Intervista a Vincenzo Boccia, presidente nazionale di Confindustria

Gentile Presidente,
in questi mesi il Paese sta vivendo notevoli turbolenze politiche, di cui è ancora difficile intravvedere una via d’uscita. Prevale un clima di incertezza e all’orizzonte si profila, così preannunciano gli economisti, il rischio di una recessione e di una crisi economica incombente. Insomma, l’autunno che ci attende sembra nascere sotto una cattiva stella e alimenta un pessimismo diffuso nella società. Qual è il punto di vista del mondo delle imprese di fronte a questi scenari in-decisi? È possibile ripartire da imprese e lavoro per una svolta positiva nel nostro futuro? A quali condizioni?

Non è solo possibile ma doveroso ripartire da imprese e lavoro. Come abbiamo detto e ribadito, per troppo tempo la politica si è mostrata distratta nei confronti delle ragioni della crescita e dell’occupazione. Questa distrazione deve terminare: a maggior ragione per la preoccupante congiuntura internazionale e, in particolare, per la frenata della Germania alla cui economia siamo saldamente collegati. I fondamentali del Paese restano solidi ma non c’è dubbio che se non investiamo in competitività di sistema (burocrazia, giustizia, costo dell’energia), infrastrutture strategiche, Mezzogiorno, capitale umano rischiamo di perdere terreno. Siamo la seconda manifattura d’Europa ed è bene conservare questa posizione.

Investire nell’innovazione, nella ricerca, nella qualità della nostra manifattura, nella creatività e nel “made in Italy” sembra una strada obbligata. È qui che entrano in gioco le risorse umane, il fattore professionalità, l’etica del lavoro ben fatto. E quindi anche il ruolo della formazione, iniziale e permanente, rivolta a tutti. Condivide questa priorità?

Certamente sì. Quando entrano in gioco bellezza, equilibrio e tecnologia entra in gioco l’Italia con la sua storia e la sua tradizione. Questo vantaggio che tutti c’invidiano non dobbiamo perderlo. Anzi, abbiamo il dovere di proteggerlo e valorizzarlo. Il ruolo della formazione – dentro e fuori delle fabbriche, per giovani e meno giovani – è centrale. In particolare, dobbiamo puntare su quella professionale che da noi è colpevolmente sottovalutata mentre rappresenta la ricchezza di altri Paesi. Basti pensare che in Germania gli Its diplomano 800.000 persone contro le nostre 8mila. Come si vede, il percorso da compiere è molto lungo.

Il mondo della scuola vorrebbe fare la sua parte, ma non c’è un buon “feeling” tra scuola e società. Gli imprenditori lamentano la distanza tra i fabbisogni delle imprese e ciò che la scuola “produce” (ad esempio, mancano i tecnici intermedi). La scuola, però, deve realizzare al meglio il compito di una formazione ”disinteressata” per i futuri cittadini. Come stanno le cose? Qual è la posizione di Confindustria?

Confindustria si sta da tempo impegnando per accorciare le distanze tra il mondo della scuola generalmente inteso e quello delle imprese puntando, grazie soprattutto all’impegno del vicepresidente al Capitale umano Gianni Brugnoli, a superare lo scoglio di un mismatch davvero preoccupante e che non possiamo permetterci. Si calcola che nei prossimi anni le imprese avranno bisogno di 300mila profili professionali che al momento non sono disponibili. Un vero controsenso considerata la carenza di lavoro con cui dobbiamo fare i conti.

La discussione sull’alternanza scuola-lavoro è emblematica di un rapporto non del tutto fluido e convincente tra mondo del lavoro e mondo della scuola. Cosa non è andato bene di quella esperienza? Quali gli aspetti positivi da rilanciare?

Si tratta di un’esperienza messa in discussione e mortificata in modo troppo frettoloso mentre invece andrebbe potenziata e continuamente adeguata ai bisogni. Non mettiamo in dubbio che possano esserci stati abusi nell’applicazione della norma ma un’eccezione non può inficiare la regola che resta valida e da rilanciare. Per segnalare le migliori pratiche Confindustria ha rilasciato un bollino di qualità la cui funzione potrebbe essere rinforzata.

Le politiche scolastiche stentano a decollare. Prevale il mantenimento di ciò che già c’è, quasi una “comfort zone” per operatori scolastici, studenti e genitori. Sembra mancare il gusto per l’innovazione e la ricerca di nuove soluzioni. Tra i politici prevalgono i gesti simbolici e rassicuranti (le telecamere nelle scuole, l’educazione civica, la sistemazione del precariato), cose forse in sé opportune, ma non di ampio respiro. Chi osserva la scuola “da fuori” che idea si è fatto?

Per essere veramente rivoluzionaria la scuola dovrebbe essere costruita intorno ai giovani e alle loro aspirazioni. Ed è vero che per troppo tempo ci si è rifugiati in una “comfort zone” rinviando a tempi migliori (quali?) riforme coraggiose. Operatori scolastici, genitori e studenti dovrebbero impegnarsi insieme nella ricerca di soluzioni che siano in grado di rendere il nostro sistema competitivo con i migliori al mondo aggiornando programmi e metodi d’insegnamento. Detto questo non dobbiamo dimenticare che la nostra scuola ha formato scienziati, filosofi, scrittori, manager, imprenditori e professionisti che si sono imposti a livello internazionale.

Ora che si sta mettendo a punto qualche idea di rilancio delle politiche pubbliche, quale posto dovrebbe avere la formazione? Come rendere la scuola un oggetto desiderabile per grandi scelte? Ad esempio, per rinnovare il parco delle scuole (si tratta di 42.000 edifici molto spesso obsoleti), le tecnologie didattiche, i servizi di supporto, la qualità degli ambienti di apprendimento. Anche questi sarebbero investimenti, di non poco conto…

Non c’è dubbio che il patrimonio edilizio delle scuole andrebbe curato, manutenuto e adeguato perché possa rispondere alla doppia esigenza di offrire ambienti stimolanti per la mente e sicuri per il corpo. Rinnovare gli edifici obsoleti, realizzare nuovi spazi di confronto e lavoro, dotarli di attrezzature all’avanguardia, sono priorità per il Paese che deve avviare un grande piano d’investimenti in infrastrutture per tutelare il suo patrimonio, arricchirlo, renderlo più efficiente e moderno. I cantieri vanno aperti senza indugio, soprattutto considerando che per molti di essi i fondi sono già stanziati e giacciono inutilizzati.

L’investimento sulle risorse umane è decisivo per il futuro di ogni Paese. Molti esempi internazionali ormai lo dimostrano. Il fatto è che osservando i dati italiani (% di risorse pubbliche investite nella formazione, ma anche % del PNL dedicato alla formazione) siamo in posizioni di rincalzo. Anche i dati sui livelli di apprendimento ne risentono, con gravi differenze tra Nord e Sud (ma anche tra scuola e scuola). Non sarebbe opportuno un bel “contratto” sulla formazione, che coinvolga Governo, forze sociali, mondo dell’educazione, a tutti i livelli?

Ciò che sarebbe auspicabile è riuscire a garantire a tutti i ragazzi, di qualsiasi regione e città, gli stessi standard e le stesse opportunità. Assistiamo invece a un allargamento della distanza nelle prestazioni, anche in campo scolastico, soprattutto tra il Nord e il Sud del Paese. Occorre investire di più e meglio, in modo da uniformare l’offerta e consentire a tutti giovani italiani di accedere alle stesse opportunità. E occorre, poi, garantire a quei giovani occasioni di lavoro evitando lo spopolamento a cui stiamo assistendo. Andare all’estero dev’essere una scelta per migliorare la propria preparazione e non la via d’uscita in un Paese che non fornisce occasioni.

Intanto un nuovo anno scolastico è alle porte. La scuola c’è ed è pronta a ripartire, con gli affanni di sempre, ma anche con molta passione e voglia di riscatto. Ci sono zone grigie, ma anche punte di eccellenza; una presenza diffusa che è anche fonte di coesione sociale. Quale augurio si sente di rivolgere alla nostra scuola ed al suo personale?

La passione per il nostro lavoro e l’amore per il nostro Paese devono guidarci nel fare sempre meglio. La scuola e tutto il sistema della formazione hanno il compito di costruire i cittadini di domani, il capitale più importante di cui possiamo disporre per recuperare la centralità politica ed economica che l’Italia ha sempre avuto in Europa, la nostra casa comune. Cittadini responsabili e consapevoli sapranno compiere le scelte giuste per un futuro migliore. E anche noi dobbiamo darci da fare per evitare che i nostri figli e le nostre figlie possano biasimarci per i nostri errori. Quello che facciamo oggi avrà effetti solo domani. L’augurio è seminare bene.