La scuola presa a sberle

I particolari in cronaca (nera)

Dopo i due cazzotti ben assestati da un padre (prima pausa di riflessione sulla potestà genitoriale) all’insegnante della scuola Abba-Alighieri di Palermo due settimane addietro, dopo le aggressioni dei genitori e senza soluzione di continuità, si è aperto il secondo fronte degli episodi di bullismo nei confronti dei docenti, sbeffeggiati, derisi e aggrediti dai propri studenti (“prof. ti faccio sciogliere nell’acido”). Fin qui la cronaca.

Il climax dei commenti si è arricchito di interventi, spostandosi via via  dalla denuncia dell’oltraggio alla scuola (Massimo Recalcati, La Repubblica, 8 aprile)  all’indignazione apocalittica e definitiva per l’irrilevanza della scuola e degli insegnanti (Ernesto Galli Della Loggia, Il Corriere, 25 aprile), passando per un’Amaca di Michele Serra (20 aprile), una inconsueta contro-Amaca (22 aprile) e un commento di Maria Pia Veladiano (La Repubblica, 24 aprile).

La fragilità del patto educativo

Quindi, mentre gli intellettuali cercavano di tenere il punto sul tramonto di quel barlume di idea di corresponsabilità educativa coltivata dai Patti e dagli Statuti, la realtà ha subito una ulteriore accelerazione, le ragioni della difficile convivenza fra la scuola e la famiglia sono deragliate nel campo della cronaca nera, e l’“oltraggio” alla scuola ha raggiunto punte di temporaneo allarme sociale.

Sottolineo “temporaneo” poiché sono quasi certo che, passato il momento dell’emozione, ma spero di sbagliarmi, la sequenza delle aggressioni a docenti e dirigenti delle scuole italiane verrà derubricata all’episodicità dei fatti di cronaca nera. Che costituiscono una delle due leve attraverso le quali si compie una sorta di manovra a tenaglia, che insidia la fragilità del patto educativo: perché  l’aggressione fisica è la manifestazione più diretta, meno raffinata, della crescita esponenziale, speculare e tipica di determinati contesti (di censo, si direbbe con Michele Serra), del contenzioso giuridico-amministrativo, alimentato dai tanti genitori che scrivono al dirigente, e non è una facezia aneddotica, su carta intestata del proprio studio professionale non per dialogare, ma per intimorire; mentre sempre più frequente diventa il “ricorso” nel senso giuridico del termine, contro il risultato della valutazione scolastica, specie gli esiti dell’esame di Stato sia del I che del II ciclo.

Sotto la punta dell’iceberg

Intanto, sotto la punta dell’iceberg dei titoli di giornali, occorre dire con forza che gli episodi di scontro quotidiano fra i due attori del discorso educativo, la famiglia e la scuola, che vengono mediati e sedati, sono innumerevoli e non trascendono nella cronaca nera, poiché il più delle volte vengono ricomposti dagli insegnanti e dai presidi, nel quotidiano sforzo di educare e accompagnare la crescita dei propri studenti.

Che cosa ha trasformato quella creatura centauro che era il genitore-elicottero (oggi si direbbe drone), che sorvolava e vigilava con una certa discrezione sulla vita scolastica e sulla formazione dei propri figli, nel caccia intercettore che interviene quando all’orizzonte si profila l’imprevisto o l’inciampo? Dove si infrange la sintonia fra insegnanti e genitori della e per la corresponsabilità educativa?

Una crisi di valori

Alcuni sintomi sono di sistema: lo sfaldamento sociale, che passa attraverso la sempre minore autorevolezza di ogni tipo di istituzione, non può che travolgere la scuola (negli anni ‘70 considerata uno dei luoghi deputati al controllo sociale in senso coercitivo-repressivo), oggi impegnata a dipanare il discorso educativo fondato sul padroneggiamento della conoscenza che si matura attraverso la disciplina (lo studio), mentre tutto intorno si svolge il tempo presente dell’edonismo, del tutto-subito e senza sforzo, anche nell’acquisizione della conoscenza.

Possiamo lasciare fuori dal portone al suono della campanella, il tutto subito e senza sforzo? Possiamo arginare il risentimento, il rancore, quando non la rabbia sociale, sentimenti sempre più diffusi del nostro presente?

Vista così, dal di dentro, la scuola è la fortezza Bastiani, e i Tartari sono alle porte, e non solo; la scuola, costretta sulla difensiva, inventa tutti gli “adempimenti borbonici” per evitare il contenzioso.

I tempi “lenti” della scuola

L’allontanamento fra scuola e società si misura anche rispetto al fatto che nel discorso educativo domina il tempo della lentezza, si coltiva e si cura l’insuccesso, l’incognita del non previsto, che è fondamentale per costruire la curiosità verso la conoscenza. La cultura edonistica del nostro presente vorrebbe, invece, un luogo formativo sempre accondiscendente e rassicurante nei confronti delle piccole sconfitte quotidiane, “un’autostrada spianata dove ogni ostacolo, ogni esperienza di frustrazione o di ingiustizia, dovrebbe essere rimossa”. In questo quadro il progetto educativo della scuola, impegnata nel formare e consolidare una persona competente, e che cerca di indirizzare la crescita verso una sempre più consapevole assunzione di autonomia e di responsabilità, che permetta nell’età adulta di gestire l’imprevisto (cioè il naturale andamento della vita quotidiana), è destinata al fallimento, con buona pace di tutta la didattica della competenza e dintorni.

Se viene meno il rispetto per la conoscenza “esperta”

Si consuma perciò una curiosa inversione:  l’azione educativa e formativa, che è rivolta a fornire gli strumenti per la crescita di una persona autonoma, sicura, perché attrezzata a confrontarsi con le situazioni-problema del nostro vivere quotidiano, la scuola dove si cura il “tempo dell’inciampo” in un ambiente-laboratorio, tutto sommato protetto, dove ci si allena a giocare la partita della vita, viene osteggiata proprio nel momento e nell’atto di creare quelle difese e quel vaccino contro gli inciampi della vita; contro di essa, nelle forme che sappiamo, si esplicita l’azione di contrasto dei genitori del “tutto-subito e senza sforzo”.

Nel frattempo la società post-industriale de “lo cerco su Google”, e della falsa democrazia della conoscenza, ha smarrito il rispetto per la competenza, e quindi il valore dell’insegnamento è alterato anche dal venir meno del rapporto “asimmetrico” con il docente, un tempo rispettato quale depositario di una conoscenza “esperta”, ritenuta fondativa per l’avvenire dei propri figli.

L’era della incompetenza

Si tratta di un fenomeno sociale diffuso (ne ha scritto Tom Nichols, La conoscenza e i suoi nemici. L’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia), che da un alto nutre il falso mito dei cittadini esperti in tutto (l’immunologo Burioni sostiene giustamente che la scienza non è democratica) e della democrazia della conoscenza esperta coltivata su internet, dall’altro ha generato un vero e proprio odio per la competenza che, secondo Michele Serra, accomuna le aggressioni ai medici negli ambulatori e quelle agli insegnanti nelle scuole.

Anche il professor Nichols, in una non cercata assonanza con le parole di Recalcati, nel raccontare l’età dell’ignoranza che pervade il presente della società americana, descrive l’arroganza infondata di chi si nutre dello sdegno sempre più “narcisistico”, di chi non riesce a sopportare neanche il minimo accenno di diseguaglianza di qualunque tipo, men che meno nel campo della conoscenza specialistica. Che si parli di problemi ambientali, chimica dei polimeri o vaccini, siamo tutti esperti “spiegatori” di qualcosa.

Come se ne esce?

L’irrilevanza del docente e la sua perdita di identità (per non parlare della crisi della figura professionale e pedagogica del preside), la progressiva erosione del valore aggiunto riconosciuto alla scuola (cultura) nel costruire le possibilità del successo di “mio figlio”, si nutrono anche di questa crescente considerazione sociale per l’incompetenza.

Siccome a questo punto dovrei chiudere, e vedere se c’è un senso all’orizzonte, ma la situazione è fluida e la società è liquida, propongo al lettore due conclusioni.

Apocalittica: mettiamo le telecamere nelle scuole; coltiviamo le competenze civiche e di cittadinanza facendo sempre più ricorso alle Procure dei minori;  e, infine, siamo solo agli esordi di una deriva all’americana: sino ad oggi entrano a scuola le pistole giocattolo… prima o poi entreranno quelle vere.

Resiliente: non possiamo non farci carico delle condizioni socio-culturali che abbiamo descritto e del disastro educativo del nostro tempo; è nel DNA della scuola resiliente. Con i BES abbiamo adottato il disagio; adottiamo il disagio delle famiglie, l’incapacità genitoriale che inficia la bellezza dell’atto educativo. Troveremo una via.

Ma, nel frattempo, la cronaca quotidiana ci induce al pessimismo…