Atlante dell’infanzia 2019

Rapporto “Save The Children” (II)

Bambini nel tempo perduto

Per innovare le politiche e cercare di migliorare concretamente le condizioni di vita dell’infanzia e dell’adolescenza, nel nostro Paese occorre andare controcorrente, rispetto al tempo perduto a causa della crisi e delle tante occasioni mancate dalla politica, anche in relazione ad alcuni fenomeni che, nel frattempo, stanno “aggredendo” l’infanzia stessa.

Basti pensare al fenomeno della denatalità. Il disinvestimento dalle politiche per l’infanzia e la famiglia ha inciso anche sui progetti familiari e il crollo demografico nel nostro Paese è stato influenzato, in parte, da queste scelte. Ora, a distanza di dieci anni, le mappe fanno constatare che la percentuale di minori presente in Italia è costituita dal 16,2% della popolazione totale.

In un periodo relativamente breve, il nostro Paese ha perso circa 137.000 neonati; ovvero, quasi il 24% del suo capitale di futuro.

Al contempo, cresce l’indice di vecchiaia e sale l’età media dei genitori, con una “mutazione” non indifferente delle famiglie con minori.

Degenerazione dei processi educativi

La progressiva frammentazione delle famiglie, associata alla continua posticipazione della nascita del primo figlio e all’incremento anche dei figli unici, sembra avere rilevanti ricadute anche sul versante educativo, «con una crescente difficoltà da parte di tanti genitori di definire e proporre coordinate valoriali chiare ai loro figli» (p. 110).

Vi è una diffusa e crescente debolezza della funzione genitoriale che ricade inesorabilmente sulla scuola, sempre più in difficoltà nei rapporti con quelle famiglie che Marco Rossi Doria definisce “collusive”: esse cercano risposte dalla scuola, talvolta delegando in maniera incoerente e assumendo una difesa a spada tratta dei propri figli, posizionati involontariamente “su un trono”. La conseguenza più deleteria per i bambini e i ragazzi è di crescere iperprotetti e ipercoccolati, con l’incapacità fuori dall’ambito familiare di sapersi misurare con la realtà: «Fuori dalla famiglia, sperimentano un vuoto relazionale in un mondo sempre più adulto e adulto-centrico, nel quale la loro istanze sono destinate a contare sempre meno, come dimostrano anche le politiche sociali del nostro Paese degli ultimi dieci anni» (p. 112).

Bambini e ragazzi senza cittadinanza

Accanto ai bambini e ragazzi che pagano le conseguenze della denataliEtà (p.96) – come evidenziato nelle pagine dell’Atlante – vi è la presenza di tutti quei loro coetanei di origine diversa, molti nati e cresciuti in Italia, molti altri con storie di sofferenze e solitudine, tutti accumunati dal medesimo destino: essere privi di quel riconoscimento che gli avrebbe consentito di essere pienamente integrati e con pari dignità e diritti.

Sono l’emblema, invece, di un ennesimo tempo perduto da parte della politica, non solo come occasione di crescita per tutti, ma anche come possibilità di «rimpinguare il gruzzolo di nativi assottigliato dalla denatalità» (p. 114).

Negli ultimi dieci anni la presenza di bambini e ragazzi di origine straniera ha visto un aumento crescente: sono circa un milione complessivamente e rappresentano il 10,6% della popolazione italiana minorile. Attualmente la questione del riconoscimento della loro cittadinanza (ius soli) non è più all’ordine del giorno del Parlamento e, piuttosto, si sta assistendo a una recrudescenza pericolosa di comportamenti xenofobi e razzisti.

Destini divergenti

Dal rapporto di Save the Children Italia emerge, dunque, una condizione di gravissimi e profondi squilibri, che si acuiscono specialmente in determinate aree del Sud del Paese. Vi è una disparità notevole in termini di servizi e di spesa per i minori: a distanza di dieci anni persiste «un puzzle cubista di difficile ricomposizione, determinato dalla compresenza nel nostro Paese di 19 sistemi regionali e 2 provinciali non comunicanti e a volte inconciliabili tra loro, spesso inefficienti» (Save the Children 2011, p. 80). 

Si registra inesorabilmente che la politica sociale, in generale, e quella per l’infanzia, in particolare, resta in Italia «un’eterna incompiuta» (p. 126).

A nulla è valso, come viene ricordato nell’Atlante, l’intervento dell’Autorità Garante dell’Infanzia nel 2015, che – con il suo documento “DisOrdiniamo!”[1] – aveva provato a dare un contributo significativo, enunciando per ogni area dei diritti, i Livelli Essenziali, le Azioni, i competenti soggetti istituzionali, i destinatari, nonché gli indicatori di processo e di risultato.

Le conseguenze dell’inerzia della politica

Il divario di destini divergenti è rimasto sostanziale e la stessa applicazione del federalismo, non compiuta e meramente di tipo ragionieristico, è andata trasformandosi in uno scontro aperto tra localismi contrapposti. Resta, pertanto, un dato di fatto: il diniego a tanti bambini piccoli del Mezzogiorno di una importante opportunità di crescita e di sviluppo, con servizi a loro dedicati. Tutti gli sforzi che comuni virtuosi stanno mettendo in campo non saranno sufficienti per raggiungere il traguardo di Lisbona (ovvero, il 33% dei servizi per l’infanzia).

La situazione non è rosea sul fronte delle politiche abitative, per le quali l’Italia destina una quota irrisoria della spesa sociale, pari allo 0,1% (nel 2016). Le liberalizzazioni del mercato immobiliare degli anni Novanta, poi, hanno causato un’impennata al rialzo degli affitti, senza che nessuna tutela fosse attivata dallo Stato per le fasce più deboli della popolazione.

L’Italia ha accumulato un gravissimo ritardo anche nell’ambito dell’istruzione, settore in cui la politica ha disinvestito in maniera massiccia e irresponsabile: in 3 anni, dal 2009 al 2011, la spesa per l’istruzione ha subito un vero e proprio crollo, con tagli lineari pari a ben 8 miliardi di euro. Siamo ora al minimo storico di investimento del PIL, calcolato dall’OCSE nel 3,6%, con una differenza di circa un punto e mezzo di PIL in meno della media OCSE.

Questa persistente «cura dimagrante dell’istruzione» (p. 148) si ripercuote sul fenomeno inarrestabile della fuoriuscita dal sistema scolastico di tanti e tanti minori, con una dilapidazione di «capitale umano gettato alle ortiche» (p. 150). Sebbene i dati relativi alla dispersione scolastica siano leggermente migliorati nel corso del decennio, restano tali da non riuscire a raggiungere l’obiettivo europeo della soglia del 10% nel 2020. E sullo sfondo emerge il triste primato italiano del maggior numero di giovani inoccupati e non inseriti in un percorso di formazione, individuati con l’acronimo NEET (Not in Employment, nor in Education and Training).

Bambini nel tempo ritrovato

A fronte di una siffatta fotografia, tratteggiata in oltre 150 pagine dell’Atlante dell’Infanzia a rischio, nella terza parte del Report viene delineata la condizione di un’infanzia in parte ritrovata.

Nell’ultimo decennio, invero, l’infanzia è stata recuperata dalla comunità educante, attraverso una moltitudine variegata di esperienze in grado di offrire a tanti bambini attività e spazi ove ritrovarsi: «Spazi gratuiti dove tanti ragazzi in questi anni si sono sentiti a casa, hanno avuto la possibilità di partecipare a un ventaglio più o meno vasto di opportunità ricreative ed educative, realizzare diverse attività laboratoriali, espressive, culturali e sportive, in certi casi di formazione professionale, e di essere sostenuti nello studio e aiutati a prevenire fenomeni di abbandono scolastico o di esclusione sociale» (p. 158).

Sono andate diffondendosi in molti territori marginali una serie di attività di innovazione sociale dal basso, mirando ad una partecipazione attiva, ad un welfare generativo, alla salvaguardia del territorio attraverso la cura di spazi pubblici, orti urbani e lotta al degrado.

Esperienze che hanno trovato un significativo supporto anche da parte di alcune amministrazioni pubbliche, che hanno cominciato a favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.

Il sommesso risveglio della politica

«La diffusione di dati affidabili sulla crescita abnorme in Italia delle povertà materiali, unita alla forte pressione della società civile, delle organizzazioni sindacali e degli accademici aggregati in una rete molto ampia e autorevole, l’alleanza contro la Povertà, ha finito per fare breccia e per risvegliare la politica dal letargo» (p. 164).

A partire dal 2014, i tecnici dei ministeri economici sono stati chiamati a elaborare un’ipotesi di intervento ed è del 2016 la prima misura sperimentale di contrasto alla povertà (SIA – Sostegno all’Inclusione Attiva), sostituita nel 2017 dal Reddito di Inclusione (ReI).

Dai primi mesi del corrente anno il ReI è stato rimpiazzato dal Reddito di Cittadinanza, quale misura non più a carattere sperimentale e che obbliga i beneficiari all’inserimento in un percorso lavorativo o di inserimento sociale.

Quello che emerge è l’impatto limitato che tali misure rischiano di avere nella lotta alle povertà minorili, specie se riferiti a contesti particolarmente deprivati: il RdC dovrebbe essere, pertanto, integrato con altri interventi in favore dell’infanzia e delle famiglie con figli minori.

Educazione e cultura contro le insidie della povertà

Studi approfonditi hanno, dunque, ormai conclamato una stretta correlazione tra i bassi tassi di scolarità e tutte le diverse manifestazioni della povertà. E le ricerche ci indicano che la scuola da sola non basta.

Valga un esempio su tutti il dato sulla disabitudine alla lettura: anch’esso estremamente variegato tra le varie parti di Italia, con quasi un 6-17enne su due che non apre un libro durante l’anno.

Ad oggi, inoltre, ancora un numero elevato di minori è lontano dai luoghi della cultura (teatro, cinema, musei, mostre, etc.); meno di un 6-17enne su cinque non pratica uno sport; di contro, nel decennio 2008-2018 è aumentato in maniera esponenziale il numero di minori “iperconnessi”.

Per rimettere l’Italia «nel verso giusto» (p. 166) bisogna riaccendere la parola educazione, consapevoli che essa – coniugata alla cultura – costituisce un antidoto efficace contro la povertà.

Proposte per la lotta alle povertà educative

Un momento significativo in tale direzione è rappresentato dall’istituzione, nel 2016, del Fondo di contrasto alla povertà educativa minorile, grazie ad un accordo del Governo con le fondazioni bancarie. Nel triennio 2016-2018, tale fondo – alimentato attraverso il credito di imposta garantito alle fondazioni che versano le risorse – ha introdotto 130 milioni di euro all’anno, sotto la diretta gestione dell’impresa sociale “Con i bambini”, per progetti innovativi finalizzati alla rimozione degli ostacoli di natura economica, sociale e culturale che impediscono la fruizione adeguata dei processi educativi da parte dei minori.

Ad oggi, 270 progetti selezionati hanno permesso di coinvolgere oltre 400 mila minori e le loro famiglie, mettendo in rete 6.500 diverse organizzazioni tra terzo settore, mondo della scuola, università ed altri tipi di enti. Pur trattandosi di cifre significative e benché siano state assicurate altre risorse (minori) con la legge di bilancio 2019, il rischio è di non riuscire a garantire la messa a sistema delle progettualità avviate.

Bisognerebbe valorizzare le migliori sperimentazioni, al fine di riformare le politiche educative, sociali ed urbane ed investendo in maniera finalizzata nei territori più marginali, anche per non correre il rischio di dare opportunità e risorse ad aree meno problematiche. In effetti, nonostante il Decreto Mezzogiorno n. 91 del 2017 – per individuare «aree di esclusione sociale caratterizzate da povertà educativa minorile e dispersione scolastica, nonché da un elevato tasso di fenomeni di criminalità organizzata» in cui concentrare gli interventi educativi, anche con il coinvolgimento delle banche dati del MIUR, Invalsi e Ministero del Lavoro – non si hanno ancora mappe affidabili dei territori educativi.

Centralità degli interventi nei primi anni di vita

Il richiamo nell’Atlante al monito della Commissione europea nel 2011 – «Assicurare ad ogni bambino il miglior inizio possibile rappresenta una delle più lungimiranti ed efficaci politiche che un governo possa adottare» – rimanda ai servizi per la prima infanzia e al riconoscimento dell’unitarietà del percorso educativo da 0 a 6 anni, che con il Decreto Legislativo n. 65/2017 in attuazione di quanto previsto nella Legge n. 107/2015, ha dato l’avvio alla realizzazione di un sistema integrato «all’interno di una visione organica del sistema di istruzione e formazione».

La strada è tutta in salita. Nonostante l’istituzione del Fondo destinato a finanziare i servizi 0-3 anni e la diffusione di Poli 0-6 su tutto il territorio nazionale, le sperequazioni tra le diverse regioni d’Italia restano elevate, soprattutto nel Mezzogiorno.

Certo è che sta maturando sempre più la coscienza dell’importanza di sviluppare la rete di servizi alla prima infanzia e il sistema integrato 0-6 anni. È diffusa la consapevolezza della valenza di tali servizi specialmente in aree deprivate: «In tali contesti l’asilo deve diventare il fulcro di un intervento polifunzionale capace di assicurare lo sviluppo cognitivo e sociale dei bambini nei primi anni di vita e insieme di fornire un punto di riferimento alle famiglie: un centro di educazione alla genitorialità, per l’apprendimento, la socializzazione, il counseling esperto e il sostegno educativo e sociale» (p. 170).

Investimenti prossimi futuri

La disamina condotta da Save the Children Italia ha messo in evidenza luci (ancora troppo poche) ed ombre (ancora troppo elevate) intorno alla realtà che caratterizza la condizione dell’infanzia oggi nel nostro Paese.

C’è bisogno di continuare ad investire in maniera sempre più mirata, avendo soprattutto il coraggio di dirottare risorse più cospicue a favore dell’infanzia, delle loro famiglie e del sistema di istruzione nel suo complesso, con un occhio attento ai territori deprivati.

Nell’Atlante si legge che «fanno sperare anche le recenti dichiarazioni programmatiche del secondo governo Conte» (p.169): in realtà, nella prossima legge di bilancio – il cui testo da sottoporre al Parlamento è stato definito lo scorso 29 ottobre – sono contenute alcune misure specie a favore delle famiglie e i loro bebè. Assegno unico per la famiglia dal 2021, istituzione di un fondo famiglia, taglio del cuneo fiscale, potenziamento del bonus bebè[2] sono certamente scelte che vanno nella giusta direzione, ma non appaiono risolutive di una situazione ben più complessa e annosa.

È arrivato il tempo dei bambini

La condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, così come emerge dall’Atlante 2019, deve far riflettere. A tutti i livelli di responsabilità.

E bisogna guardare al potenziale che le giovani generazioni posseggono in prospettiva sia del presente, sia del futuro e non solo per se stessi, con la consapevolezza che esse rappresentano un patrimonio nazionale prezioso da preservare e sostenere.

Non a caso Eglantyne Jebb, fondatrice di Save the Children affermava che «ogni generazione di bambini offre, nei fatti, all’umanità la possibilità di ricostruire il mondo dalle sue rovine» (p.179).

[1] https://www.garanteinfanzia.org/news/pubblicato-il-dossier-disordiniamo

[2] V. R. Petrini, Cosa cambia con la manovra, La Repubblica, 30 ottobre 2019, p.11