Dirigere sotto stress

Non ancora previsto il controllo della glicemia per i dirigenti scolastici

Per mia ignoranza non so quanto negli ultimi anni sia aumentata la pressione del Ministero degli Interni, del Mef e dei due rami del Parlamento italiano sui prefetti e sui questori, visti i non pochi problemi di ordine pubblico, i disastri in alcune discoteche, la disubbidienza civile nel rispettare la comunità che dorme, che lavora o semplicemente che passeggia, il diffuso fenomeno del parcheggio in doppia fila ed i litigi per futili motivi.

Sempre per colpa della mia incapacità di informarmi, non sono a conoscenza del Piano di Miglioramento adottato dal Governo, dal Ministro della Giustizia e dallo stesso CSM, magari chiedendo a tutti i tribunali d’Italia un Rapporto di Autovalutazione, riferito probabilmente ai presidenti dei tribunali, a causa della lentezza dei processi in campo civile, amministrativo o penale, che collocano la giustizia in Italia nelle ultime posizioni d’Europa e indietro a vari Paesi degli altri continenti.

Percepisco a volte che la gran parte dell’opinione pubblica italiana è a conoscenza che tra pochi giorni i docenti smetteranno di lavorare per oltre due mesi, i bidelli ciondoleranno nelle scuole, le segreterie scolastiche non daranno più servizi all’utenza ed i dirigenti scolastici passeggeranno sui lungomare o per strade di campagna, fin quando, per loro fortuna, non ci sarà nessuno a controllare il taglio dei capelli, la tipologia di tessuto dei calzini o la lunghezza della maglia o camicia indossata.

12 giugno: storie molto diverse

Il 12 giugno 1996 la Repubblica italiana, nata dalla lotta al nazifascismo e dalla Costituzione, attraverso il Ministero della Pubblica Istruzione aveva scelto me, insieme con altri 574 insegnanti di scuola elementare e dell’infanzia (tra 10.000 partecipanti alla prova scritta), con un concorso ad alta selezione per merito, ed io, come tanti altri, ho iniziato a svolgere la funzione di direttore didattico e poi, dal 2000, quella di dirigente scolastico.

La mission per quei direttori didattici era migliorare il funzionamento didattico della scuola dell’infanzia e primaria. Alla fine degli anni Novanta il progetto Alice rivelò che lo standard della scuola dell’infanzia di livello molto era più alto rispetto a quello degli anni Ottanta, e che la scuola elementare, riformata dalla Legge 148/1990 e dai Programmi del 1985, aveva il credito positivo per tutta l’istruzione italiana, perché all’attenzione dei migliori paesi Europei.

Dal 2000-2001 i dirigenti scolastici non hanno più orario di servizio.

Il 12 giugno 2019 il Senato della Repubblica approva a maggioranza un decreto sicurezza, forse per difendere il Paese dai dirigenti scolastici, tenendoli sott’occhio elettronico (insieme con bidelli e amministrativi) per sapere puntualmente a che ora entrano in uno dei tanti plessi, poi escono, poi rientrano e poi riescono.

Al momento non sono previsti controlli biometrici nell’appartamento privato abitato dai dirigenti scolastici.

Sugli scanni dei due rami del Parlamento della Repubblica siedono signori e signore che non hanno avuto voti di preferenza e non hanno acquisito competenza di merito civile per attività politica, intesa come servizio ai cittadini ed al Paese.

Fin qui il quadro generale, molto sintetizzato.

Dirigenti stressati: realtà o fiaba nazionale?

Da qualche parte si parla dello stress dei dirigenti scolastici, pressati oltremisura da una serie di funzioni e compiti: una figura professionale che in una qualsiasi altra azienda, di Stato o privata, viene articolata e suddivisa tra almeno 4-5 persone.

Credo che la “tossicologia dei dirigenti scolastici” sia da ricercarsi in quest’assurda concentrazione di compiti e responsabilità, ma anche in altro: a mio parere non è più solo un problema di categoria professionale, con conseguente questione di rilevanza sindacale o di pressione sulla figura più importante per il funzionamento della scuola italiana.

Credo sia giusto domandarsi cosa è successo nel nostro Paese in questi vent’anni.

Credo siano visibili a tutti la caduta verticale dell’importanza della cultura, la disattenzione alla difesa dei beni culturali del nostro Paese, il disvalore (con inversione di tendenza rispetto a cinquant’anni fa) in cui viene relegata la scuola.

Altrettanto visibile a tutti è la quasi totale accettazione di un’ignoranza dilagante, divenuta di sistema: un fenomeno partito con i talk-show e le televisioni di Mediaset, per approdare al cattivo e perverso uso dei social, dove tutti parlano di tutto non conoscendo a fondo nulla. Come aveva detto e scritto Umberto Eco, “i social hanno portato alla visibilità di migliaia le opinioni innocue di quelli che prima trascorrevano molto tempo a chiacchierare nel salone di un barbiere o parrucchiere o fuori al bar”.

Malignamente qualcuno dice addirittura che alcuni di questi siano diventati deputati, sottosegretari o ministri.

Justr3mo ha circa 1.200.000 iscritti: è un canale di una stupidità incredibile, seguito da bambini e ragazzini che usano il tablet da soli.

Migliorare la scuola in base al colore dell’iride dei dirigenti?

La scuola è rimasta l’ultima istituzione di massa a difesa della cultura, almeno quella di base. La scuola è stata oggetto di tentativi di riforma disconnessi, quasi uno per ogni persona diventata Ministro per qualche mese o anno; il tutto, come molti critici di Storia della scuola affermano, con grande discontinuità e ricadute demotivanti tra i dipendenti.

I direttori didattici ed i presidi della “vecchia scuola” sono persone di cultura, hanno letto e studiato tanto, in prevalenza sono stati dei buoni insegnanti. Hanno intrapreso quella professione per contribuire al miglioramento culturale e didattico nei vari ordini di scuola, mediando tra le proliferazioni di decreti, direttive e circolari, scritti a viale Trastevere, e le realtà delle loro scuole. Al sud come al nord, nei paesi come nelle città e nelle periferie, i capi d’istituto sono stati punti di riferimento per le famiglie di bambini e ragazzi: pazienza, ascolto, intelligenza di vision, progettualità, mediazione anche nell’intraprendere un’importante innovazione.

I cittadini ricordano quella categoria con nostalgia ed affetto.

Voglio ricordare uno tra i tanti: Gianfranco Zavalloni, un grande maestro, un eccezionale e tanto umano direttore didattico, selezionato appunto nel 1996.

I cittadini hanno recepito il cambio di target (dirigente scolastico) esattamente com’è stato creato, ossia responsabile unico di tutto: efficacia dell’edificio, efficienza del personale, rispetto delle regole, mediazioni sui bisogni personali di un genitore, capo del personale e datore di lavoro, controparte sindacale, titolare dell’attività negoziale anche nelle situazioni difficili (come la gestione dei finanziamenti di “Scuole belle”), direttore dei piani PON nelle proprie scuole, titolare dell’azione didattica del collegio e responsabile dei risultati in termini di valutazione, autovalutazione e miglioramento, titolare quasi unico ed univoco della sicurezza.

Questa complessità ha creato nuvole di fumo e confusione, con una sola certezza: il cittadino pensa e agisce – ho un problema: vado dal dirigente scolastico.

Come si è potuto non comprendere che, di conseguenza, sulle singole persone fisiche che svolgono la complessa professione di DS stava cadendo, e continuerà a cadere il peso di un sistema che va profondamente rivisto?

I morti sul lavoro sono stati l’inevitabile, tragica conseguenza di una situazione di altissimo stress lavorativo.

La lunga strada dello stress cresciuto in vent’anni

Direttori didattici e presidi erano sostanzialmente “direttori di comunità educative”. La loro mission si svolgeva quasi esclusivamente intorno a bambini e ragazzi: il loro sviluppo ed apprendimento, la possibilità di aiutare tutti e ciascuno.

Poi il taglio degli uffici di presidenza e direzione, con l’ultimo colpo chiamato “razionalizzazione” e il successivo intervento della normativa (d.l. 98/2011), che portava le scuole del primo ciclo ad almeno 1.000 alunni. Il risparmio programmato prevedeva meno spese per i DSGA e i dirigenti, scendendo gradualmente dalle 17.000 istituzioni scolastiche degli anni Novanta alle ottomila circa di oggi, con un quarto delle sedi vacanti.

In pratica i dirigenti scolastici di oggi si ritrovano addosso il peso di istituzioni non paragonabili a quelle di appena 20 anni fa.

Considerati l’aumento delle procedure formali e le innovazioni didattiche dal 2013 ad oggi, è legittimo dire che tra il lavoro della fine degli anni Novanta e quello di oggi il peso è aumentato in termini esponenziali.

Sono mancate soluzioni organizzative ragionevoli

Il sistema ha resistito per un po’, in quanto le vecchie generazioni di DS avevano molte delle caratteristiche di personalità oggi richieste sul campo del lavoro quotidiano: ascolto, empatia, gestione, lungimiranza, mediazione, innovazione, sobrietà ed entusiasmo, senso di responsabilità, tenacia e perduranza, resilienza.

Con il cambio epocale dello sviluppo sociale, queste competenze, estremamente complesse sotto il profilo umano e professionale, sono divenute difficili da acquisire nel corso della vita e difficilissime da possedere tutte insieme.

Si è anche aggiunta una nuova e più completa capacità di comunicare in varie forme e diversificati registri, per tenere insieme una comunità interna ed esterna di 3.000-5.000 membri.

Il punto è proprio questo: volente o nolente, il dirigente scolastico è direttore di comunità educativa; non è solo capo dell’istituzione scolastica e datore di lavoro, ma è il riferimento (certo, credibile, onnipresente) per istituzioni ed enti, ragazzi e famiglie, stakeholder di diverso spessore (primo, secondo, terzo livello).

La complessità dell’istituzione scolastica, di fatto così “ammodernata”, avrebbe logicamente richiesto uno dei due interventi possibili e logici:

– la suddivisione dei compiti tra figure equipollenti, con funzione dirigenziale o comunque di responsabilità totale (esempi: il settore sicurezza, la gestione del personale, i risultati didattici, ecc.);

– la creazione seria, organica, forte di quel middle management che esiste in quasi tutte le scuole europee, e che di fatto opera soprattutto sotto in termini di ascolto e accoglienza di alunni e famiglie, progettazione e controllo dei risultati, gestione delle risorse e miglioramento organizzativo interno.

Non si è mai fatta una scelta di organizzazione seria e concreta della scuola, facendo permanere – e negli ultimi tempi aumentare – la dose burocratica delle procedure, con un sistema di controllo centrale figlio della filosofia weberiana di storica memoria ottocentesca. Il Miur (e non solo) fa esplodere una vera pioggia di norme, codicilli, scadenze, controllo sistemico assillante, bicontrolli, tetracontrolli, che stanno per bloccare perfino le procedure PON.

Mancavano soltanto i bio-controlli, e forse se ne possono immaginare altri.

Lo Stato centrale, che amava i presidi e direttori didattici, sembra voler perseguitare i dirigenti scolastici come colpevoli in pectore di tutto ciò che faranno o non faranno, con un sistema degno del miglior Antonio De Curtis (“a prescindere”).

Il sistema educativo è imploso

Il fantasma ministeriale e/o del potere politico dice chiaramente che non si fida della scuola, non si fida dei dirigenti, non si fida della qualità delle procedure. Attraverso l’Invalsi afferma e contabilizza i risultati scolastici, che peraltro sono figli di una politica di assunzioni in oggettiva controtendenza rispetto ai bisogni ed al mutare sociale e culturale:

– occorrono vistosamente docenti più giovani, invece si moltiplicano fattori che generano precariato e conseguenti assunzioni in ruolo intorno ai 37/40 anni di età;

– occorre migliorare le competenze linguistiche, logico-matematiche e tecnologiche, invece si invia alle scuole il personale di potenziamento che si racimola da qualche parte;

– occorrono risorse economiche aggiuntive per le singole istituzioni, invece queste vengono date con una tipologia che ricorda le raccolte punti del Mulino Bianco o dei fustini di Dash, e con la richiesta di continue carte, documenti on line, lavoro in piattaforma, firme digitali;

– diviene quasi impossibile gestire i fondi PON: per svolgere corsi di recupero o di miglioramento di 30 ore occorrono almeno 50 ore di lavoro di DS, amministrativi, personale ATA. La qualità è scadente, e una marea di ore di lavoro viene persa per complicatissime procedure, che non hanno nessun rapporto di causa-effetto con il miglioramento della didattica.

In pratica il sistema è “sclerato” (il participio passato è di un ex alto funzionario del Ministero), e non si capisce più chi ha cominciato con questa pratica che è difficile da definire: “poco logica”, “autodistruttiva”, “sadomasochistica”.

Certamente c’è poco di intelligente in tutta questa vistosa involuzione di sistema.

Eppur si muove: tra depressione e resilienza

A fronte di tale panorama, l’ormai sparuta squadra di dirigenti scolastici opera, specie nelle regioni meridionali e in situazione di forte disagio, come un gruppo di marines pronti a fornire, 24 ore al giorno, prestazioni di ogni tipo, ivi compreso l’essere svegliati di notte dai carabinieri o dalla polizia municipale perché c’è un antifurto che suona.

Pesano probabilmente ancora il senso di responsabilità romantico e una visione illuminista dell’azione (“se opero ce la farò!”), con scarso riferimento al pragmatismo machiavellico che tra qualche anno, o addirittura tra qualche mese, potrebbe prevalere.

Donne (per lo più) e uomini sono nel proprio ufficio dalle 8 di mattina e, se si organizzano per un’entrata più comoda, molto spesso lasciano la scuola tra le 17 e le 20. Non calcolabile risulta il lavoro di sabato e domenica, nei giorni festivi o nei periodi di chiusura della scuola, poiché i DS vengono richiamati continuamente in servizio, mentre sono in ferie, grazie alla posta elettronica ed i contatti Whatsapp utilizzati da DSGA, sindaci, assessori, docenti collaboratori.

La loro sede di servizio è praticamente ovunque: l’ufficio nel plesso principale, i plessi scolastici, le sedi comunali, le sedi ASL, i tribunali, gli studi di avvocati ed ingegneri. Già il DPR 417/1974 affermava che “il preside-direttore didattico colloca il proprio ufficio laddove è richiesta la sua presenza”; all’epoca l’orario di servizio era di 36 ore settimanali, praticamente dalle 8 alle 14 per sei giorni.

Le scuole italiane, a parte quelle fatiscenti per colpa dei governi centrale e periferici dello Stato, sono belle perché hanno goduto della cura, delle attenzioni e della costante azione (specie nel primo ciclo di istruzione) dei dirigenti scolastici.

Proprio perché conosco questo lavoro e vedo, ogni giorno e settimana, la frustrazione e gli entusiasmi, le depressioni e gli sforzi di resilienza dei DS, mi sembra di poter percepire questo senso diffuso di insoddisfazione personale e professionale, che si associa paradossalmente ad una continua e costante raccolta di energie interiori per spingere fin dove è possibile, rinunciando di fatto ad un minimo di vita privata programmabile o programmata.

I dirigenti scolastici agiscono quotidianamente: tenere a posto le carte, vigilare le procedure, avviare e seguire i processi, motivare e supportare le risorse umane, compresi gli stessi alunni ed i genitori.

Il “DS romantico”, che vuole essere leader di comunità ed aiutare tutti in tutto, finisce per stancarsi oltre ogni limite, perdere a volte il senso delle priorità, vivere sul proprio corpo la contraddizione che nessuna procedura cartacea può valere quanto il tentativo di sostenere una famiglia in difficoltà, un bambino in crisi di apprendimento, un team di docenti avviliti e frustrati.

Così il dirigente appare spesso frettoloso, pieno di cose nella testa, con una scrivania disordinata e corse da un luogo all’altro, che fanno pensare a una personalità che perde il senso di quello che fa.

Lo stress cumulativo e la perdita di identità

Difficilmente si può ragionare in termini di categoria: ogni singolo DS ha la sua storia professionale, perché ogni contesto, ogni gruppo di operatori interni, ogni dinamica instaurata precedentemente al suo arrivo, portano ed orientano il DS a scelte importanti, basate sulla valutazione di sistema che nasce molto prima dell’istituzione dell’Invalsi e dello stesso DPR 80/2013. Proprio l’esempio di alcuni direttori didattici e presidi ha aperto la strada a un processo che è prevalentemente umano e di alta qualità professionale, perché guidare, orientare, gestire una comunità richiede umanità e risorse personali, prima che capacità di compilare carte e seguire piattaforme con centinaia di procedure all’anno.

Proprio da quel 2013, mentre l’amministrazione accelera la pressione sulle scuole e sui DS, il Miur (in ritardo sull’Europa) impone PON con accelerazioni di Piani FSE e FESR; le scuole aderiscono in massa e fanno a gara ad esserci, operando fino alle ore 20-21 e fino ai primi di agosto. Lo stesso accade per i piani POR, che in Campania vedono la “sublimazione” di milioni di euro, mai pervenuti alle scuole pur in presenza di rendicontazione.

Intanto le relazioni interne vengono progressivamente avvelenate da una proliferazione di conflitti – a dispetto dell’art. 25 del D.Lgs. 165/2001 – per la mancata definizione delle reali responsabilità di sindaci, assessori e dirigenti comunali, docenti interni alla scuola, e per limiti formali e logici alla legittima azione sindacale.

Il DS, spesso isolato, sintetizza, col suo essere e fare, l’insieme delle relazioni; influenza il clima interno e spesso anche quello esterno.

Il sistema dimentica che non tutte le donne e gli uomini che svolgono tale ruolo hanno questa incredibile somma di competenze personali. Occorre infatti una grande sinergia di azione con i dipendenti e le famiglie: il dirigente deve spendersi spesso proprio sul piano delle relazioni umane, per gestire le professionalità dei collaboratori più vicini, delle funzioni strumentali e dei responsabili di plesso, frustrati dalla scarsa motivazione salariale aggiuntiva e dalla mancanza di un ruolo riconosciuto (assenza del middle management). Non pochi docenti si dimettono dopo alcuni anni, e il DS deve recuperare risorse capaci di portare avanti la scuola; diversamente deve supplire a tali funzioni col proprio tempo di lavoro, inevitabilmente sottratto alla vita privata. Dopo qualche promessa o “allucinazione” (cfr. valorizzazione), il merito professionale nella scuola non decolla.

Sarebbe bene per lo stesso DS cambiare scuola, e invece prende in carico altre istituzioni, lasciate vuote per l’incapacità del sistema centralizzato di indire e svolgere costantemente concorsi di qualità in modo veloce. I DS, specie al nord, assumono reggenze retribuite in modo ridicolo e spesso in ritardo di anni. La procedura del concorso per assumere nuovi DS è sotto gli occhi di tutti.

Il sistema scolastico centrale implode e produce tutto su tutto: dalla privacy alla sicurezza, dal miglioramento alla valutazione, dal portfolio più o meno obbligatorio all’impianto formativo degli alunni e dei docenti. Il tutto mentre spesso i dirigenti sono chiamati in giudizio da singoli genitori per motivi ridicoli, che non attirerebbero l’attenzione di nessuno in Irlanda, in Ucraina, in Germania, in Francia, in Gran Bretagna, dove si pensa ancora che la scuola formi le nuove generazioni.

Lo stress aumenta per quantità di peso e di responsabilità, ma anche per la qualità scarsa dell’attenzione delle stesse sedi periferiche del Miur (peraltro vittime di numerosi tagli di personale) e del riconoscimento sociale, da “sceriffi” a “monarchi”.

Non c’è luce in fondo al tunnel

Nell’impellente rivalutazione del pensiero machiavellico, qualche dirigente fortunato potrebbe lasciare tutte le procedure a docenti collaboratori eccellenti, supportati da un ufficio di segreteria perfetto, scegliendo per sua vocazione di seguire la didattica, di concentrarsi sul coordinamento vero degli organi collegiali, di spingere processi di autovalutazione e di miglioramento, di dare forza alle risorse interne, cercando e trovandone altre per dare ai propri bambini e ragazzi il massimo delle possibilità formative.

Con lo stesso approccio iniziale potrebbe delegare tutto l’aspetto didattico (con deleghe perfette sotto il profilo formale) a un docente collaboratore, funzioni strumentali, qualche responsabile di plesso e tutti i docenti, ciascuno per la propria parte, e rivolgere attenzione ed impegno a procedure e scadenze, chiuso nel suo ufficio con uno o due computer sempre accesi.

Sarà così nei prossimi anni?

Sì, va bene, ma tu come fai?

Poi c’è il mondo meraviglioso delle persone, delle intelligenze, della creatività, della solidarietà, che nasce dal cuore ed attraversa braccia e mani: quello che ti riporta in sella sempre, quello che ti fa sorridere a chiunque ti cerca.

Tutto questo fa parte del mondo e della vita, e certamente non riguarda né viale Trastevere né i palazzi del Parlamento e del Governo, ma solo le scelte personali di chi pensa davvero ogni ora al futuro dei bambini e dei ragazzi, con o senza il controllo dell’iride o dell’impronta del proprio pollice.

E allora?

Il futuro non è roseo, ma qualcuno ha scritto e sta scrivendo, in questa nuvola grigia e polverosa, quasi da catastrofe ambientale, bellissime pagine di Storia della scuola, che forse qualcuno un domani racconterà, seduto sulla panchina di un parco o su una bitta di un molo.

Ma questa, appunto, è un’altra storia.