Formazione docenti: terza annualità

Come utilizzare le risorse al meglio

I fondi ci sono ancora

Anche per il prossimo anno tutte le scuole possono disporre di buone risorse per lo sviluppo professionale del personale docente. Sappiamo che è stata la legge 107/2015 (comma 124) a rilanciare il principio della formazione in servizio come azione “obbligatoria, permanente e strutturale”, e ad imporre alle istituzioni scolastiche di inserire nel PTOF le proposte formative per tutto il personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario (comma 12). Sappiamo anche che il comma 125 destina alla formazione 40 milioni di euro annui, cui potranno anche aggiungersi fondi PON ad hoc.

Nella tabella allegata alla nota 19 novembre 2018, prot. n. 50912 si conferma in linea di massima questa indicazione. La nuova ripartizione regionale dei fondi per l’anno 2018-2019 prevede infatti: per i docenti in generale (tab. 1) € 29.678.555,00; per i docenti neo assunti (tab. 2) € 1.138.750,00 e per i docenti specializzati sul sostegno (tab. 3) € 926.199,00, per un totale di € 31.743.504.

Ma la formazione è ancora obbligatoria?

La nota ministeriale fa riferimento alle recenti disposizioni di legge (Legge 107/2015, comma 124; DM 797/2016), ma le collega con lo stato giuridico del personale (T.U. 297/1994) e con il contratto di lavoro[1]. C’è quindi una triplicità di fonti non ancora portata a sintesi.

Il contratto, per esempio, non modifica di fatto la situazione previgente, né interviene sui tempi già definiti nel rapporto di lavoro. La formazione in servizio resta collegata al concetto di diritto-dovere del singolo soggetto, che potrebbe non coincidere con quello di “obbligo”.

In attesa di una ridefinizione dello stato giuridico del docente, che potrebbe anche quantificare il “tempo” per la formazione, è importante trovare collegamenti di senso tra le tre fonti.

C’è un profilo del docente (ribadito dall’art. 27 del contratto), c’è il richiamo alla sua deontologia. Ci sono soprattutto gli impegni collegiali attinenti alla stesura del PTOF: il piano è elaborato dal collegio dei docenti sulla base degli indirizzi per le attività della scuola e delle scelte di gestione e di amministrazione definiti dal dirigente scolastico (comma 14, legge 107/2015). Né va dimenticato che il PTOF deve contenere “anche la programmazione delle attività formative” (comma 12, legge 107/2015). Il collegio dei docenti rappresenta quindi l’attore protagonista e il primo responsabile delle scelte formative. È nella comunità professionale che si decidono le tipologie di formazione e (al momento) anche il tempo da dedicare ad una o più unità formative.

Una formazione più “attrattiva”

La questione tuttavia dev’essere riaffrontata cercando strategie più innovative ed efficaci. Non è funzionale per la soluzione del problema rinnovellare il mito del “diritto-dovere” di mazziniana memoria, quanto piuttosto trovare nuovi sistemi per rendere la formazione più “attrattiva” e “conveniente”, non solo per la scuola ma anche per gli interessi specifici di ogni docente. Un esempio potrebbe essere l’inserimento di percorsi formativi all’interno di nuovi profili professionali, che diano accesso per esempio a incentivi o a carriere differenziate.

A tale proposito è utile rileggere il documento di lavoro “Sviluppo professionale e qualità della formazione in servizio”, reso pubblico nel sito del Miur nell’aprile 2018. È un documento, segnalato nel punto 4 della nota, che è stato elaborato da tre gruppi di esperti operanti presso il MIUR. Contiene indicazioni sui temi della formazione in servizio. Tre sono i filoni di ricerca:

  1. standard di qualità delle iniziative formative;
  1. standard professionali dei docenti;
  1. documentazione a corredo della formazione in servizio.

Si tratta di tre percorsi che potrebbero aprire la strada ad ulteriori scelte non solo per migliorare la qualità della formazione, ma anche per ridefinire e condividere nella stessa “comunità educante”[2] nuovi standard professionali. Il documento ipotizza infatti 5 aree di professionalità: cultura; didattica; organizzazione; istituzione/comunità; cura della professione. Per ogni area vengono previsti tre livelli di progressione. Le 5 aree sono poi articolate in standard (12 in tutto) e ogni standard è definito attraverso una serie di indicatori che, dando luogo a specifici descrittori, vanno a caratterizzare i tre livelli di progressione.

La formazione per il sostegno verso crediti formativi utili

Nell’anno scolastico 2018-2019 sono stati attivati 141.412 posti di sostegno, di cui 41.332 in deroga (su un totale di 822.723)[3]. Ad essi è destinato quasi un milione di euro (vedi tab. 3), calcolato sul numero di docenti di ruolo.

Tuttavia nel paragrafo 7 della nota si dice giustamente che “è opportuno offrire (…) attività di formazione [anche] ai docenti sprovvisti di titolo di specializzazione, assegnati alle classi su posti di sostegno”.

È un’indicazione di buon senso. Va tuttavia considerato che quelli senza titolo sono generalmente i docenti che hanno un incarico a tempo determinato (annuale o anche meno). Ed è a questa categoria che la formazione dovrebbe prioritariamente rivolgersi.

Attualmente riuscire a specializzarsi costituisce un percorso assai lungo e non privo di ostacoli. Sarebbe opportuno ripensarlo in termini di maggiore concretezza. Si potrebbe cominciare, per esempio, incentivando i docenti senza titolo a partecipare a moduli formativi specifici, fornendo garanzie di capitalizzazione degli stessi percorsi. Se ogni modulo comporta l’acquisizione di uno o più crediti, potrebbe diventare parte integrante di un iter formativo progressivo, che conduca direttamente all’acquisizione del titolo di specializzazione, e che comunque rappresenti anche punteggio da utilizzare nelle diverse graduatorie.

La qualità della formazione

È pur vero che un bilancio per essere attendibile ha bisogno di un tempo congruo. Il Piano di formazione nazionale ha una durata triennale (2016-2019), e forse è giusto aspettare che si concluda il triennio prima di fare il punto sul suo andamento. La piattaforma SOFIA consente intanto di disporre di informazioni quantitative: servono per cogliere le tendenze in atto, i bisogni formativi ricorrenti e l’apporto dei diversi soggetti responsabili della governance.

Anche in assenza di dati qualitativi, la nota ministeriale accentua alcuni aspetti volti a migliorare la qualità della formazione. Lo fa considerando, probabilmente, alcuni “rumors” ed evidenze empiriche che provengono direttamente dai soggetti interessati. La nota raccomanda di:

  • tener conto dei bisogni formativi dei docenti, ma a partire dai saperi disciplinari. Vanno potenziati gli strumenti cognitivi di base che permettono di essere in sintonia con i nuovi scenari della scuola e della società, e soprattutto le competenze linguistiche;
  • valorizzare le scuole che esprimono un carattere innovativo. Per esempio: propensione alla ricerca e allo scambio professionale; attenzione all’innovazione didattica (focus su: osservazione, riflessione, confronto).

Poi ci sono anche le questioni organizzative. Non sono semplici. Come fare a tenere insieme i bisogni professionali dei docenti, quelli di scuola e quelli di ambito? Forse bisognerà rafforzare la governance territoriale. Forse bisogna accentuare anche l’attenzione su competenze, esperienze e modelli formativi che vengono proposti alle scuole da università, enti accreditati, soggetti di varia provenienza.

La questione tempo

L’obiettivo di tutti è quello di non disperdere le risorse destinate alla formazione, ed impegnarsi a realizzare progetti che abbiano effetti reali. Poter contare su risorse più consistenti non è tuttavia garanzia di una buona formazione.

La prima difficoltà risiede nella realizzazione dei progetti formativi entro i tempi tecnici dettati dai bisogni della rendicontazione amministrativa. I ritmi della scuola sono strutturalmente lenti. Per ripensare alla professionalità, mettere in campo processi innovativi, riflettere sulla ricaduta, è necessario avere a disposizione tempi più distesi.

Anche per la seconda annualità i corsi sono partiti assai in ritardo. Le scuole non ce la fanno ancora a diluirli nell’arco di tutto l’anno scolastico, o comunque all’interno di un tempo congruo. Essi continuano ad essere concentrati in pochi mesi. Si è costretti molto spesso a rinunciare alla fase di confronto nella comunità professionale, che costituisce invece l’elemento più innovativo di tutta l’azione formativa.

Il tempo è una delle variabili che possono influire in maniera notevole nel migliorare la qualità della formazione. Si tratta di studiare la possibilità di far dialogare le azioni amministrative di governo con le esigenze reali delle scuole, quindi: è possibile rivedere le regole contabili e amministrative? Magari biennalizzare l’iter procedurale? Oppure trovare il sistema per far ricadere il corso su più esercizi finanziari?

La formazione in rete e le domande delle scuole

Quali domande si possono fare agli insegnanti per capire se il percorso formativo è stato veramente utile? Non basta chiedere se il relatore è stato coinvolgente, se è riuscito a chiarire qualche dubbio… Chi è chiamato a governare il sistema deve rendersi conto dei meccanismi che collegano la formazione di rete con la ricaduta sul miglioramento della didattica nell’istituzione di appartenenza, e soprattutto sugli esiti formativi degli studenti.

Ad un dirigente scolastico è importante chiedere, in sede di valutazione dell’azione dirigenziale, quale peso abbia assegnato alla cura professionale dei docenti, tenendo presenti tutte le altre incombenze cui deve far fronte. Bisogna capire se tale responsabilità è oggetto di delega in bianco o se invece costituisce un punto di attenzione importante.

Non esiste un automatismo per capire il rapporto fra formazione e miglioramento, né ci sono strumenti pronti all’uso che garantiscano un repentino accertamento. È importante che, a livello nazionale, ci siano segnali che testimonino l’intenzione di avviare un serio percorso di ricerca.

Se non si comprende bene quale ricaduta ha avuto la formazione, se non si verifica in che misura l’investimento va ad influire realmente sui processi di miglioramento, diventa vano continuare a destinare risorse a questo settore. Ma c’è anche un rischio maggiore, quello che si possano dismettere (o comunque diminuire) gli investimenti solo a fronte di qualche impressione di superficie, che può diventare virale se veicolata dai social, o peggio ancora da un’idea (magari preconcetta) di qualche influente stakeholder.

Migliorare la governance

Dobbiamo partire da dati certi per trovare soluzioni efficaci. Bisogna prendere atto che l’idea di rete ha quasi 20 anni. Abbiamo incominciato a parlarne con il DPR 275/1999. La legge 107/2015 (commi 70, 71, 72) riassume e rilancia le diverse istanze che ne hanno connotato la storia: accordi, rappresentanze, innovazione, diffusione di buone pratiche ecc.

Malgrado ciò sussistono ancora difficoltà reali a rendere proficui i lavori di rete. C’è una debolezza giuridica che alcuni sindacati evidenziano per rivendicare il diritto di ogni scuola ad avere proprie risorse per la formazione. Ma siamo sicuri di migliorare la qualità dei percorsi formativi e la ricaduta sugli studenti, se si destinano 3.000 euro ad ogni scuola? Bisogna evitare che una percezione di disagio veicoli una facile soluzione: comporterebbe inevitabilmente l’insorgere di altri problemi.

Non va tuttavia ignorata una certa confusione che permane nelle scuole-polo rispetto ai propri compiti e responsabilità. Alcune, per esempio, mescolano le azioni amministrative e di supporto con le azioni organizzative e di indirizzo, facendosi carico di entrambe.

Resta evidente e diffuso il problema di portare a sintesi, con offerte adeguate, le domande assai differenti tra scuola e scuola e tra tipologie di insegnanti. Si possono cambiare alcune procedure; si possono assegnare risorse in parte alle scuole, in parte alle reti; si può indagare, per esempio, se ci sono tematiche o modelli formativi più efficaci se effettuati in rete o nelle singole istituzioni scolastiche; si possono accentuare (e/o ridefinire) alcune responsabilità… ma partendo da riflessioni ampie, solide e condivise, soprattutto dopo un buon monitoraggio qualitativo.

Il rischio della formazione a basso costo

I formatori sono in genere reclutati con avvisi pubblici o anche, in caso di mancata risposta, per chiamata diretta, con affidamento ad hoc per acclarata competenza. Ovviamente le competenze devono essere quelle necessarie a dare risposte alle esigenze espresse dalle scuole.

Tuttavia le scuole fanno fatica a trovare i formatori. Una prima ragione risiede nel fatto che le attività formative sono tutte concentrate nello stesso periodo. Ma c’è anche una seconda ragione, collegata ai compensi assai poco attrattivi, definiti dai parametri ministeriali (D.I. 326/1995). Il costo lordo di un’ora di docenza è 51,63 euro, quello di un’ora di tutoraggio è di 25,82 euro. È chiaro che una scelta di tale natura non incoraggia i professionisti seri a mettersi a disposizione.

A volte le scuole-polo cercano di servirsi dei diversi dispositivi amministrativo-contabili, pur previsti dal D.I. 326 cit.: riconoscere un tot di tempo per la raccolta del materiale informativo, un tot la preparazione delle lezioni, un tot per la progettazione didattica… Ciò avviene in genere laddove i dirigenti si prendono direttamente cura della formazione, orientando anche il personale amministrativo. Ma perché le scuole devono essere costrette ad utilizzare strade impervie? Perché non aggiornare invece i parametri e normalizzare i compensi?

Formazione interna e comunità di pratiche

Ciò vale anche per l’uso di risorse interne, che costituisce uno degli aspetti più significativi per la crescita della comunità professionale, ben messa in evidenza nelle diverse note ministeriali.

Va ricordato, tuttavia, che la valorizzazione di formatori interni implica non solo che la scuola li abbia a disposizione, ma che li sappia anche riconoscere. Implica che questi siano poi disponibili a mettersi alla prova, che abbiano una buona capacità di coinvolgere e di influenzare i colleghi, che sappiano stare dentro percorsi ben codificati, e soprattutto che siano anche disposti ad essere valutati.

Il dirigente che riesce ad attivare tali meccanismi ha già raggiunto un grande risultato: ha costruito le condizione per potenziare la comunità di pratiche, per valorizzare la professionalità e per farla crescere.

—–

[1] CCNL 2016-2018 firmato il 19 aprile 2018.

[2] Termine utilizzato nel contratto di lavoro 2016-2018 (comma 24).

[3] Fonte MIUR: Focus “Principali dati della scuola – Avvio Anno Scolastico 2018/2019”, settembre 2018.