Educazione civica: un anno per prepararsi

Una legge veloce e condivisa

Sappiamo che la
legge 20 agosto 2019, n. 92 ha avuto un iter procedurale velocissimo che si è concluso con l’approvazione definitiva al Senato il 20 agosto 1019 e con entrata in vigore il 5 settembre successivo.

In pochi mesi tutte le compagini politiche hanno convenuto che la scuola italiana aveva urgente bisogno di nuove e più pregnanti disposizioni per formare cittadini responsabili e attivi, per promuovere nella scuola una partecipazione più consapevole alla vita della comunità, per insegnare con modalità più efficaci a rispettare le regole fondamentali necessarie alla convivenza civile.

Ma non erano questi i principi su cui si fondava l’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione, di appena un decennio fa (legge Gelmini, 30 ottobre 2008 n. 169)? Quella stessa legge su cui il Ministero si stava costantemente impegnando con innumerevoli azioni e progetti a supporto di tutte le scuole italiane?

Probabilmente l’escalation di comportamenti scorretti e molto spesso violenti a scuola, gli atti vandalici sempre più frequenti, e non solo nelle zone a rischio, l’intensificarsi delle manifestazioni di bullismo, anche nei confronti degli stessi professori, hanno convinto tutti i nostri politici che bisognava “cambiare passo”, che fosse necessario, quindi, trovare una nuova ipotesi normativa che garantisse esiti più sicuri, visto che la legge in vigore non dava più gli effetti sperati. 

Cambiare passo… solo questione di contenuti?

I decision maker non hanno ritenuto opportuno continuare, quindi, con le politiche in atto, magari arricchendo e migliorando gli interventi già avviati, ma hanno invece deciso di sostituire l’articolo di legge “Cittadinanza e Costituzione” con una norma diversa che prevedesse un lungo e nutritissimo elenco di competenze e di obiettivi di apprendimento. Bisognava ricordare ai docenti i riferimenti costituzionali, quelli collegati alla cittadinanza digitale, i problemi attinenti ai comportamenti quotidiani come l’educazione stradale, alla salute e al benessere, o anche le scelte squisitamente italiane come la salvaguardia delle eccellenze territoriali e agroalimentari. 

È strano, però, che nell’elenco minuzioso degli obiettivi specifici e trasversali, indicati nell’articolo 3, manchi, per esempio, la lotta all’evasione fiscale. È una dimenticanza assai sospetta soprattutto se si pensa che il testo di legge costituisce la sintesi di 15 proposte di parlamentari provenienti da tutte le compagini politiche.

Comunque, il lungo elenco di obiettivi si dovrebbe trasformare in una miracolistica chiave di volta per un sistema scolastico in debito di cittadinanza. Come dire: cari professori nelle vostre ore di scuola (non modificabili nella quantità) dovete inserire sistematicamente i saperi e le conoscenze indicate nella nuova legge e garantire che l’insegnamento conseguente vada a migliorare le condotte scorrette dei ragazzi. Come farlo? È, innanzitutto, una questione che attiene all’autonoma delle scuole.

Dal dire al fare…

Non occorre una grande competenza pedagogica e professionale per capire che non si passa per automatismo dalla dichiarazione di intenti alla realizzazione dei relativi percorsi e al controllo degli esiti, con la garanzia di avere risultati soddisfacenti. Il problema è ancora più rilevante se gli obiettivi indicati sono molteplici, se le condizioni in cui la scuola è chiamata ad operare sono intricate, se non sono stabiliti, in maniera dettagliata, i vincoli e le risorse per l’attuazione; se, inoltre, le nuove indicazioni di legge impongono alle scuole modifiche dell’impianto organizzativo e la rimessa in discussione dei saperi e delle competenze professionali dei docenti. Per esempio nella nuova legge non è chiaro:

  • se bisogna privilegiare le conoscenze (delle norme, del codice civile, della storia degli statuti regionali, le bandiera…) oppure le competenze collegate al saper applicare le regole, ai comportamenti eticamente corretti, al rispetto dell’ambiente, all’impegno, all’apertura verso l’altro;
  • come fare per dare un voto a temi che hanno pesi assai differenti; come raccordare, soprattutto, i risultati dei molteplici insegnamenti sintetizzandoli in una unica voce;
  • inoltre, bisogna mettersi d’accordo su regole e principi per decidere su chi fa cosa.

È pur vero che le scuole sanno trovare molte risposte, a volte assai efficaci, come le tante buone pratiche che costituiscono ottimi strumenti di miglioramento, se diffuse e condivise; altre volte, però, le scuole si limitano a dare segnali minimalisti, specialmente laddove le situazioni sono assai complicate. 

Suggerimenti per evitare una sperimentazione “avventata”

L’ipotesi iniziale di una sperimentazione generalizzata (e obbligatoria) avrebbe sicuramente incontrato molte difficoltà con il rischio di una deriva formale e burocratica. È sensato quindi il parere negativo del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (CSPI), come pure le azioni suggerite per riuscire, fra un anno (2020-2021, data, tra l’altro, già prevista dalla stessa legge), a rendere più efficaci le nuove disposizioni, dopo che le scuole abbiano avuto la possibilità di riflettere sui problemi, di studiarli, soprattutto di condividere le soluzioni. Il CSPI suggerisce di approfondire quattro questioni di fondo:

  • rivedere i patti di corresponsabilità, considerando che essi sono estesi anche alla scuola primaria;
  • chiarire il rapporto tra la nuova disciplina e i comportamenti sociali e civici;
  • realizzare adeguate iniziative di formazione del personale scolastico;
  • studiare modalità di valutazione del nuovo insegnamento.

Il Miur, dunque, recependo i suggerimenti del CSPI, decide di non dare seguito alla prevista sperimentazione (nota 12 settembre 2019, prot. 1830) e annuncia la costituzione di un Comitato Tecnico Scientifico per la redazione di Linee guida e per avviare le opportune attività di accompagnamento alle scuole.

Tempi e risorse

Non sono le buone intenzioni quelle che mancano ai decisori di turno, e neanche indicazioni, o comitati o linee guida. Quello che preoccupa invece sono i tempi e le risorse, soprattutto quelle risorse tecniche che devono garantire il controllo della tenuta. 

La legge 92/2019 prevedeva già alcune importanti misure per assicurare un impatto positivo e per evitare di vanificare tutte le indicazioni ivi contenute.

  • Istituzione della Consulta dei diritti e dei doveri del bambino e dell’adolescente digitale, che opera in coordinamento con il Tavolo tecnico per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo.
  • Aggiornamento del Piano nazionale di formazione dei docenti al fine di ricomprendervi le attività relative all’insegnamento dell’educazione civica. 
  • Individuazione di una quota parte delle risorse stanziate per l’attuazione dello stesso Piano (€ 4 mln annui dal 2020).
  • Rafforzamento della collaborazione scuola-famiglie.
  • Istituzione dell’Albo delle buone pratiche di educazione civica. 
  • Realizzazione di un concorso nazionale annuale per ogni ordine e grado di istruzione per la valorizzazione delle migliori esperienze.

Ora si tratta di capire quale sarà la tempistica nella realizzazione di tali strutture di supporto e delle azioni suggerite dal CSPI, quali risorse saranno impiegate, come saranno collegate le diverse attività, soprattutto come saranno monitorate, valorizzate e rilanciate. 

La preoccupazione prevalente è che i tempi della politica non coincidano né con i tempi della scuola né con quelli della cultura organizzativa. Bisogna partire con il piede giusto e partire subito. Perdere tempo significa compromettere i risultati. 

Una buona gestione di tutte le misure di accompagnamento è la condizione affinché la legge sull’educazione civica abbia una qualche ricaduta sulla scuola e sulla società e non finisca, come tante, nel mucchio delle norme che non servono a niente o tra quelle che possono fare persino danno.