I concorsi straordinari: tra qualità e urgenza

Un binomio impossibile

Le modifiche del “Milleproroghe”

A breve il CSPI esprimerà i dovuti pareri sui futuri bandi per i concorsi scuola. Sappiamo che sono pareri obbligatori, ma non vincolanti e che il MIUR potrà anche non tenerne conto. Sappiamo anche che i sindacati scuola hanno indetto per il 6 marzo p.v. uno sciopero per difendere i diritti dei docenti precari, a dimostrazione, quindi, del totale dissenso nei confronti delle scelte ministeriali.

In questi giorni si sono susseguiti nei social dettagli informativi che poco aggiungono alle questioni già note. Il decreto milleproroghe (ulteriore tassello della legge di bilancio 2020) ha apportato, di fatto, alcuni ritocchi:

• con il primo si sposta il termine entro cui dovranno essere pubblicati i bandi, cioè entro il 30 aprile 2020: quattro mesi oltre la data già fissata dal decreto scuola 126/2019 e due mesi dopo la data annunciata dal Ministro;

• con il secondo ritocco si uniformano i programmi della prova scritta del concorso straordinario della scuola secondaria con quelli del concorso ordinario;

• con il terzo si modificano lievemente i compiti della commissione nazionale, già regolati dall’articolo 3 comma 6 del D.lgs. 59/2017: la commissione nazionale deve definire “le prove scritte” e non più “le tracce delle prove scritte”. Tale precisazione appare abbastanza criptica. Si vuole forse ricomprendere nei compiti della commissione anche quelli relativi alle prove computer based, o forse si vuole semplicemente “liberalizzare” tutte le prove e svincolarle dalla predisposizione di tracce?

Una strana idea di qualità

Se “agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni si accede mediante concorso” (art. 97 della Costituzione) è perché lo Stato vuole garantire tutte le condizioni per la formazione delle giovani generazioni e, quindi, per il miglioramento del nostro Paese. La scuola è il primo agente di sviluppo in quanto servizio fondamentale della nostra società. Tutti i concorsi devono, quindi, fondarsi su presupposti qualitativi.

I decisori politici sanno bene che insegnare è una scelta impegnativa, di grande valore professionale e di profondo significato civico e che la selezione deve assicurare che ogni aspirante docente sarà poi in grado di rispondere in pieno a tutti i requisiti. Ha ragione, quindi il Ministro nel voler difendere e tutelare la qualità delle procedure concorsuali da possibili semplificazioni o “inquinamenti”.

Il nodo da sciogliere, però, è quali sono le modalità che possono, a tutti gli effetti, garantire la “reale” qualità. Forse è possibile farlo attraverso le tre prove dei concorsi ordinari, se saranno ben pensate. Ma per i concorsi straordinari può diventare una garanzia di qualità una prova selettiva, con il sistema CBT (computer based training), costituita da 80 domande a risposte chiuse?

In genere la prova CBT viene utilizzata come un test preselettivo. Lo si usa non per stabilire chi merita veramente, quanto invece come strategia regolativa, non potendo il sistema amministrativo rispondere adeguatamente a tutte le domande sociali.

Per il concorso straordinario ci troviamo di fronte a docenti che hanno già una loro esperienza acquisita sul campo avendo maturato almeno tre anni di servizio. È giusto che lo Stato si preoccupi di capire se i tre anni di lavoro sono stati fruttuosi sul piano professionale, ma è pressoché impossibile che tale verifica possa avvenire attraverso un test CBT.

Cosa non accerta un test CBT

È un sistema questo che può rafforzare sicuramente le capacità mnemoniche e le abilità mnestiche, forse anche qualche processo logico, ma non potrà dare riscontro della piena professionalità del docente, né tanto meno del suo livello di riflessività. In altre parole, un test CBT non accerta se durante i tre anni di insegnamento il docente precario:

• è stato in grado di trasformare le sue esperienze didattiche in oggetti culturali riproponibili e se è riuscito a consolidare i comportamenti postivi e le buone pratiche;

• se ha acquisito la capacità di gestire le relazioni in classe e se ha imparato a collaborare nelle attività dei consigli e dei dipartimenti;

• se è stato capace di favorire l’esplorazione e la scoperta, di incoraggiare l’apprendimento collaborativo e la metacognizione, se ha saputo realizzare una didattica laboratoriale ed interventi adeguati nei confronti della diversità;

• se è stato in grado di assumersi compiti di responsabilità nella comunità professionale e di portarli a compimento e se è ha stabilito proficui rapporti con le famiglie e con il contesto sociale.

Rispetto ai saperi, che sono oggetto di insegnamento, un test può accertare solo alcune conoscenze, non certamente il livello di padronanza. Per esempio non può verificare:

• se il docente è in grado di analizzare e descrivere le conoscenze in ordine alla loro insegnabilità e in relazione alle diverse età evolutive;

• se è consapevole delle connessioni tra le diverse discipline e dell’esigenza di unitarietà;

• se sa utilizzare tutti i dispositivi metodologici tipici di ogni materia di insegnamento, delle sue strutture linguistiche e lessicali;

• se sa coglierne il valore ermeneutico e le possibili applicazioni operative;

• se sa “tradurre” la propria disciplina in termini di conoscenze, abilità e competenze, individuando compiti di apprendimento e traguardi di sviluppo.

Sono queste le dimensioni professionali cui probabilmente l’attuale ministro fa riferimento quando rivendica, giustamente, un concorso serio e qualitativamente fondato.

Ma con quali strumenti i decisori politici intendono, oggi, avverare tali presupposti di qualità?

Non si possono coniugare qualità e urgenza

La priorità di difendere la qualità professionale del docente viaggia di pari passo con l’esigenza, altrettanto prioritaria, di tener conto delle domande reali del Paese. Le scuole hanno bisogno subito di avere docenti stabili su cui contare. Lo stato di emergenza ha caratterizzato l’incipit dell’anno scolastico 2019-2020 e per il prossimo si prevedono difficoltà ancora maggiori, se la situazione non verrà in parte migliorata attraverso un maggior numero di nuove assunzioni a tempo indeterminato.

Siamo tutti consapevoli che l’accertamento della qualità professionale ha bisogno di prove ben articolate e di commissioni esperte. Entrambi i requisiti richiedono tempi lunghi e consistenti risorse economiche. Ciò non è possibile se si vuole stabilizzare subito un buon numero di precari, ma in tal caso la qualità e l’urgenza non possono dialogare.

È tuttavia disdicevole “far finta” di perseguire la qualità solo attraverso l’accertamento di “semplici conoscenze” attinente alle discipline, o alle didattiche, o alle stesse leggi della scuola. È un “inganno” logico che veicola una falsa idea di professionalità. Forse sarebbe molto più sensato ed economico “eliminare” il concorso straordinario e inserire gli aventi diritto in base ai titoli acquisiti e al servizio prestato. I rischi di tale ipotesi potrebbero essere arginati rendendo maggiormente selettivo il periodo di formazione e prova, attraverso strumenti più attenti di osservazione, monitoraggio e, soprattutto, di tutoraggio, prolungando, se del caso, lo stesso periodo iniziale.

E gli insegnanti specializzati?

Tale riflessione vale ancor più per i docenti di sostegno che stanno completando l’iter di specializzazione attraverso il TFA. Questi, in genere, hanno anche integrato la loro preparazione attraverso l’acquisizione dei 24 crediti e hanno già maturato tre anni (e oltre) di servizio nelle scuole. Per poter partecipare al TFA essi hanno dovuto già sostenere tre prove (preselettiva, prova scritta e colloquio), hanno seguito un percorso intensivo di studi di un anno, hanno effettuato un tirocinio nelle scuole, lo hanno documentato attraverso un rapporto di ricerca, hanno sostenuto un gran numero di esami in relazione ai diversi argomenti del percorso di specializzazione; hanno presentato una tesi e superato la prova finale.

Appare un accanimento di Stato quello di sottoporli ad ulteriori accertamenti e una pura incongruenza logica quella di affidare ad un test di tipo mnemonico la legittimità a decidere il loro inserimento nel mondo della scuola. Perché perdere tempo e risorse (seppure contenute) ad elaborare procedure che non aggiungono nulla e che anzi possono anche essere fuorvianti, mentre le scuole hanno urgente bisogno di docenti specializzati?

Diverso sarebbe invece se lo Stato decidesse di far ricorso a commissioni ben selezionate volte ad accertare “de visu” non solo la professionalità reale, ma anche la propensione all’insegnamento e le competenze attitudinali.