media.

Un test con valore certificativo?

Prendiamo come punto di partenza una prima ipotesi, che vede la prova Invalsi affiancare a metà anno le altre due prove dell’esame di Stato. Questa prova, mi sembra, ha l’ambizione di inserire all’interno dell’esame di Stato l’idea di una valutazione oggettiva della prova di lingua straniera inglese. Se fosse cosi, la scuola assumerebbe, almeno in parte, il ruolo di certificatore che oggi viene delegato a diverse istituzioni private. Ora bisogna comprendere in che misura questo ruolo affiancherà o rimpiazzerà il ruolo educativo e di orientamento, proprio della scuola media.

Le prove di reading e di listening

In questi giorni propongo quotidianamente ai miei alunni un esempio di prova Invalsi. Gli esempi ci sono inviati dalle diverse case editrici come copie saggio. La prova Invalsi prevede sia una prova di reading che una prova di listening.

La prova di listening è una novità all’interno di un esame che per ora valutava solo la produzione e la comprensione scritta. Questo aspetto potrebbe incitare noi insegnanti di inglese a concentrarci sin dal primo anno su questa abilità, finora forse un po’ negletta.

La prova di reading si inserisce in quella che è già una routine dell’esame di Stato di terza media, sia scritto che orale, eccezion fatta per due elementi: il primo riguarda la tipologia di esercizi e il secondo la scelta dei contenuti dei testi proposti.

Per quanto riguarda la tipologia degli esercizi, le prove-esempio che ho potuto analizzare presentano un tipo di esercizio a risposta chiusa: V/F o multiple choice, ma anche l’esercizio che prevede le WH questions implica una sola risposta esatta. Un esercizio a risposta chiusa consente una valutazione “oggettiva” e mirata su una competenza; invece gli esercizi tradizionali, che richiedevano spesso una parafrasi del test, focalizzavano l’attenzione dello studente anche sulla produzione della lingua scritta. Il test dell’Invalsi dovrebbe agevolare, quindi, la concentrazione dell’alunno, che potrà dedicarsi ad un solo compito, ossia quello di comprendere il testo. Il tipo di comprensione è molto analitico e localizzato, in quanto l’alunno deve comprendere la veridicità di alcune frasi attraverso un processo di inferenza, il che sicuramente potrebbe favorire una riflessione linguistica.

Aspetti linguistici e contenuti (inter)disciplinari

Un altro elemento che contraddistingue la prova reading dell’Invalsi è la tipologia del contenuto. Le tipologie-esempio che ho potuto analizzare finora riguardano dei testi in cui, mi sembra, l’aspetto linguistico e discorsivo prevale sulla scelta del contenuto. Ho notato prove di reading abbastanza brevi, basate sulla lettura di curriculum vitae, insegne, istruzioni e indicazioni oppure delle e-mail a carattere famigliare. Insomma tutte quelle prove che possiamo aspettarci da un ente certificatore. Al contrario, finora nell’esame di terza media si è puntato soprattutto su testi che riprendono argomenti di storia, geografia, e a volte anche di letteratura, che i ragazzi affrontano con gli altri docenti: il che implica non solo un’attenzione sull’aspetto linguistico, ma anche su una riflessione interdisciplinare. Infatti in questi ultimi anni l’esame prevedeva domande che incoraggiavano risposte personali da parte dello studente. Attualmente, a partire dalla fine della seconda media, lo studio delle due lingue diventa sempre di più uno studio che mira ad uno sviluppo della coscienza critica e interculturale dell’alunno. Ora, mi sembra che questa dimensione venga persa in una prova di tipo Invalsi.

I criteri di valutazione

Sempre considerando l’ipotesi che la prova Invalsi venga ad aggiungersi alle prove esistenti, essa andrebbe ad arricchire, tempo permettendo, le modalità di svolgimento dell’esame, oltre ad incoraggiare l’autonomia dell’apprendente.

Prendiamo in esame il punto di vista valutativo. Come abbiamo visto, un’unica prova Invalsi certifica sia il raggiungimento del livello A1 che il raggiungimento del livello A2. Possiamo ipotizzare che la maggior parte dei ragazzi saranno in grado di raggiungere, in terza media, almeno il livello A1, il che servirebbe a dare a tutti la coscienza di aver raggiunto comunque un traguardo durante il proprio percorso scolastico, a differenza, per esempio, del voto “5 su 10”, che esprime il mancato raggiungimento di un obiettivo. Visto da quest’ottica, questo tipo di valutazione favorirebbe una didattica dell’inclusione. Detto questo, la valutazione della prova Invalsi potrebbe essere percepita come in contraddizione con quella dell’esame di Stato, le cui valutazioni vanno dall’1 al 10 o dal “non sufficiente” all’“ottimo”.

Prepararsi alle prove

Da un punto di vista delle attività di preparazione alla prova, queste attività possono essere svolte a casa in modo autonomo, sempre che l’allievo possieda un tablet o un computer, e un ambiente favorevole all’apprendimento. L’alunno svolge l’esercizio e l’insegnante può controllare il suo impegno nell’attività e i punti che necessitano di un approfondimento; l’alunno, dal canto suo, può rendersi conto da solo di qual è il livello di competenza raggiunto. Quest’ultima opportunità contribuirebbe a sviluppare alcune capacità di autovalutazione.

L’impatto del “format” Invalsi sulla didattica

Ma cosa potrebbe succedere se l’obiettivo della prova Invalsi fosse quello di sostituirsi a una delle prove dell’esame di Stato, o addirittura di rimpiazzarle?

Sappiamo bene che il destino di ogni azione didattica, anche la più innovativa, è quello di stabilizzarsi nella pratica attraverso delle routine consolidate. Ciò è invitabile, perché il fattore tempo è fondamentale nell’azione dell’insegnante: routinizzare un’azione equivale non solo a realizzarla nel modo migliore, ma anche a evitare inutili sprechi di tempo. Ora, nell’ipotesi delle prove Invalsi come forma di verifica prevalente, questa spinta alla routinizzazione potrebbe portare a somministrare durante gli anni scolastici una serie di attività che ricalcano le prove Invalsi, prove in cui prevalgono la risposta chiusa, l’aspetto linguistico piuttosto che il contenuto culturale, il risultato più che il processo di apprendimento. Se la prova Invalsi dovesse sostituire anche la prova orale dell’esame di Stato, questo equivarrebbe a dire che non ci sarebbe più alcuna esigenza di preparare i ragazzi alla prova pluridisciplinare, ossia di incoraggiarli a mettere in relazione la disciplina “lingua inglese” con le altre discipline studiate durante l’anno.

Promuovere abilità di ascolto e di comprensione… E i processi di apprendimento?

Sulla base di queste semplici osservazioni e di queste prime ipotesi, sembra evidente che un tipo di prova Invalsi potrebbe arricchire il nostro attuale esame di Stato, soprattutto perché darebbe l’occasione di lavorare maggiormente sulla competenza di ascolto, e solleciterebbe l’alunno ad una lettura analitica del testo. Detto questo, la stessa prova appesantirebbe un anno già ricco di scadenze, come lo è il terzo anno di scuola media. È inoltre necessario sottolineare che questo tipo di prova può valutare solo un risultato finale, e non certo tutto il processo di apprendimento di uno studente adolescente. Tale processo di apprendimento viene incoraggiato, almeno nella scuola media, da una serie di attività come la visione di film, attività teatrali e di drammatizzazione, attività di tipo ludico e pratiche.

Vorrei anche mettere in evidenza il fatto che far svolgere un esame Invalsi solo per una lingua, l’inglese, crea una differenza di status tra le lingue apprese da un alunno a scuola, il che renderebbe ancora più profonda la distanza esistente tra lo studio delle lingue vive, che già così vengono affrontate separatamente e per compartimenti stagni.

Rischio di una sottovalutazione delle competenze interculturali

Il timore maggiore è che questa prova prenda talmente tanto spazio, come mi sembra stia succedendo quest’anno, da far dimenticare la prova orale e pluridisciplinare, per la preparazione della quale i ragazzi vengono sollecitati a sviluppare delle competenze di messa in relazione tra diverse discipline, diverse epoche, diverse realtà geografiche e diversi generi discorsivi: insomma a sviluppare delle competenze interculturali. In altre parole, il timore è che le attività realizzate in classe valorizzeranno più la dimensione puramente linguistica che quella educativa dell’insegnamento delle lingue, tradendo in questo modo uno dei migliori aspetti della tradizione educativa in Italia.