Nuovo anno, nuovo ministro: dove va la politica scolastica?

Da Bussetti a Fioramonti: continuità/discontinuità

Il nuovo anno scolastico inizia con un nuovo ministro, Lorenzo Fioramonti, diverso da quello che non solo ha chiuso il precedente, ma ha firmato gli atti del MIUR fino a pochi giorni fa. È un inedito per la storia politica italiana. Cerchiamo di capire dove ci porterà questa svolta repentina.

Il programma in 29 punti servito da base per l’accordo tra M5S e PD non contiene molto. La scuola è inserita curiosamente nel punto 22 relativo ai “beni comuni” (acqua, sanità ecc.). C’è un piccolo elenco di obiettivi: ridurre le classi affollate, investire nella professionalità docente e nell’edilizia scolastica, sostenere il diritto allo studio, contrastare la dispersione scolastica e il bullismo. Poco e vago.

Nel discorso tenuto da Conte alla Camera per il voto di fiducia c’è qualcosa di più. La politica scolastica è introdotta a partire dalla politica del lavoro. Le cause dei bassi livelli di occupazione vengono individuate in “scarsa formazione, carente dotazione di conoscenze e di competenze, difficoltà di conciliare vita familiare e vita lavorativa”. Viene quindi proposto di azzerare il costo delle rette per la frequenza dei nidi e, allo stesso tempo, ampliare l’offerta dei posti disponibili, soprattutto al Sud.

Ci sono poi altri obbiettivi: migliorare la didattica e contrastare la dispersione scolastica; valorizzare economicamente il lavoro docente; assorbire il precariato; rafforzare il diritto allo studio, anche in vista di un innalzamento dell’obbligo scolastico; aumentare la partecipazione alla formazione universitaria.

Qualche commento.

I punti salienti del programma di Governo in materia scolastica

L’avvio sul problema dei nidi è ottimo: è il primo nodo da affrontare, le radici dell’insuccesso scolastico e della dispersione si trovano nella prima formazione. Questa politica di rafforzamento dei nidi, confermata dal ministro dell’economia Gualtieri in una recente intervista, si deve ricollegare agli strumenti già esistenti, in particolare al D.lgs. 65/2017 che ha creato il sistema integrato zero-sei anni, prevedendo anche dei finanziamenti, che vanno aumentati.

Il riferimento alla didattica e alla lotta alla dispersione scolastica è del tutto generico. Scontato anche il richiamo all’adeguamento delle retribuzioni dei docenti al livello europeo.

Bene invece, pur nella sua brevità, la parte sul precariato dei docenti: le soluzioni proposte sono infatti concorsi ordinari e straordinari, senza cadere nelle “sanatorie”, bensì valorizzando il merito. È però auspicabile rivedere la formazione iniziale, che Bussetti ha smantellato eliminando il periodo di specializzazione e tirocinio previsti dal D.lgs. 59/2017. Bisogna ritornare invece al principio che la formazione iniziale dei docenti non può limitarsi alla sola conoscenza della propria disciplina di insegnamento.

Bene l’insistenza sul diritto allo studio. Quanto all’innalzamento dell’obbligo scolastico, non è forse la cosa più urgente, dal momento che oggi la dispersione colpisce soprattutto nel primo biennio delle superiori, cioè nel periodo dell’obbligo. La prima cosa è rendere efficace l’obbligo in vigore.

Infine, la parte sull’istruzione terziaria è deludente. Certo, è importante aumentare il tasso di laureati, ma il discorso si limita solo all’Università, mentre sappiamo che la nostra società ha un gran bisogno di rafforzare l’istruzione tecnica superiore, che sta dando ottimi risultati ma è ancora enormemente sottodimensionata.

Le prime dichiarazioni del nuovo Ministro

Abbiamo poi le (numerose) dichiarazioni del nuovo ministro, e un suo primo atto concreto.

In primo luogo, le risorse economiche: Fioramonti chiede più soldi, due miliardi per la scuola e uno per l’università, e propone anche il modo di trovarli, con “microtasse di scopo”, che, in prospettiva ambientalista e salutista, colpiscano spese “dannose” (voli aerei, bevande zuccherate, merendine ecc.). È stata fatta molta ironia su quest’idea, ma è sensata, va studiata, tenendo conto però degli effetti sui consumi in un periodo di bassa crescita.

Poi ci sono le risorse umane. Fioramonti ha assicurato che intende sbloccare i concorsi previsti dal decreto cosiddetto “salvaprecari”, incagliatosi nella crisi di governo, ma con qualche modifica, che renda più selettivo il concorso straordinario per i precari. È una buona notizia, se si va effettivamente nel senso di evitare una ennesima sanatoria. Bisogna fare in fretta, siamo già in grave ritardo.

Si parla anche di aumentare gli stipendi dei docenti, in vista del nuovo rinnovo contrattuale. Giusto, ma teniamo conto che il grave problema dei docenti italiani non è solo il livello generale delle retribuzioni, ma il fatto che queste non salgono significativamente nel tempo, perché non c’è una vera carriera dei docenti. Infine, Fioramonti ha affermato che l’autonomia differenziata, se si farà, non dovrà toccare il ruolo e le retribuzioni dei docenti, che dovranno restare nazionali.

L’effetto d’alone del modello finlandese

Passiamo all’offerta didattica. In primo luogo, il ministro insiste sulla lotta contro le cosiddette “classi pollaio”, proponendo di portare i massimi per la formazione delle classi a 22 alunni; se questo non si riesce a fare per tutti i gradi di scuola, intende farlo almeno per la prima classe delle superiori, in cui si concentra il massimo di dispersione e di bocciature. L’idea in linea di principio è buona, ma su questo tema bisogna fare attenzione alle facili parole d’ordine. Bisogna tenere conto del fatto che la distribuzione degli alunni nelle classi varia molto a seconda dei gradi e ordini di scuola, e delle regioni.

Sul piano più strettamente didattico, Fioramonti si è lanciato con proposte avanzate. Ha criticato il carattere troppo competitivo della scuola italiana (forse intende la “corsa al voto”); propone una scuola dove ci sia più condivisione e cooperazione tra gli studenti (fattori che in effetti spesso mancano). E una didattica nuova, ispirata, dice, al “modello finlandese”: più trasversale, fondata sulle nuove tecnologie, su linguaggi più semplici e accattivanti e riducendo l’orario settimanale delle lezioni. Anche qui vanno evitate le parole d’ordine.

L’innovazione nella didattica è un terreno scivoloso, su cui bisogna muoversi con prudenza, se non si vuole improvvisare, e soprattutto se si vuole evitare di calare dall’alto sui docenti qualcosa che questi non sostengono realmente. Fioramonti ha detto di avere già avviato dei tavoli di discussione sull’innovazione didattica, si spera che vengano condotti con i tempi adeguati e coinvolgendo i soggetti competenti. Quanto al modello finlandese: bisogna andarci piano, ogni sistema scolastico è appunto un sistema, difficilmente singole parti si possono estrarre a caso; in particolare, la Finlandia, come tanti paesi europei, ha un primo ciclo unitario fino ai 16 anni, e questo cambia molto tutto il resto.

Riforme di ordinamento: la cautela è d’obbligo

La proposta di riduzione dell’orario è problematica, in un contesto socio-culturale molto diverso da quello finlandese: attualmente gli studenti italiani della secondaria hanno bisogno di essere più seguiti a scuola e di fare meno compiti a casa, non di fare meno ore a scuola per poi essere rimandati al loro contesto familiare per tutto il resto della giornata. Il problema non è diminuire o aumentare le ore, ma distribuirle in modo da rendere meno necessario lo studio a casa, che accentua le diseguaglianze socio-economiche.

Sul piano degli ordinamenti, Fioramonti propone di non toccare il nuovo esame di maturità per i prossimi cinque anni; in linea di massima va bene, ma dobbiamo tutti interrogarci, senza modificare le norme in vigore, sulla conduzione del colloquio del nuovo esame, che ha mostrato molte criticità e forse non è stata del tutto coerente con lo spirito della norma.

Ha affermato anche di voler abolire la legge che impone i controlli biometrici (impronte digitali) per i dirigenti scolastici e il personale ATA, una intenzione lodevole e ampiamente apprezzata dal mondo della scuola.

La prima decisione: educazione civica a tempo debito

Infine, il primo e, per ora, unico atto concreto del nuovo ministro: recependo il parere negativo del CSPI, ha annullato il decreto che introduceva la nuova educazione civica fin da questo anno scolastico, come sperimentazione nazionale. La nuova legge sull’educazione civica, dunque, entrerà in vigore nel 2020-21, permettendo in questo anno intermedio alla scuola italiana di prepararsi. Una decisione saggia, dal momento che la scuola adesso ha bisogno soprattutto di non correre, di applicare con attenzione e con calma le riforme, senza nuove inutili accelerazioni.