Il “biologico” nelle mense scolastiche

Negli anni ‘80 le prime mense scolastiche biologiche

La prima mensa scolastica biologica italiana nasce nel 1986 a Cesena, comune di oltre 90mila abitanti, grazie ad una proficua collaborazione del Settore Pubblica Istruzione del Comune col Servizio Materno-Infantile dell’ASL. Nel giro di pochi anni tutte le mense del comune romagnolo, dai nidi alla scuola dell’obbligo, fornirono pasti con un largo impiego di alimenti biologici. E questo senza aumentare i costi di produzione e, di conseguenza, le tariffe poste a carico dell’utenza, sebbene a quei tempi gli alimenti biologici venissero prodotti in quantità ridotte e commercializzati a prezzi ben più alti rispetto a quelli dell’agricoltura convenzionale. La mossa che favorì il contenimento dei costi fu l’adozione di tabelle dietetiche e menù formulati secondo l’orientamento dell’alimentazione mediterranea, in linea con le raccomandazioni dell’Istituto Nazionale della Nutrizione. Ciò consentì una riduzione significativa del consumo delle carni e una presenza maggiore dei legumi, dei cereali, di frutta e verdure fresche di stagione, consentendo consistenti economie nella produzione dei pasti.

Il problema dei costi oggi

L’affermarsi delle mense biologiche a scuola coincise, a Cesena come poi in altre città, con la diffusione del “modello dell’alimentazione mediterranea”. Ma oggi la stragrande maggioranza delle mense scolastiche adotta già da tempo la “dieta mediterranea”, e l’introduzione ex novo di alimenti biologici nei menù comporta un aumento dei costi, anche se in misura minore rispetto al passato perché l’offerta del biologico è aumentata in modo esponenziale nel nostro Paese, che ha conquistato la palma di maggior produttore dell’Unione Europea. Seppur meno accentuato, il maggior costo resta comunque un problema da affrontare, specialmente in un contesto economico-sociale in cui tante famiglie faticano a fronteggiare le spese per la frequenza scolastica dei figli. Infatti nella maggior parte delle città sono aumentate le morosità nel pagamento delle rette per la refezione scolastica, e le richieste di importi più bassi per garantire la frequenza e il diritto allo studio.

Le indagini condotte nei comuni italiani rivelano come le tariffe applicate siano le più diverse, e vi siano differenze rilevanti nella copertura dei costi della mensa con le contribuzioni dell’utenza. Vi sono comuni che con le tariffe pagate dalle famiglie coprono il 90% dei costi ed altri che faticano a raggiungere il 35%. Diversi sono i fattori, legati ai contesti politico-amministrativi e alle caratteristiche socio-economiche dei territori, che determinano questa accentuata diversità nei costi e nelle relative coperture. E non sempre è possibile stabilire una correlazione positiva tra tariffe elevate e buona qualità del servizio di mensa.  Di certo una tradizione di accorta gestione del sistema scolastico locale comporta anche una migliore qualificazione delle mense per quel che riguarda non solo i menù, ma anche le condizioni ambientali ed organizzative in cui i pasti vengono consumati.

Si mantiene alto il gradimento per le mense biologiche

Ma, a parte i costi, le mense scolastiche biologiche mantengono un livello alto di consensi presso le famiglie e gli addetti ai lavori, anche sotto la spinta di raccomandazioni ed indirizzi provenienti dall’Unione Europea, di direttive assunte dalle Regioni e di norme nazionali a favore della green economy e della valorizzazione del biologico nella ristorazione pubblica. Da più parti viene riconosciuta alle produzioni biologiche l’adozione delle migliori pratiche ambientali, di tutela della biodiversità e di salvaguardia delle risorse naturali, nonché la funzione sociale di fornire beni pubblici che si prendono cura dell’ambiente, del benessere degli animali, e promuovono lo sviluppo rurale. Le mense biologiche si sono conquistate una reputazione che pare non venga scalfita dalle prese di posizione di alcuni settori della comunità scientifica, che mettono in discussione l’affidabilità dei controlli nell’agricoltura biologica e le migliori proprietà nutrizionali dichiarate per le coltivazioni organiche. Le mense biologiche continuano ad essere viste nelle scuole come quelle che propongono gli alimenti più sicuri, sostenibili e sani, che possono contribuire ad una migliore educazione alimentare delle giovani generazioni, per il loro orientamento verso un’alimentazione ecosostenibile che promuove la biodiversità locale.

Sono nate le mense scolastiche col marchio “bio”

La questione dei costi e della promozione dei prodotti biologici nell’educazione scolastica degli alunni italiani è stata finalmente affrontata dal d.m. 18 dicembre 2017, che stabilisce la certificazione per le mense biologiche, ne sostiene la diffusione assicurando finanziamenti per contenerne il costo a carico dell’utenza, per favorire il consumo degli alimenti biologici e realizzare  iniziative di informazione e promozione nelle scuole, di accompagnamento al servizio di refezione, e per ridurre lo spreco alimentare. Al fine di raggiungere le suddette finalità, il decreto mette a disposizione dei comuni e dei privati, con mense scolastiche che saranno classificate biologiche, un fondo di 4 milioni per il 2017 e di 10 milioni per il 2018 e il 2019.

Cosa stabilisce il decreto

Il decreto, che sarà in vigore dai primi di luglio e quindi applicato dal prossimo anno scolastico, definisce i requisiti e le specifiche tecniche che le mense scolastiche debbono soddisfare per essere classificate come “biologiche”. A questo proposito vengono stabiliti due marchi: quello base “Argento” e quello d’eccellenza “Oro”.

La mensa scolastica, al fine della qualificazione come biologica, è tenuta a rispettare le seguenti percentuali minime di utilizzo e di peso per singola tipologia di prodotto, con riferimento alle materie prime di origine biologica:

  • frutta, ortaggi, legumi, prodotti trasformati di origine vegetale (esclusi i succhi di frutta), pane e prodotti da forno, pasta, riso, farine, cereali e derivati, olio extravergine d’oliva: il 70% per il marchio Argento oppure il 90% per il marchio Oro;
  • uova, yogurt e succhi di frutta: il 100% per entrambi i marchi;
  • prodotti lattiero-caseari (esclusi gli yogurt), carne, pesce da acquacoltura: il 30% per il marchio Argento oppure il 50% per quello Oro.

Le deroghe eventualmente previste, in relazione alle percentuali di cui sopra, non possono essere superiori al 20% per il marchio Argento e al 10% per il marchio Oro, e devono essere adeguatamente motivate. Non mancano poi, relativamente alla programmazione degli acquisti, alcuni criteri di premialità nella scelta dei fornitori, che riguardano il contrasto allo spreco alimentare e l’utilizzo di alimenti prodotti vicino alle sedi scolastiche.

Risorse finanziarie a disposizione

Nei mesi scorsi sono stati pubblicati il d.m. 22 febbraio 2018 e il decreto direttoriale 24 maggio 2018, che stabiliscono, rispettivamente, i criteri di riparto dei fondi destinati per le finalità stabilite nel d.m. 18 dicembre 2017 e le modalità per la presentazione dell’istanza di iscrizione da parte dei comuni e dei privati che gestiscono le mense scolastiche, ai fini dell’ottenimento del marchio e per fruire, attraverso le rispettive Regioni, dei finanziamenti previsti.

Un provvedimento da verificare nei suoi esiti

Il decreto ci consente di andare alla conta delle mense biologiche presenti nelle scuole. Ad oggi i dati disponibili sulla loro presenza risultano incerti e, soprattutto, non si sa bene in che misura sia presente il biologico nelle mense considerate. Una volta completata questa prima tornata di iscrizioni all’elenco delle “mense scolastiche biologiche” e alla richiesta dei relativi finanziamenti, avremo finalmente un quadro più chiaro della situazione. E potremo dare risposta ad alcuni interrogativi.

Una delle domande che ci si pone riguarda la presenza, nell’elenco ministeriale delle mense biologiche, di realtà cittadine di medio-grandi dimensioni, che mettono a tavola diverse migliaia di studenti e che, per questo, si rivelano decisive per dare impulso alle produzioni biologiche ed aumentare in modo significativo il numero degli alunni e delle famiglie coinvolte. Un fattore che potrebbe limitarne la partecipazione è dato dalle percentuali di utilizzo di alcuni alimenti, ad esempio le carni e l’olio extravergine d’oliva, che da più parti vengono giudicate un po’ troppo elevate rispetto a ciò che può offrire il mercato, anche in termini di costo. Questo potrebbe costituire un impedimento per quelle mense che, pur rispettando le percentuali di utilizzo stabilite dal decreto per l’intera gamma delle tipologie di prodotto, non riescono ad ottenere il marchio, in quanto per le carni, ad esempio, utilizzano, operando una scelta di qualità, produzioni certificate Dop o Igp ma non biologiche.

Per ultimo c’è da valutare se la poca pubblicità che è stata data al decreto, e i tempi oramai molto ristretti per provvedere all’iscrizione, ostacoleranno in qualche modo la partecipazione alla procedura per la classificazione come mensa biologica.

Per sciogliere questi interrogativi aspettiamo di conoscere i dati che dovranno essere il frutto di una verifica attenta di quello che sarà il primo impatto del decreto, per poter prendere le misure su come procedere in un campo che ha bisogno di regole, capaci soprattutto di favorire la diffusione delle mense biologiche nelle scuole italiane.