Invalsi: che succede adesso?

Rumors attorno al destino dell’Invalsi

Semplificazione, accorpamento, ridimensionamento, soppressione: un climax che in questi giorni gli organi di stampa associano all’Invalsi, Istituto Nazionale di Valutazione del sistema scolastico italiano. Sembra passata un’era politica (e forse lo è) da quando, giusto 7 anni addietro (era il 17 novembre 2011), l’Invalsi faceva capolino nel discorso di insediamento del premier Mario Monti, all’interno di un passaggio che riguardava la necessità di sviluppare e valorizzare il capitale umano del Paese.

Le ragioni delle scelte dell’attuale Governo che interesseranno l’Istituto e, di contro, le perplessità del mondo accademico e della ricerca, sono state illustrate dalla stampa nazionale (Corrado Zunino e Chiara Saraceno su La Repubblica del 14 e 15 dicembre) in maniera assai netta.

L’Invalsi nell’immaginario collettivo

Se, come ha notato la Saraceno, l’Invalsi non ha goduto mai di un grande favore fra i docenti, per la resistenza ad una verifica di ciò che molti ritengono insindacabile e inverificabile come appunto il processo di insegnamento/apprendimento, di contro occorre ribadire  che le prove per la valutazione degli apprendimenti degli studenti, per loro stesso statuto, non sono nate per verificare direttamente “l’insondabilità  noumenica” di cui sopra, ma come uno strumento di lettura del posizionamento degli studenti rispetto a livelli comuni di apprendimento. Che poi in realtà il timore della valutazione dei docenti è un falso problema, non essendo previsto nel sistema di valutazione della scuola italiana, mentre riguarda, oltre agli studenti, anche  le scuole e la dirigenza scolastica.

Nell’immaginario collettivo di migliaia di docenti rimane semmai il ricordo di uno dei peccati originali più letali per l’immagine dell’Invalsi, i lunghi e sfiancanti pomeriggi passati a caricare risposte da parte di volenterosi insegnanti: un’attività che però oggi è quasi un ricordo, con la somministrazione delle prove in modalità CBT.

Non solo test e punteggi: un indicatore sull’equità del sistema educativo

È vero anche che per molti docenti, sin da subito, la forma delle prove è risultata spiazzante, assai centrata su un utilizzo del sapere in situazione concreta (anche di fronte alla comprensione testuale); è vero poi che “il termometro”, a forza di ripetere che la febbre era particolarmente alta in alcune regioni del Paese e non accennava a diminuire, ha finito per risultare assai impopolare. A forza di segnare stabilmente il rosso, lo strumento ha finito per essere identificato da molti con la causa, e non con una lettura degli effetti di fenomeni complessi. Solo negli ultimi anni i risultati sempre assai critici delle regioni del Sud sono stati comparati con maggiore chiarezza ed incisività con il valore aggiunto prodotto dalle scuole che operano in contesti socio-economico-culturali più svantaggiati, allargando così l’orizzonte di senso del dato in sé. Quest’ultimo invece, specie in relazione alla lettura della disuguaglianza fra aree di uno stesso territorio/contesto o fra classi della medesima istituzione scolastica, molto può dire ai decisori politici, come ai dirigenti scolastici stessi, restituendo un prezioso indicatore come quello della varianza fra classi, aree territoriali o scuole.

Il dialogo tra scuole e Invalsi

Negli anni, poi,  alcune scelte astruse degli inizi, apparse inutilmente elitarie (come non ricordare l’“useleria”, titolo bizzarro di un testo di una prova di italiano di V primaria?), sono state corrette, ed anche la lontananza di un’istituzione, che sembrava nata più per la ricerca fine a se stessa che per l’affiancamento delle scuole e dei decisori politici verso il miglioramento dei livelli di apprendimento degli studenti, può dirsi in buona parte colmata. Questa distanza (che era anche fisica, se pensiamo alla sperduta sede di Villa Falconieri) è venuta meno: oggi l’Invalsi appare sempre più per quello che è, un ente servente che produce una quantità di dati forse sovradimensionata per le forze delle singole scuole, ma perfettamente allineata (nei Quadri di Riferimento) alle Indicazioni nazionali per la definizione dei curricula delle scuole. Credo che per un docente avere la possibilità di leggere il percorso diacronico di posizionamento, rispetto ai livelli di apprendimento di ogni singolo studente della propria classe, costituisca  un’opportunità che, come recita una nota pubblicità, “non ha prezzo”.

Gli aspetti positivi della valutazione esterna

L’Invalsi ha lanciato infine la valutazione esterna delle scuole, fiore all’occhiello di un team che ha costruito, in un decennio di sperimentazione, una via italiana alla valutazione esterna, affiancando e completando il processo di valutazione degli apprendimenti degli studenti. Lungi dal modello invasivo dell’Ofsted inglese, la valutazione esterna delle scuole realizzata dall’Invalsi e dai Nuclei di valutazione gode di un diffuso apprezzamento, perché costruita sul principio dell’amico critico che ti affianca e ti accompagna verso il miglioramento.

Serve, anche in questo caso, un’analisi costi-benefici

Insomma, nel procedere ad un ridimensionamento dell’Istituto di valutazione del sistema scolastico italiano, credo occorrerà soffermarsi su un’attenta analisi costi-benefici, che certamente la lungimiranza dei  nostri decisori politici saprà tenere in debito conto.