Il DPCM che “non libera tutti”

Il DPCM che “non libera tutti”

Potrò uscire? Non potrò uscire? Potrò fare quel … che mi pare? Tra ansie, preoccupazioni, aspettative e bestemmie, milioni di trepidanti cittadini, domenica 26 aprile, dopo cena, hanno seguito la conferenza stampa del premier Conte per la presentazione del DPCM n. 108 pubblicato il 27 aprile 2020, recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale1

Si era in speranzosa attesa dell’avvio della “FASE2” e del “VIA LIBERA TUTTI” a partire dal 4 maggio ma, non sembra sia andata come tanti speravano. “Se si vuol bene all’Italia, ha rimarcato più volte “l’Avvocato” degli italiani, occorrerà rispettare le distanze perché altrimenti la curva risale, come gli scienziati hanno evidenziato. Se gli italiani, e le aziende, non rispetteranno le regole e le norme di sicurezza, il governo si vedrà costretto a chiudere ancora.”Urca.Siete pronti?Gli interventisti del nuovo medioevo tecnologico hanno già le spade affilate e le armi pronte per la battaglia. Visto che non si è liberi tutti, si dia quindi il via libera a polemiche, a fake, a verità e a mezze verità, da diffondere sui canali privilegiati dei social e dei media nazionali. Barbara D’Urso e i suoi colleghi hanno già pronte le scalette dei loro programmi.

Aprire tutto subito… rimandare tutto…

Parole, parole, parole… Il bel tacer non fu mai scritto e la storia, purtroppo, non ci insegna nulla.

Dall’interventismo sostenuto ai tempi della grande guerra da industriali, borghesia e finanza, sino a quelli dell’influenza spagnola, conosciuta come la spagnola o la grande influenza che fra il 1918 e il 1920 uccise decine di milioni di persone nel mondo… siamo ora investiti dalle tante, troppe, parole e sembra quasi di ritornare indietro di un secolo mentre riecheggiano alla mente le nefaste parole del Generale Cadorna: “la guerra si sarebbe risolta entro l’estate”, fatte proprie dai pochi e potenti uomini per avallare l’invio al macello di centinaia di migliaia di italiani, il cui numero (si parla di cifre che arrivano sino ad 1.780.000) non è mai stato (inspiegabilmente?) definito con esattezza. Allora gli interventisti volevano “aprire la guerra” mentre gli interventisti di oggi vogliono “aprire le scuole”, prima che si può.

Bisogna dare un segnale ai ragazzi…[2]

E già, con il coronavirus è giunto il momento di dare un segnale ai ragazzi… Ancora parole, parole e parole. Quante volte ho sentito queste parole nei Collegi dei Docenti, nei Consigli di Classe o nelle Assemblee dei Genitori. Quante volte le ho lette sui rotocalchi. Troppe.

Bisogna dare un segnale ai ragazzi. Il da tanti inteso vate sui destini della scuola italiana e sulle nuove generazioni senza spina dorsale, Ernesto Galli della Loggia, inizia così le sue dissertazioni sul coronavirus e sulla riapertura delle scuole. Proviamo a seguire le parole e il pensiero, tanto decantato da buona parte dell’immaginario collettivo, più o meno borghese, più o meno industriale, più o meno proletario.

“Si potrebbe recuperare l’anno perduto agganciandolo all’anno successivo. Ad esempio, iniziando il nuovo anno scolastico il 25 agosto; poi fino al 15 ottobre recuperare il trimestre perduto; a questo punto svolgere gli scrutini non fatti nel giugno precedente; infine dare inizio al nuovo anno il 1° novembre.”

Riconosco che è senza dubbio una proposta molto interessante quella di far“recuperare l’anno perduto agganciandolo al nuovo” ma penso che la scuola e la società, in questo difficile momento, non abbiano bisogno di scoprire l’acqua calda o di chi sfonda porte aperte. Sono infatti più che certo che i componenti di altissimo livello professionale ed esperienziale, individuati e incaricati dalla Ministra Lucia Azzolina, facenti parte della task force coordinata dal Professor Patrizio Bianchi[3] (già Assessore Regionale all’Istruzione dell’Emilia Romagna) a cui è stato attribuito il difficile compito di dare indicazioni per la fine dell’anno scolastico e l’avvio del nuovo che verrà, siano ben consapevoli della necessità di recuperare l’anno perduto agganciandolo al nuovo. Ragion per cui, sicuramente daranno le loro indicazioni orientati dai principi pedagogici della continuità educativa e didattica che, nella maggioranza delle scuole, si attua sin da tempi ben lontani dall’epidemia in atto.

Riaprire le scuole il 25 di agosto?

Rispetto all’idea di iniziare il 25 di agosto, immaginando che chi insegna all’Università, possa essere ben lontano dallo stato dell’arte dell’attuale edilizia scolastica, mi permetto di ricordare al Professore, la realtà di fatto, strutturale e ambientale, che riguarda la maggioranza delle scuole italiane e che dovrebbe sapere, vista la conoscenza che vanta sul mondo dell’istruzione, nonché le varie profezie periodicamente esternate sul destino delle Istituzioni scolastiche e dei loro alunni.

Mi verrebbe da chiedere se, per caso, chi parla sia mai stato in una scuola del primo o del secondo ciclo in agosto. Se sia a conoscenza, o meno, di quanto sia previsto sulla sicurezza nei contesti scolastici dal Dlgs. n. 81 del 2008 e dagli atti a questo correlati, pre e post coronavirus. Oppure se sia mai stato per un’intera giornata in una sezione di Scuola dell’Infanzia, in modo da poter compiutamente parlare sulla riapertura delle scuole e sulle modalità atte a garantire, ad esempio, il distanziamento sociale tra bambini da due anni e mezzo a cinque. Se per caso non lo avesse fatto lo invito a farlo, così, giusto per farsi un’idea. Sono sicuro che tanti colleghi gli aprirebbero le porte per dargli il doveroso ben…venuto. Sono assolutamente convinto che i bambini debbano uscire da casa prima che si può, come fortemente sostenuto dall’Associazione Nazionale Pediatri. Sono assolutamente certo dei rischi psicosociali correlati a questa situazione di forzata clausura, sia per i piccoli che per i grandi.

Semplicistiche evidenze di “mezza estate”

Ma quando si parla della riapertura delle scuole e, conseguentemente, della sicurezza per il paese, prima di sciorinare, come oramai da consuetudine, verità integraliste o slogan polemici del tipo: un “grave sbaglio” o scelte profondamente diseducative”, si dovrebbe fare attenzione a non lasciarsi sedurre dai canti delle settorializzazioni particolari e specialistiche, spesso decontestualizzate e semplicistiche, come purtroppo, a volte, può accadere quando ci si crogiola nelle torri d’avorio accademiche. Sarebbe infatti opportuno considerare che, nel momento in cui si parla di scuola, si deve tener conto, purtroppo, di una delle tante regole/tegole amministrative che dovrebbe essere conosciuta da chiunque si permetta di argomentare sui temi dell’istruzione. Ovvero del fatto che una larga fetta di personale scolastico, docente e non, è precaria con contratti annuali fino al termine delle lezioni previsto dal calendario scolastico (che si ricorda, a chi lo avesse dimenticato, è fissato dalle singole Regioni…) oppure sino al 30 di giugno. Mentre un’altra buona fetta lavora invece con scadenza contrattuale al 31 di agosto…

Quindi, il riprendere le lezioni martedì 25 per finire lunedì 31 agosto, oltre ai rischi connessi allo svolgere, nei sei giorni agostani, attività scolastiche in… aule crematorie, presupporrebbe sia di non avere gli insegnanti che avevano contratti con scadenza a fine giugno, sia di perdere, dal primo di settembre, i docenti che avevano curato la didattica a distanza (da febbraio a giugno) e che, nel fantavirus, dovrebbero recuperare il trimestre perduto (ma dal 25 agosto al 15 ottobre quale calendario segna tre mesi?) per poi fare gli scrutini non fatti dai loro colleghi a fine anno scolastico (ma dove è scritto che non si faranno gli scrutini a giugno?).

Tra approssimazioni e senso di realtà

Quante parole tra approssimazioni e senso di realtà. Al riguardo, consiglio di leggere le “grida” della ricerca del Politecnico di Milano per “LA RIAPERTURA DI SCUOLE ELEMENTARI E MATERNE”[4], pubblicate sempre sul Corriere.it del 25 aprile e introdotte dalle suggestioni e dai rimandi all’immaginario collettivo veicolati con la foto di un lenzuolo appeso a una ringhiera con la scritta “APRITE LA SCUOLA…” nonché “condite”, in maniera vergognosamente strumentale, con la struggente letterina di un bambino al Presidente Mattarella che chiede di tornare a scuola, pubblicata sempre sullo stesso quotidiano online.

La prima cosa che a qualsiasi cittadino verrebbe da dire è… Ma esistono ancora le scuole elementari e materne? Ma di quali scuole stanno parlando?

Bah, oramai non so più che dire. Non so se il fatto che si stia parlando di scuole usando termini approssimativi (alla buona) che non esistono più da decenni sia da ricondurre al glossario dell’eminente “Team di Ingegneri” del Politecnico di Milano oppure a quello del giornalista Gianni Santucci. Sicuramente fa molto pensare (o almeno dovrebbe farlo a chi ne ha ancora la capacità) leggere un articolo che se la canta e se la suona sulla necessità di riaprire le scuole, giocando sia le carte pedagogiche che affettive di chi non vuol dimenticare che “…anche i più piccoli hanno bisogno di relazioni sociali,” per poi chiudere dopo diverse righe (nella consapevolezza che tanto l’80% dei lettori si è già fermato al titolo e alla foto) con un “…la medicina non ha ancora certezze. E non è una variabile che è entrata nel nostro modello -precisa il Rettore dell’Ateneo milanese- perché il gruppo di lavoro si è concentrato solo sul vincolo delle distanze, senza introdurre elementi sui quali non abbiamo competenze.”

Il comune cittadino forse potrebbe pensare: «Ma allora che si parla a fare su temi che riguardano la salute se non si hanno competenze?» I saggi ci ricordano che una parola è poca e due sono troppe.

E i lavoratori con età superiore ai 55 anni?

Gli specialismi settoriali possono essere causa di molti danni. Tenuto conto che si tratta di un team di alto livello specialistico, mi preme ricordare sia agli Ingegneri del Politecnico che al Professore che mentre, si parla in maniera semplicistica ed approssimativa della riapertura delle scuole, in un documento dell’Inail, preparato da esperti in vista del riavvio delle attività scolastiche, si consiglia una “sorveglianza sanitaria eccezionale per i lavoratori con età superiore ai 55 anni”. Per loro in assenza di copertura immunitaria adeguata (in sostanza, test sierologici) si dovrà valutare la possibilità di un giudizio di “inidoneità temporanea al lavoro da rivalutare a scadenze fissate”Sapete questo che cosa significa?

Secondo i dati degli osservatori internazionali dell’Ocse, l’Italia conta gli insegnanti più anziani d’Europa con un’età media di 49 anni ed ha quasi la metà dei docenti over 50, più precisamente il 49%. Quindi? Se si considerano quelli sopra i 55 anni, i docenti che dovrebbero essere sottoposti a test e a sorveglianza, potrebbero essere il 30% del totale, senza poi dimenticare l’età dei Presidi. O meglio, di coloro che a suo tempo il legislatore ha definito, con inaccettabile approssimazione, come “datori del lavoro”, scaricando sulle loro spalle tutte le responsabilità connesse ai contesti lavorativi scolastici ma lasciandoli mancanti degli strumenti necessari per poter garantire la sicurezza e attuare in maniera compiuta un Decreto legislativo che resta in attesa, da circa quarant’anni, dei dovuti Decreti attuativi per la scuola (chissà perché…). Parliamone.

Sulla salute e sulla sicurezza nelle scuole non si può giocare con gli spot, le fake e le bufale. Si tratta di una questione di interesse generale. In epoca pre-covid ed oggi ancor di più, i Dirigenti Scolastici, così pure come i Sindaci, non sono nelle condizioni oggettive di adempiere in maniera compiuta al compito della prevenzione dei rischi. Ma questo cerino viene lasciato nelle loro mani, in attesa di ingrossare il portafoglio dell’azzeccagarbugli di turno.

Mi fermo qui. Non vorrei rischiare di prendere una strada sul tema della sicurezza che ci porterebbe molto lontano. Ritorno perciò alle esternazioni del Professor Galli Della Loggia.

Il COVID e il paese di Bengodi

“Mentre per l’Italia l’epidemia di Covid-19 rappresenta una catastrofe, per gli alunni rischia di equivalere a quello che un tempo si sarebbe detto il Paese di Bengodi.” Devo ammetterlo. Queste frasi roboanti e ad effetto fanno (quasi) sempre colpo e son capaci di far breccia in chi si ferma ai soli titoli o agli spot. Purtroppo, la situazione degli analfabeti di ritorno è nota ma, per fortuna, c’è anche chi si chi fa qualche domanda.

Mi fermo, ad esempio, ad una che può sembrare semplice, semplice, semplice.

In che misura i bambini e i ragazzi possono sentirsi nel paese di boccacciana memoria, “avvolti da un’improbabile bambagia protettiva” mentre, nel comune in cui vivono, nel silenzio assordante ed angosciante delle loro case, stanno provando, sulla propria pelle, la tragedia di ciò che vuol dire non avere più casse per seppellire quei morti ai quali, purtroppo, non hanno potuto stringere la mano, fare un ultimo abbraccio o accompagnare al camposanto?

A dir la verità, io mi troverei in forte imbarazzo di fronte al rischio di confondere le idee di qualsiasi lettore, parlando del paese di Bengodi del Decamerone, che viene descritto al credulone Calandrino, da Maso del Saggio, Bruno e Buffalmacco, come se fosse quello di Bergamo, di Milano, di Piacenza, di Lodi e di tanti altri nell’epoca del coronavirus. Penso che in questi comuni, come in tanti altri che non ho citato perché lo spazio necessario sarebbe molto lungo, i bambini e i ragazzi non possano essere considerati come se fossero nel paese di Bengodi e credo che i loro drammi non abbiano certo bisogno di nuovi buffalmacchi da rotocalco.

Ai parolieri mestieranti è però sempre concessa la possibilità di pararsi in maniera arguta, magari apostrofando, in maniera cinica e sottile, con un “sono sicurissimo che a leggere queste righe il ministro o qualche altro burocrate del suo staff si precipiteranno a dire che non è affatto vero, ad assicurarci che per carità, tutto sarà fatto con il massimo scrupolo, che ci sarà comunque il più rigoroso accertamento del merito e tante altre confortanti parole. Ma sappiamo tutti che non è vero. Sappiamo tutti che nella sostanza le cose andranno come ho detto.”

Quanta arroganza e narcisistica superbia, colgo in queste parole, mirabile Della Loggia, e mi vien quasi da pensare: «Ma, se continua a gridare le sue apocalittiche profezie sulla scuola e sugli alunni, i suoi spot, così come già faceva prima del covid, questo microscopico e crudele re dalla corona malefica e velenosa che cosa gli avrà insegnato? Chissà.»

Per ogni cosa c’è il suo momento

“Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.” (ECCLESIASTE 3, 1-15) Per tante persona, ora è iniziato il tempo di gridare a squarciagola la necessità di far ripartire il lavoro, a prescindere. Ovvero di riportare ossigeno al capitale e di ridare il circolo a quel denaro il cui potere, prima della pandemia, prevaricava sul benessere delle persone e che, senza se e senza ma, ha portato Gea sino al punto di ribellarsi in maniera violenta e traumatica, per cercare di ricordare agli uomini le loro piccolezze e per rivendicare quel rispetto, da decenni violato dal profitto e dall’interesse a vantaggio di pochi e a discapito di tanti e della Terra stessa.

Ma, se come ammette il Professore, la sua “è una proposta certo criticabile, non discuto, e altre se ne possono immaginare” allora, mi chiedo, perché si prenda il tempo per dar fiato alla voce.

Mi si perdoni, ma l’incipit “Bisogna dare un segnale ai ragazzi” mi ha scatenato dentro, la voglia irrefrenabile di far sentire un segnale dai tanti che come me, da anni, quotidianamente ascolta i segnali dei bambini e dei ragazzi senza arroccarsi nella presunzione e nell’arroganza di coloro che pensano solo a far sentire la propria voce. Ovvero la voce rappresentativa di quegli adulti, da sempre sordi ai segnali che i nostri bambini e i nostri ragazzi ci inviano ogni giorno.

La retorica dell’antiretorica

Non vorrei essere però frainteso. Pur dando per scontato che sarò da Sua Eminenza o dai Suoi fan, liquidato come uno di quei soggetti dalla “bonarietà vacua e indulgente”o come un sostenitore del “demo-paternalismo” attuale, al contrario, sono ben consapevole di come i sacrifici possano essere importanti e non sono di certo per le promozioni facili, a prescindere. Ma non penso che non esista NULLA d’altro che sia “più istruttivo dei sacrifici.”Così come non penso che non esista niente altro se non i sacrifici“per togliersi idee sbagliate dalla testa, per imparare ad apprezzare alcune cose fondamentali della vita, per capire l’importanza della solidarietà, il legame che tiene insieme, che deve tenere insieme, una comunità; per capire che accanto ai diritti esistono i doveri.” Ma, dalla seconda guerra ad oggi, era mai successo un evento epocale, inedito e inatteso, come quello che stiamo vivendo? Da allora, era mai stato chiesto alle nuove generazioni un sacrificio, o meglio, più sacrifici come quelli che questa epidemia ha chiesto e chiederà ai bambini, ai ragazzi e alle loro famiglie?

La bocciatura dei bambini e dei ragazzi è forse il sacrificio ulteriore che si ritiene serio e necessario per farli crescere senza idee sbagliate, per apprezzare le cose fondamentali della vita, per capire la solidarietà?

Forse prima di incontrare il coronavirus c’è chi poteva pensare di sì ma, ad oggi, quante persone si sono chieste che cosa sta succedendo nelle case degli italiani? Forse nel paese di Bengodi del Boccaccio si viveva imprigionati tra le mura, nei silenzi della clausura, nell’allontanamento dalle persone care, nella solitudine?

Tu chiamale se vuoi… emozioni

La madre di un’alunna di classe terza di scuola secondaria di primo grado, al seguito della conferenza stampa di Conte, mi ha scritto una mail avente come titolo: “IN CERCA DI EMOZIONI” che condivido di seguito.

“Buongiorno Preside, quante volte Le ho scritto in questi anni, a volte Le scrivevo per lamentarmi, a volte per chiedere il Suo aiuto, a volte solo a titolo informativo…. Ho sempre cercato con Lei e con la scuola in generale, un confronto costruttivo in modo da poter aiutare le mie figlie e tutti i ragazzi nel miglior modo possibile. Adesso Le scrivo per una riflessione, o forse è meglio chiamarla “condivisione di uno stato d’animo” o forse è una disperata richiesta di aiuto…. l’ennesima di questi anni. In cuor mio sapevo che sarebbe finita così…. ma sa, fino a che non c’è stata l’ufficialità un pizzico di speranza dentro di me c’era ancora, non Le nascondo che una lacrimuccia è venuta giù anche a me oltre che a mia figlia. Dispiace…. dispiace che i nostri ragazzi, quelli del 2006, quelli che lasceranno per sempre la scuola del loro paese per spiccare il volo fuori dai “confini comunali” debbano finire così. Non parlo della didattica in questo momento, ma di tutte quelle piccole cose che aiutano a chiudere un percorso, che per quanto sia stato pieno di difficoltà rimarrà per sempre nei loro cuori… le ultime interrogazioni, gli ultimi giorni con i loro amati o odiati compagni di classe, che sentimento si provi non importa, è comunque un sentimento, l’ansia per l’uscita dei cartelloni dove si va a vedere se sono stati ammessi e con che voto, gli scritti…. poi l’attesa dell’orale, la festa di fine anno, come vestirsi… il pantaloncino troppo corto, la maglietta troppo scollata…- Il progetto “quota mille”, il torneo delle terze… Ecco tutte queste cose e tante altre che in loro suscitano emozioni, che li fanno sentire vivi e grandi…. tutte queste cose che aiutano a chiudere, bene o male non importa… ma comunque a chiudere un percorso per poterne aprire uno nuovo con un bagaglio di emozioni e ricordi che li accompagneranno per tutta la vita. Per tutto queste cose che a loro, piccoli grandi eroi di questa pandemia saranno negate, noi genitori e Voi scuola dobbiamo cercare di trovare qualcosa che li aiuti a creare EMOZIONE in quello che stanno facendo. Questo non vuol dire che tutti gli altri alunni del nostro Istituto Comprensivo di San Mauro Pascoli siano diversamente importanti, certo… C’è chi, a settembre, dovrà iniziare la primaria, chi la secondaria e chi semplicemente dovrà andare avanti nel proprio percorso, ne sono consapevole, come fare per poterli aiutare???? Approfitto per ringraziare Lei e tutto il corpo docente per il grandissimo lavoro svolto fino ad ora e per tutto quello che farete fino alla fine dell’anno, infine la ringrazio per aver trovato il tempo di leggere per l’ennesima volta una mia mail. Buon lavoro e Buona giornata.[5]” (S.S.)

Che altro dire? Sacrifici? Bocciature? Emozioni? Penso che i nostri ragazzi siano proprio in cerca di emozioni positive e costruttive, magari anche di quelle che nascono dalle difficoltà ma non di sacrifici e di rigori ulteriori a quelli che stanno/stiamo vivendo. Non credo di aver altro da aggiungere.

Studenti, il “cigno nero” di questo coronavirus

Avviandomi alla conclusione, sono ben certo che la task force del Miur composta da persone che vivono e che conoscono la scuola di oggi, nelle sue diverse realtà ed in maniera non approssimativa, saprà andare ben oltre a qualsiasi provocazione strumentale, ideologica, ed a qualsiasi integralismo. Indicando alla Comunità Educante la strada giusta per ritornare in una scuola che accolga i bambini e i ragazzi, nonché facendo presente al legislatore la necessità di mettere a disposizione di chi lavora nella scuola e per la scuola gli strumenti e le risorse necessari per garantire la piena sicurezza, per i piccoli e per tutto il popolo italiano, nel pieno rispetto del diritto all’istruzione, del diritto al lavoro e, prima di tutto, del diritto alla salute. Diritti consonanti ai principi fondamentali di quella tanto maltrattata, spesso malamente denigrata, Costituzione italiana. Altresì il gruppo di lavoro saprà indicare le modalità migliori per la chiusura dell’anno scolastico e per una onesta valutazione del percorso scolastico fatto dagli alunni e dai docenti tramite la didattica a distanza.

Chiudo perciò queste mie riflessioni pensando che, se vogliamo veramente imparare qualcosa di nuovo dal coronavirus prima che ai bambini e ai ragazzi… “Bisogna dare un segnale agli adulti” per far sì che in maniera nuova e rinnovata sappiano cambiare le opinioni precedenti ed essere al fianco dei nostri piccoli che il Direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna e componente della task force, Stefano Versari, chiama i nuovi “cigni neri[6]”, senza mai smettere di ricordare a me e ai colleghi presidi emiliano romagnoli che, di fronte a qualsiasi problema, bisogna che gli adulti siano portatori di speranza… “spes contra spem…”, ovvero “sperare andando oltre ogni speranza”, insieme ai nostri cari ed amati… cigni neri.

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[1] DPCM 26 aprile 2020

[2] Ernesto Galli Della Loggia, “Tutti promossi? Sbagliato. E le scuole riaprano il 25 agosto”, https://www.corriere.it/editoriali/20_aprile_25/occorre-dare-segnale-ragazzi-d3a52a08-872c-11ea-9b77-4fc0668b38e0.shtml

[3] Coronavirus, insediato comitato esperti. Azzolina: “Risposte in tempi rapidi”, https://www.miur.gov.it/web/guest/-/coronavirus-insediato-comitato-esperti-azzolina-risposte-in-tempi-rapidi-

[4] Gianni Santucci, «La riapertura di scuole elementari e materne è già possibile, ecco come»: lo studio del Politecnico di Milano, https://www.corriere.it/cronache/20_aprile_26/coronavirus-studio-matematico-politecnico-milano-riapriamo-materne-ed-elementari-afbcae70-872e-11ea-9b77-4fc0668b38e0.shtml

[5] Silvia Sini, già componente del Consiglio di Istituto, attualmente Rappresentante di Classe dei Genitori della Scuola Secondaria di primo grado dell’IC di San Mauro Pascoli (FC)

[6] “Voi studenti il ‘cigno nero’ di questo Coronavirus”. Il toccante messaggio dall’Ufficio scolastico regionale” http://www.bolognatoday.it/scuola/cigni-neri-coronavirus-lettera-studenti-emilia-romagna.html