C’è anche il RAV Infanzia

Un RAV da “provare”

Cosa avrà spinto oltre 1.800 scuole dell’infanzia italiane (464 campionate dell’INVALSI e 1364 autocandidate) a chiedere di partecipare alla “messa in prova” di uno strumento di autovalutazione, ormai conosciuto come RAV-infanzia, per richiamare l’alveo principale della valutazione di sistema (con l’avvio dell’SNV con il DPR 80/2013), ma per sottolineare la specificità dei processi di valutazione nella scuola dell’infanzia? Se lo devono essere chiesto anche i partecipanti alla presentazione del Rapporto di ricerca sul Rav Infanzia, organizzato da INVALSI il 15 luglio 2020 ed a cui mi è stato chiesto di portare un contributo di riflessione. I video dell’iniziativa ed i materiali nella loro versione integrale sono comunque disponibili sul sito dell’INVALSI (cfr. www.invalsi.it/infanzia/index.php?action=rav-i ).

La cultura della valutazione formativa

Riassumiamo però gli antefatti. Nel 2015 viene deciso che anche la scuola dell’infanzia avrebbe partecipato al Sistema nazionale di valutazione ed alle sue procedure imperniate sui processi di autovalutazione, valutazione esterna, miglioramento, rendicontazione sociale. Si coglie però la delicatezza della questione, che non può trasformarsi in un’automatica trasposizione degli strumenti messi a fuoco per gli altri livelli scolastici. Anche perché sono ancora fresche le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo (2012) che raccomandano di adottare nella scuola dai 3 ai 5 anni procedure di valutazione formativa e lapidariamente sottolineano che la valutazione “risponde ad una funzione di carattere formativo, che riconosce, accompagna, descrive e documenta i processi di crescita, evita di classificare e giudicare le prestazioni dei bambini, perché è orientata a esplorare e incoraggiare lo sviluppo di tutte le loro potenzialità”.

Inoltre, la cultura dell’autovalutazione trova nel sistema educativo 0-6 (oggi normato dal D.lgs. 65/2017) degli autorevoli antecedenti scientifici, in quanto considerata coerente con una prospettiva pedagogica che fa della riflessività degli educatori un principio basilare della qualità dei servizi educativi[1].

Una valutazione “mite”

Dunque, viene messo a punto uno strumento di autovalutazione che rispetta il quadro di riferimento complessivo del RAV così come elaborato dall’INVALSI per tutti gli ordini scolastici (attraverso una lunga stagione di sperimentazione), ma che si distingue per alcune precise scelte docimologiche (per non dire epistemologiche), prima fra tutti l’accantonamento di ogni forma di test per “misurare” i livelli di apprendimento dei bambini e la scelta di mettere il benessere al centro degli esiti formativi previsti per la scuola dell’infanzia e quindi oggetto di valutazione. Queste annotazioni sono state ribadite durante la presentazione del Rapporto di ricerca dal presidente INVALSI, Anna Maria Ajello. Non si giudichi riduttivo il riferimento al concetto di benessere (da non confondere con un generico “star bene” dei bambini), perché si intende invece fare riferimento alle loro condizioni di autonomia, di iniziativa (agency) e di intraprendenza, legati alla capacità della scuola e degli insegnanti di accogliere, di rassicurare, di rispettare le diversità, in definitiva di incoraggiare le manifestazioni dei loro tanti modi di esprimersi.

Al momento, questi elementi sono stati desunti dalla viva voce dei docenti interessati. Ma, ad esempio, sarà affidabile l’affermazione secondo cui il 66% dei bambini manifesta una buona curiosità e interesse ad imparare, mentre solo il 45% avrebbe fiducia nei propri mezzi? Che dire poi della quota del 26% di bambini che sarebbe in possesso dei prerequisiti della lettoscrittura? Certamente nuove ricerche con le scuole potrebbero aiutare ad affinare gli strumenti di osservazione.

Un itinerario sperimentale

Per tutti questi motivi, lo strumento RAV richiede un corollario di validazione con le scuole interessate, di qui la scelta dell’INVALSI (cui è affidata la responsabilità scientifica dell’operazione) di adottare una procedura di ricerca da realizzare su un campione delimitato di scuole (circa 400, rappresentative delle diverse tipologie gestionali). Si trattava di verificare l’impatto di alcuni questionari (sul funzionamento della scuola e sugli atteggiamenti professionali dei docenti) che vanno a costituire la base “standardizzata” delle informazioni che consentiranno poi a tutte le scuole di autoanalizzarsi, anche confrontandosi con alcuni parametri di riferimento (accountability).

Si tenga conto anche della estrema capillarità della scuola dell’infanzia italiana, suddivisa in tre tipologie di gestione con regole diverse (statali, comunali, private), di dimensioni per lo più ridotte (mediamente di 3 sezioni) con un numero di allievi che oscilla attorno ai 65 (media di 21,4 per ogni sezione). Dal Report INVALSI impariamo che le sezioni sono per lo più eterogenee (nell’80% dei casi) e il 40% dei docenti ha oltre 55 anni di età.

Tab. 1 – Il pianeta scuole dell’infanzia (plessi, sezioni, alunni)

Tipologie di scuolaScuoleSezioniAlunni
Scuole statali13.34642.959920.662
Scuole comunali 2.132 6.770151.652
Scuole private 7.58819.918418.976
Totale23.06669.6471.491.290

Fonte: ISTAT, 2018

La consultazione delle scuole

La “sperimentazione” ha richiesto tempo, anche perché è stato preceduto negli scorsi anni da una consultazione (2016) che ha coinvolto parecchi insegnanti circa le caratteristiche “qualitative” dello strumento RAV ed in particolare del “senso” che la valutazione viene ad assumere nella scuola dell’infanzia. Le risposte sono state incoraggianti e hanno messo in evidenza la propensione degli insegnanti verso strumenti di valutazione non intrusivi, cioè capaci di rendere conto dell’evoluzione dello sviluppo infantile andando oltre scale numeriche o test performativi. Il tema non è scontato, perché potrebbe scattare l’idea che una scuola non è “vera scuola” se non misura, se non mette i voti, se non certifica un risultato. Ma sappiamo che il concetto di risultato, in una fascia di età così delicata, è assai “mobile” e deve comunque tener conto della plasticità dello sviluppo infantile (delle eterocronie delle sue manifestazioni) e soprattutto del ruolo decisivo che il contesto (sociale, famigliare, educativo) svolge nell’accompagnare e promuovere le competenze dei bambini.

Fonte: INVALSI, Consultazione sul RAV Infanzia, 2016 (rielaborazione dell’A.).

I dati della consultazione del 2016 sembrano confermati da questa più recente rilevazione. Resta però il dubbio che le pratiche di progettazione e di monitoraggio della didattica siano più aleatorie: solo il 41% delle scuole dichiara di tenere sotto controllo gli obiettivi (anche se le Indicazioni/2012 parlano di traguardi e non di obiettivi). Si conferma il riferimento tradizionale ai “campi di esperienza”, che nel 94% orientano la progettazione curricolare. Ma sarebbe altrettanto interessante chiedersi perché solo il 38% degli insegnanti sembra dare spazio all’autonomia dei bambini nel corso della giornata educativa.

Le variabili dell’ecosistema scuola

Al centro della valutazione, dovrebbero stare in primo luogo le caratteristiche del contesto di vita e, nel nostro caso, le caratteristiche dell’intervento formativo della scuola dell’infanzia. Lo schema del RAV si presta bene a questo tipo di analisi, perché richiede di compiere un’attenta ricognizione del contesto ambientale, di descrivere il tipo di interventi organizzativi e didattici predisposti (dal curricolo esplicito all’ambiente di apprendimento, dall’inclusione alla professionalità docente, dalla continuità educativa ai rapporti con i genitori ed il territorio). Questa analisi, sulla base di dati e di argomentazioni, è propedeutica per poter esprimere qualche inferenza sul valore aggiunto (questo è il termine tecnico) apportato dalla scuola dell’infanzia alla crescita, all’apprendimento e al benessere dei bambini. Con una avvertenza, però: il rapporto tra le diverse variabili in gioco non è così lineare e automatico come spesso si crede. Se cambio il modo di organizzare le attività in sezione (ad esempio per piccoli gruppi o per età eterogenee o introducendo determinati materiali) non produco a cascata gli effetti desiderati sui bambini. Semmai, devo imparare ad avere uno sguardo complessivo, olistico, su tutte le interazioni che si producono – a volte inconsapevolmente – nell’intero ecosistema scuola (anzi, anche nel sistema sociale e famigliare che gravita intorno alla vita del bambino). Ed è comunque un forte incentivo ad uscire da pratiche didattiche spontaneistiche o scarsamente “controllate”.

La “mappa” del RAV

Le dieci rubriche per l’autovalutazione (una per ciascuna delle dieci aree in cui si articola la mappa) rappresentano il filo conduttore del processo di autoanalisi, ulteriormente facilitato da 99 descrittori che suggeriscono spunti di riflessione, domande, dati da comparare. Di questi 99 elementi, 33 sono quelli essenziali, che cioè si riferiscono a tutte le singole scuole, anche quelle più piccole (e mono-ordinamentali).

Dunque, il RAV infanzia (ma anche il RAV dei “grandi”) è uno strumento da maneggiare con cura, non pensando di aver trovato l’algoritmo d’oro in grado di portare immediatamente al successo scolastico. Aiuta, piuttosto, a costruire una mappa interpretativa del contesto educativo, per esserne più consapevoli, per provare con umiltà e spirito di ricerca ad introdurre “accomodamenti ragionevoli”, per abituare a riflettere – da soli ma soprattutto con i colleghi – sull’impatto delle diverse scelte educative. Forse è proprio questa promessa di professionalità che ha portato tante scuole a voler partecipare ad un processo di valutazione di cui si capisce l’importanza per far crescere la stima e la fiducia verso l’educazione dei piccoli e quindi la considerazione sociale nei confronti del ruolo della scuola dell’infanzia.

Dalle autovalutazioni delle scuole apprendiamo, comunque, che si dichiarano soddisfatte degli esiti che osservano nei bambini, in particolare per l’area del benessere (86%), piuttosto che in quella dello sviluppo e apprendimento (69%). Giocoforza, poi, che nelle priorità di miglioramento questa sia l’intenzione più “gettonata”: ma sarebbe importante chiedersi attraverso quali metodologie si intende portare avanti questo obiettivo fondamentale, da intrecciare con l’idea prima espressa di “benessere”.

Nella prospettiva dello “zerosei”

Il processo che si è avviato, se si tiene conto di tutte queste premesse, è promettente e si inserisce pienamente nella prospettiva dello sviluppo di un sistema educativo integrato dalla nascita fino ai sei anni (D.lgs. 65/2017), che sta muovendo i primi passi[2]. Non si tratta di procedere ad una “fusione a freddo” di due segmenti educativi (il nido per i bambini da 0 a 3 anni e la scuola dell’infanzia per quelli da 3 a 5 anni) che hanno la loro storia e la loro identità, ma di riscoprire le loro peculiarità e specificità anche attraverso strumenti di riflessione sulle caratteristiche del loro funzionamento pedagogico. Lo sappiamo bene. Se lo strumento (il questionario, la scheda, il monitoraggio, il RAV “in bella copia”) prende il sopravvento il tutto si tradurrà nell’ennesimo adempimento burocratico: un altro documento da incamerare come ce ne sono tanti nella toponomastica sincopata della scuola italiana (PTOF, PDM, PEI, RAV, PAI, PIA ecc.).

Il RAV come processo

Poiché la procedura RAV-infanzia non entra in vigore subito, e questa ci sembra una saggia decisione, c’è tutto il tempo per realizzare attività di ricerca e di formazione in servizio che dia senso all’intera operazione. Infatti, non è importante solo il prodotto finale (cioè la compilazione del RAV) ma soprattutto l’intero processo che può essere attivato: dalle domande sulle migliori condizioni di crescita dei bambini che ci sono affidati, alle caratteristiche dell’organizzazione educativa che dipende in larga parte da noi, alle nostre strategie professionali e didattiche. Allora, veramente, la valutazione diventa una “mossa riflessiva” capace di farci vincere la partita a scacchi di una buona educazione.

Cosa serve per generalizzare il RAV?

Ora abbiamo un prototipo significativo del RAV infanzia, alla cui messa a punto ha contribuito un nutrito numero di scuole dell’infanzia, con la guida dell’INVALSI. Ma, come abbiamo visto, il pianeta “infanzia” è assai vasto e complesso, distribuito su oltre 23.000 scuole. Per generalizzare questa esperienza il Ministero dell’Istruzione dovrebbe garantire alcune condizioni di agibilità:

  1. La costituzione di un comitato scientifico nazionale, rappresentativo dei diversi soggetti in campo, che affronti le questioni pedagogiche ancora aperte (l’approfondimento di obiettivi e traguardi da mettere “sotto controllo”, il legame ricorsivo tra valutazione e miglioramento, l’elaborazione e l’uso corretto degli strumenti);
  2. L’attivazione di staff di supporto in ogni regione, che possano fornire consulenza alle scuole, organizzare la formazione del personale, accompagnare il processo, magari individuando una rete di “referenti” RAV per gruppi di scuole;
  3. Definire la diversa incidenza del RAV per le scuole mono-ordinamentali (per le quali si potrebbero favorire raccordi in rete) e per le scuole appartenenti agli istituti comprensivi, in genere quelle statali (per il “peso” che necessariamente dovranno assumere i mini-RAV nella valutazione complessiva dell’istituto);
  4. Garantire un rapporto dinamico tra processi di valutazione e riorganizzazione dei curricoli, alla luce della promozione del sistema educativo integrato (“zerosei”), in modo da rafforzare gli elementi di qualità comuni tra i due segmenti dello 0-6 (nidi e scuole dell’infanzia) e le loro specifiche identità.

[1] A.Bondioli, Valutazione di contesto nei servizi per l’infanzia, Junior, Bergamo, 2015.

[2] G.Cerini, C.Mion, G.Zunino, Scuola dell’infanzia e prospettiva zerosei, Homeless Book, Faenza (RA), 2019.