Alternanza scuola lavoro, un passo di lato

Alternanza ed esame di stato: stop and go

Con la nota pubblicata il 24 aprile 2018 con prot. n. 7194 il Miur ha inteso fornire opportuni  chiarimenti in ordine alle attività svolte in alternanza scuola-lavoro (ASL) ed alla loro validità per l’ammissione all’esame di Stato 2018. Pur essendo previsto, dalla L. 107/2015, che gli studenti del triennio, di ogni tipologia di istruzione secondaria di II grado, dovessero svolgere le attività di Alternanza per 200 o 400 ore complessive, il successivo decreto 62/2017 ha stabilito che il nuovo assetto dell’Esame di Stato, conclusivo dei percorsi secondari di II grado, avesse inizio nell’anno scolastico 2018/19. La conseguenza naturale è che potranno essere ammessi, all’esame di quest’anno, anche le studentesse e gli studenti che non abbiano completato il numero minimo di ore di alternanza pari al 75% del monte ore complessivo.

Quindi, pur essendo a pieno regime, la norma che dispone l’obbligatorietà dell’Alternanza scuola lavoro, così come sancita dalla L. 107/2015, essa, nel decreto applicativo, non trova riscontro riguardo allo svolgimento di tali attività, intese quali requisito di ammissione per i candidati interni all’esame di Stato per l’anno scolastico 2017/2018.

Aspettare un altro anno, ma perché?

Un tale indugio, benché sorretto da una norma, rimane inspiegabile sul piano educativo, didattico e formativo. Infatti, non premia le scuole attive, impegnate nell’ASL e nella sua validità didattica, fin dal primo anno di vigore normativo, e riconosce, mediante una “pausa di riflessione” di un anno scolastico, una sorta di rivincita ai consigli di classe più recalcitranti.

Infatti, pur procedendo, nel “Documento del 15 maggio”, alla valutazione degli esiti delle suddette esperienze e della loro ricaduta sugli apprendimenti disciplinari e sul voto di comportamento, il Consiglio di classe dovrà limitarsi a prevedere che la Commissione di esame terrà conto anche delle eventuali esperienze condotte in alternanza scuola lavoro.

In questo anno, da considerare di passaggio, nel quale le esperienze di ASL potranno essere riconosciute solo quale elemento di valorizzazione del curriculum dell’allievo e, in alcun modo, elemento di penalizzazione nella valutazione, è fatta salva la annotazione delle esperienze compiute nel modello di certificazione allegato al diploma, tra gli “ulteriori elementi caratterizzanti il corso di studi seguito”.

Per i candidati esterni, è data facoltà agli stessi di dichiarare e documentare – alla scuola alla quale sono stati assegnati e comunque entro l’inizio dell’esame preliminare – le eventuali esperienze di alternanza scuola lavoro o le attività ad esse assimilabili.

L’alternanza è già “dentro” l’esame di stato

Eppure, una lettura delle disposizioni contenute nell’O.M. 350 del 2 maggio scorso, relativa agli esami di Stato 2018, fornisce una visione più confortante in ordine alle attività di ASL ed al loro valore nel processo di costruzione delle competenze da apprezzare nella valutazione degli studenti candidati. Con riferimento al documento del Consiglio di classe, infatti, si specifica, dando per scontata l’attuazione dell’alternanza, che la certificazione attestante le competenze acquisite mediante la metodologia ASL deve essere svolta entro la data dello scrutinio di ammissione all’esame di Stato. La portata del cambiamento, nonostante un minimo di contraddizione normativa, è rinvenibile, quindi, già da quest’anno. Sempre nell’OM 350/18 si legge che i candidati dovranno presentare sollecitamente alla commissione di esame la tipologia del lavoro prescelto per dare inizio al colloquio come specificato dall’art. 5 c7 del DPR 323/98, specificando:

  1. titolo dell’argomento;
  2. esperienza di ricerca o di progetto;
  3. esperienza di alternanza scuola-lavoro, stage o tirocinio.

Per la terza prova scritta è ribadito altresì che la commissione debba tenere conto, ai fini dell’accertamento delle conoscenze, abilità e competenze, anche delle eventuali esperienze condotte in alternanza scuola lavoro, stage e tirocinio…

Questo lo stato dell’arte, ferma restando la disposizione che, a partire dall’anno scolastico 2018/2019, in seguito all’entrata in vigore del d.lgs. n. 62/2017, dispone lo svolgimento dell’attività di alternanza scuola lavoro quale requisito di ammissione agli esami di Stato conclusivi dei percorsi di studi di istruzione secondaria di secondo grado.

Alternanza “sportiva” non è fai da te

Ritornando alla nota ministeriale prot. n. 7194, è interessante notare che essa riporta le categorie di atleti di “Alto livello agonistico”, per i quali è accertata la riconducibilità delle attività sportive agonistiche praticate, con l’Ente abilitato al rilascio della documentazione attestante l’appartenenza, a quelle di alternanza scuola lavoro.

La lista, rinvenibile nel documento ministeriale, fa riferimento a società sportive di livello davvero elevato e di gruppi atletici di ambito anche olimpionico che, di fatto, impedisce qualsiasi tipo di speculazione mediante “ASL fai da te”, magari presso la locale bocciofila o presso la squadra parrocchiale, da parte di studenti riottosi e poco inclini alle nuove metodologie.

Sperando che la transizione non diventi regola

A prescindere dai risultati in termini governativi, nel recente documento denominato “Contratto di governo”, redatto dai rappresentanti delle forze politiche in lizza per nuove coalizioni, emergeva un’apposita sezione dedicata all’analisi (impietosa) del modello metodologico dell’alternanza. Infatti, pur definendo la metodologia un efficace strumento di formazione dello studente, si ipotizzava apertamente che essa fosse diventata un sistema inefficace, con discenti impegnati in attività che nulla hanno a che fare con l’apprendimento. Spingendosi oltre si opinava che “uno strumento così delicato che non preveda alcun controllo né sulla qualità delle attività svolte, né sull’attitudine che queste hanno con il ciclo di studi dello studente, non può che considerarsi dannoso.”

Nonostante la convinzione con la quale era affrontata la questione e nel rispetto delle idee, che comunque rappresentano una buona parte di opinione pubblica, c’è, in quelle considerazioni, un evidente problema di interpretazione normativa e scientifica sul concetto di apprendimento.

È chiarito, infatti, dal DPR 13/2013 (che recepisce nell’ordinamento italiano le indicazioni europee in materia di certificazione delle competenze), che l’apprendimento, con il quale si raggiungono obiettivi esprimibili in termini di competenze, avviene, con la medesima dignità ed efficacia, sia nei contesti formali sia nei contesti non formali ed informali.

Ci sarebbe da capire quale concetto di apprendimento postulavano le sopra esposte considerazioni; rimane, altresì, da comprendere quanti docenti di scuola secondaria di secondo grado abbiano seguito seri e produttivi corsi di formazione sull’alternanza.

Ponendosi come modello metodologico di grande valore ed interesse che deve essere sostenuto su piani plurali e complessi, non sembrano profilarsi tempi migliori per l’ASL. Tra le possibilità che aleggiano, potrebbe trovare facile accoglimento una non opportuna “riforma della riforma” dell’alternanza.

Alternanza solo per attitudine?

Provando ad ipotizzare, ma non troppo, la sorte della “via italiana all’alternanza scuola-lavoro”, essa potrebbe virare verso nuove direzioni.

Il “contratto” riprendeva un’opinione, spesso condivisa dal comune senso pratico di chi, pur non addetto ai lavori, insiste sulla scarsa “attitudine” con il ciclo di studi di molte esperienze. In verità, questa visione tende a sminuire la possibilità che le esperienze di ASL siano un modello orientato a costruire competenze non solamente lavorative ma marcatamente sociali, relazionali, di vita e di apprendimento permanente. È facile ipotizzare che molti imprenditori, in grado di orientare le scelte della politica o di parte di essa, accettino più di buon grado il modello alternanza scuola lavoro come una sorta di addestramento, utile nei contesti tecnici e professionali e, quindi, esclusivamente votato verso attività coerenti con l’indirizzo di studio.

Ne discende che il medesimo orientamento sia propenso a rendere facoltativa l’alternanza nei licei, come frequentemente auspicato anche da alcuni esponenti della scuola, dell’università e della cultura che hanno definito queste attività una “perdita di tempo”, dimenticando la variegata e multiforme struttura dei licei italiani, caratterizzata da specifici percorsi, non tutti assimilabili al classico ed allo scientifico. Spiace constatare che il dibattito politico, come sempre molto propenso a speculare e questionare sulle controversie scolastiche, si stia orientando verso una concezione non del tutto aperta facendo prevalere visioni minimaliste e negative che potrebbero ridimensionare notevolmente le sorti della “via italiana all’alternanza scuola lavoro”.