“TALIS e qualis”? Insegnanti in Italia e in Europa

Note a margine dell’indagine TALIS-OCSE 2018

Sono stati pubblicati pochi giorni fa i risultati dell’indagine internazionale dell’OCSE sull’insegnamento e l’apprendimento (TALIS = Teaching and Learning International Survey). Si tratta di un’indagine ripetuta ogni cinque anni in 48 paesi, con l’obiettivo di esaminare aspetti rilevanti dell’attività degli insegnanti e dei dirigenti scolastici (l’organizzazione del lavoro, le opportunità di collaborazione professionale, i metodi di insegnamento, le risorse, le fonti di stress…) mediante la somministrazione di questionari a circa 4000 fra insegnanti e dirigenti scolastici delle scuole secondarie di primo grado pubbliche e private dei paesi coinvolti.

In Italia ha partecipato all’indagine un campione casuale rappresentativo di 190 dirigenti scolastici e 3612 insegnanti. Gli esiti della ricerca, che segue quelle del 2008 e del 2013 e che costituisce la prima parte di uno studio più ampio il cui secondo volume sarà pubblicato all’inizio del 2020, sono molto interessanti e si trovano in un corposo documento in lingua inglese reperibile a questo link: OECD (2019), TALIS 2018 Results (Volume I): Teachers and School Leaders as Lifelong Learners, TALIS, OECD Publishing, Paris, https://doi.org/10.1787/1d0bc92a-en.

Quello che segue è uno schema liberamente tratto dalla tabella relativa ai “profili socio-demografici e alle esperienze di docenti e dirigenti”, che si trova a pagina 48 del rapporto. Dalla tabella, relativamente ai 6 indicatori della prima colonna, chi scrive ha preso in considerazione solo le percentuali di alcuni paesi, nonché la media OCSE. Per una più esauriente lettura interpretativa dei risultati della ricerca si rimanda al rapporto completo, o almeno alle sintesi dei dati dei singoli paesi partecipanti, fra cui l’Italia.

Scopo del presente contributo è quello di prendere spunto da alcuni di questi dati per mettere in campo qualche riflessione di carattere generale sulla professionalità docente. Le temperature estive e la prossimità con le operazioni di chiusura dell’anno scolastico, ormai al termine anche degli esami di Stato, favoriranno un taglio moderatamente tecnico di tali riflessioni, stemperato da una congrua dose di calviniana leggerezza.

 ITALIAFRANCIAINGHILTERRASPAGNABELGIOFINLANDIAMEDIA OCSE
INSEGNANTI DONNE78656462697068
DIRIGENTI DONNE69414149444647
DOCENTI ULTRA 50ENNI48271836223534
DIRIGENTI ULTRA 60ENNI32196971020
ANNI DI ESPERIENZA (DOCENTI)18171317151617
ANNI DI ESPERIENZA (DIRIGENTI)10106771210

Quote azzurre, quote rosa: una questione di genere?

Il 78% di insegnanti donne nel nostro Paese rappresenta la quota più alta dei paesi presi in esame e supera del 10% la media OCSE. Possiamo quindi affermare che in Italia la docenza sia prevalentemente femminile, pur diminuendo di nove punti quando si parla di dirigenti? Se consideriamo che il campione rappresentativo dell’indagine è quello della secondaria di primo grado, che nella scuola primaria la percentuale di insegnanti donne è ancora più elevata di questa e che nella scuola dell’infanzia (dove gli insegnanti uomini sono perle rare) è addirittura monopolizzante, la risposta sembra un inappellabile.

La professione docente risulta meno appetibile agli occhi del genere maschile? È più facilmente conciliabile con la vita familiare? È venuto meno il riconoscimento sociale del ruolo dell’insegnante? Le retribuzioni sono poco allettanti e le possibilità di carriera sono scarse? Forse un po’ di tutto questo e anche di altro. Certo appare dissonante e sproporzionato il fatto che, a fronte di tale predominanza, le pagine dei libri di pedagogia, a parte poche eccezioni fra cui ad esempio la titanica figura di Maria Montessori, siano tutte occupate da biografie, metodi e teorie di uomini. Sono terreni su cui occorrerà lavorare, sia quello delle quote azzurre (rendere attraente la professione, soprattutto quella di maestro, al genere maschile) per riportare le percentuali a un maggior bilanciamento, sia quello della cultura (creare cultura e alimentare la ricerca e il movimento di idee intorno alla scuola anche da parte delle donne, ancora di più di quanto si sia già iniziato a fare).

Un corpo docente diversamente giovane?

Insegna nelle scuole italiane il 48% di docenti che ha già oltrepassato la soglia dei 50 anni. Doppiamo abbondantemente il Belgio (22%) e ancor di più l’Inghilterra (18%). La media OCSE è del 34%. Relativamente agli anni di esperienza dei docenti, tuttavia, la percentuale italiana (18%) appare in linea con la media OCSE (17%). Una lettura combinata dei due dati ci restituisce pertanto un ingresso nell’insegnamento non esattamente precoce. Qui potrebbe entrare in gioco la questione del reclutamento: mediante concorso statale nei paesi di area mediterranea, maggiormente pilotato dal sistema locale-autonomistico nell’area anglosassone.

Nella percentuale di dirigenti ultrasessantenni la sproporzione è ancora più evidente: ha superato i dodici lustri di vita il 32% dei dirigenti italiani, a fronte di una media OCSE del 20%, ma soprattutto di un 6% inglese, 7% belga, 9% spagnolo, 10% finlandese. Ci auguriamo che l’ingresso a scuola, il prossimo 1° settembre, dei vincitori dell’ultimo concorso DS, che sta vivendo proprio in queste settimane la sua fase finale, riuscirà ad abbassare la media e a ringiovanire il corpus dirigenziale.

Gli insegnanti insegnano o sono anche in altre faccende affaccendati?

Interessante è anche il dato relativo al tempo dedicato all’insegnamento in una lezione standard (78%). Tale percentuale, mediamente diminuita rispetto alle precedenti rilevazioni, ci fornisce in chiaroscuro un 22% di tempo utilizzato per mantenere l’ordine o per gestire i compiti amministrativi relativi alla classe. È molto? È poco? Non si parla certo degli incarichi organizzativi o di responsabilità all’interno dell’istituzione scolastica, bensì del tempo effettivo in classe dedicato all’insegnamento e all’apprendimento.

In effetti lo stesso art. 395 del D.lgs. 297/1994 definisce la funzione docente come “esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità”. Ciò non significa affatto esimersi dalle proprie funzioni amministrative, che sono doverose; forse però dentro l’aula (in senso metaforico, giacché gli ambienti di apprendimento non devono sempre essere confinati all’interno di quattro mura) l’ora di lezione di recalcatiana memoria dovrebbe poter vivere una sua quasi integrale dimensione.

I dirigenti scolastici aiutano od ostacolano questa dimensione? Secondo Angelo Paletta fra i compiti dei DS dovrebbe esserci anche quello di proteggere il personale da eventi e condizioni lavorative che possano rendere improduttivo il lavoro (school effectiveness), quali ad esempio il rischio di distrazione a causa delle continue richieste da parte di studenti, genitori, amministrazione, dirigenti, colleghi e altri soggetti esterni, non pertinenti rispetto agli obiettivi educativi.

E non è finita qui…

Altri aspetti dell’indagine TALIS condurrebbero a ulteriori, stimolanti approfondimenti. Ai lettori il gusto di scoprire, ad esempio, i dati che riguardano le modalità di valutazione degli studenti, la presenza nelle classi di alunni con background migratorio, le motivazioni che hanno portato gli insegnanti a scegliere questa professione, la formazione e lo sviluppo professionale di docenti e dirigenti, l’utilizzo delle tecnologie nella didattica.

Buona lettura e buona estate!