Non sono un voto. Quale valutazione per l’apprendimento di tutti?

Un convegno di successo (MCE-Università Bicocca)

Il giorno 28 ottobre si è tenuto a Milano, organizzato dal Movimento di Cooperazione educativa in collaborazione con l’Università “La Bicocca”, presso la cui Aula Magna è avvenuto l’evento, un convegno sulla Valutazione scolastica. Ha avuto un successo enorme: hanno partecipato più di mille persone, tra insegnanti di tutti gli ordini di scuola e studenti del Corso di laurea in Scienze della formazione primaria e non solo. Docenti provenienti da diverse città d’Italia hanno infatti fatto precedere il convegno da ricerche e confronti sulla tematica, su diverse pratiche di valutazione e di ricerca alternativa al voto, dando corpo ad un vero e proprio gruppo di lavoro interconnettendo ricerca universitaria, insegnanti impegnati sul campo e Associazioni professionali. Questi docenti sono stati perciò presenti al pomeriggio alla guida di laboratori molto frequentati e proficui. L’obiettivo dei lavori di preparazione e del convegno stesso è stato quello di accrescere la riflessione sulla tematica della valutazione come elemento centrale della progettazione didattica e della realizzazione ”dell’equità scolastica”, attraverso una metodologia che accompagni e cerchi di migliorare l’insegnamento per renderlo più efficace.

Il quadro di riferimento

La prima parte dei lavori si è svolta in plenaria con l’utilizzazione dell’aula magna ma anche di alcune aule adiacenti in videoconferenza, dato l’enorme afflusso di iscritti e partecipanti; comprendeva la mia relazione dal titolo “Alcune riflessioni di senso intorno alla storia della valutazione scolastica”su cui dopo riferirò alcuni passaggi ritenuti fondanti. A seguire Loredana Leoni, Dirigente scolastica di Milano, con ”Valutazione e voto: come, quando, perché” che, avendo fatto parte della Commissione che ha realizzato i lavori di preparazione al Decreto Legislativo 62/2017, ha potuto spiegare come, nonostante le ragionevoli aspettative che non venisse riconfermato il “voto”, si è avuta la sgradita sorpresa di ritrovarlo sia pur mitigato da qualche buon riferimento alla valutazione formativa ma ridotto ad ammennicolo. Ancora una volta ha avuto la meglio la ricerca facile del consenso “i genitori vogliono il voto…”e non invece l’opportunità psicopedagogica. Nonostante l’amarezza Loredana vedeva ancora il “bicchiere mezzo pieno” Successivamente è stata la volta della prof.ssa Elisabetta Nigris, presidente del corso i laurea e nota esperta di formazione dei docenti, con una relazione dal titolo “La valutazione formativa/autentica” che ha affrontato la differenza tra le diverse modalità di valutazione, contestualizzandole nello scenario culturale odierno affetto da “analfabetismo funzionale”e aggiungendo le esperienze di un gruppo di tirocinanti universitarie seguite da lei, soffermandosi su esperienze interessanti di autovalutazione da parte di alunni di scuola primaria. Il professor Franco Passalacqua ha concluso la plenaria ribadendo come l’oggettività nella valutazione, e non solo, sia un “mito” ormai sfatato .

Dalla valutazione sommativa a quella formativa

E stato il professor M.Scriven (1967)[1] a coniare la differenza tra queste due modalità di valutazione: la prima è quella tradizionale, utilizzata in Italia dalla Riforma Gentile (1923) in poi per scremare gli studenti al fine di selezionare i migliori destinati alle classi dirigenti. Si è talmente incarnata nelle pratiche valutative da diventare uno script difficile da scardinare. E’ stata però messa in crisi dall’applicazione della Costituzione (art.3 e art.34), con l’approvazione della legge sulla scuola media unica (L.1859/62). La riforma fece registrare un’ ecatombe simbolica di ragazzini attraverso un numero esorbitante di “bocciature”, perché il Ministero di allora non provvide a ri-orientare il corpo docente nel passaggio dalla scuola elitaria a quella “di massa”. Prima della legge a scremare i ragazzini ci pensava l’esame di ammissione, abolito dalla legge del 1962.

Don Milani e il ’68: contro la valutazione

Il primo ad elevare un grido di dolore fu don Milani con la sua “Lettera a una professoressa” in cui egli con una metafora sanitaria efficacissima affermò che “la scuola non può essere un ospedale che accetta i sani e respinge gli ammalati”, soprattutto una scuola che, dopo la Costituzione, doveva costruire la cittadinanza in tutti gli italiani, “rimuovendo l’ostacolo dell’ignoranza“ per garantire il superamento della sudditanza e l’attivazione del pensiero critico, oggi definito competenza ermeneutica o interpretativa, indispensabile per capire gli eventi e il mondo.

A far da cassa di risonanza al testo di don Milani fu il Movimento studentesco del ’68 che, sottolineando la funzione di emarginazione e di esclusione della valutazione “sommativa”, propose il superamento di ogni forma di valutazione. Da questa semplice considerazione scaturì l’atteggiamento a-valutativo del ’68, tanto esecrato da alcuni “intellettuali” odierni troppo veloci a sputare sentenze e dai politici “restauratori”. Il ’68 ha fatto una denuncia socio-politica, non aveva il compito di realizzare un modo nuovo di valutare più adeguato alla scuola della Costituzione. Ci penseranno la docimologia e la psicologia poi a preparare ulteriormente il terreno per la pedagogia.

La critica docimologica e quella psicologica

La docimologa (M.Gattullo: Didattica e docimologia, 1968).[2], in quanto scienza della misurazione, ha fatto piazza pulita di alcuni equivoci che cercherò di riassumere. La “misurazione” precede la “valutazione” e non va confusa con essa, coincidenza invece resa possibile in Italia dal codice numerico dell’espressione della valutazione. I voti vengono considerati vere e proprie unità di misura di una scala perfetta, con intervalli tra loro perfettamente uguali: aspetto che Gattullo sottolinea essere impossibile. Gli stimoli creati dai docenti per le verifiche quasi sempre sono approssimativi per cui vengono proposte le cosiddette “prove oggettive”. Tale dispositivo però non risolve il problema sollevato da don Milani. Le prove devono essere considerate nel loro valore diagnostico: la cura delle difficoltà emerse sarà affidata all’insegnamento individualizzato. La valutazione poi deve adottare dei criteri espliciti, non confusi tra loro, ed ospitati nel PTOF. Mi soffermerò soltanto a segnalare come il criterio di valutazione che si rifà al giudizio assoluto viene definito da Gattullo illecito (ecco il significato del titolo: non sono un voto!). Criteri accettabili possono essere quelli scaturiti dal confronto con le misurazioni riferite agli altri studenti o ai progressi ottenuti dal soggetto preso in considerazione. Gli effetti della critica psicologica, che non hanno bisogno di spiegazione perché o già molto noti o facilmente comprensibili sono: l’effetto alone, l’effetto stereotipo e l’effetto Pigmalione. Tutte queste critiche sottolineano come la valutazione numerica sia SOGGETTIVA E ARBITRARIA.

Valutazione formativa (Legge 517/1977)

La valutazione formativa, approfondita da B.Vertecchi nel 1976[3] introdotta dalla L.517/1977, ripresa dalle Indicazioni ministeriali, che qui non riporto per ovvie ragioni di spazio, ascrive la prima responsabilità del mancato apprendimento all’insegnamento del docente che, nel processo della sua attività didattica, attraverso osservazioni mirate e microverifiche informali , dovrebbe cercare di cogliere le smagliature, le difficoltà di apprendimento dei suoi allievi, AUTOINTERROGARSI AUTOVALUTANDOSI – per verificare se ha una strategia didattica alternativa e più operativa a disposizione (altrimenti ricercarla) – e poi autoaggiustarsi in tempo reale. La valutazione formativa non è mai decollata per diverse ragioni all’insegna della ripetitività, tra cui possiamo annoverare analisi che si rifanno alla simulazione incarnata (Gallese) dei neuroni specchio e alla peculiarità dell’apprendimento trasformativo così difficile per gli adulti già professionalizzati (Mezirow), senza dimenticare le ragioni psicologiche afferenti al peso della responsabilità e alle reazioni del proprio mondo interno a fronte della frustrazione dell’inefficacia del proprio insegnamento.

Un movimento per superare il voto numerico

Nel pomeriggio hanno avuto luogo parecchi laboratori contrassegnati da varie ed interessanti esperienze di applicazioni valutative alternative al voto, cui sono seguite altre relazioni sulla “Formazione per gli insegnanti” (B.Balconi); su “Che fare a scuola?” da parte di Davide Tamagnini, maestro del MCE che si è molto impegnato per la realizzazione del convegno. Un significato particolare va assegnato all’intervento di Anna D’Auria, segretaria attuale del Movimento, che ha presentato il valore politico dell’evento, collegando valutazione formativa ai quattro passi per una scuola democratica e inclusiva che dovrebbe sfociare nella prospettiva dell’abolizione del voto numerico (Voti a perdere) e in una proposta alternativa molto più logica e pregnante.

[1] Tyler R., Gagné R.,Scriven M.,Perspectives of curriculum Evaluation, Chicago,1967.

[2] Gattullo M.,Didattica e docimologia-misurazione e valutazione nella scuola,Armando Armando editore,Roma,1968

[3] Vertecchi B.,Valutazione formativa, Loescher,Torino,1976.