Un medico di comunità per rassicurare famiglie e docenti

Riaprire le scuole in sicurezza: sembrerebbe un ossimoro

Riaprire le scuole è un dovere costituzionale, è la risposta ai bisogni di crescita degli studenti, alle esigenze delle famiglie e, soprattutto, allo sviluppo del Paese.

Non è facile, e lo stiamo vedendo in questi giorni “caldi” di fine estate, riuscire a dare sicurezza agli studenti e alle famiglie, ma anche ai dirigenti e ai docenti. I problemi, che alla vigilia della riapertura si stanno presentando in tutta la loro complessità, non sono diversi da come erano stati già prefigurati qualche mese fa. Partendo dal presupposto che il virus continuerà a circolare finché non verrà prodotto e diffuso il vaccino, la scuola, come qualsiasi altro contesto sociale, sarà comunque luogo di possibile contagio. Il Rapporto ISS COVID-19 n. 58/2020[1] delinea un vero e proprio sistema territoriale di sorveglianza sanitaria nelle scuole che poggia prevalentemente su tre pilastri fondamentali: a) i “Referenti scolastici” che devono essere individuati all’interno di ogni istituzione; b) i medici di Medicina Generale (MMG) e i Pediatri di Libera Scelta (PLS); c) il Dipartimento di Prevenzione del servizio sanitario nazionale (DdP).

Di fatto però i primi due pilastri sono molto deboli.

– I Referenti scolastici sono figure nuove i cui profili non rientrano tra quelli attualmente previsti: devono essere messi alla prova soprattutto sul piano organizzativo.

– I MMG e i PLS hanno quasi ovunque messo in evidenza la loro difficoltà a farsi carico di ulteriori compiti oltre quelli usuali, già gravosi, cui sono chiamati a rispondere soprattutto in questa fase pandemica.

Il Rapporto fornisce indicazioni puntuali per una sorveglianza sanitaria dentro la scuola. La questione di fondo, però, è quella di impedire che il virus entri nelle aule scolastiche e fare in modo che ci siano controlli minuziosi prima che gli studenti ne varchino la soglia. Si tratta quindi di accertarsi almeno che nessun alunno entri in stato febbrile.

Il referente Covid: funzione strumentale o figura di sistema?

Il Referente scolastico Covid-19 è una figura che contrattualmente non esiste, ma è stata introdotta per l’emergenza pandemica. Tale introduzione pone problemi formali e organizzativi. Tra i primi: l’obbligatorietà (si, no), la scelta (dirigente, comunità professionale…), le modalità di nomina (disponibilità, segnalazione del collegio, scelta autonoma del DS…), la retribuzione (FIS, Fondi Covid…). Tra le questioni organizzative: la costante reperibilità, la tempestività delle azioni, la contestualità con le usuali attività di insegnamento o amministrative. Si aggiunge a ciò anche la necessità di una tutela giuridica.

Nelle indicazioni, inoltre, non si tiene in debita considerazione la differenza che esiste tra le diverse tipologie di scuola, per via dell’età degli studenti e per la diversa organizzazione logistica. Ci sono scuole dell’infanzia che contengono meno di cento alunni, ci sono scuole superiori con più di mille studenti. Il profilo e le mansioni del Referente Covid non possono essere le stesse. In un plesso di poche decine di studenti (e ce ne sono moltissimi, se prendiamo in considerazioni tutto lo zerosei) è possibile che un docente, senza grossi problemi organizzativi, aggiunga alle usuali attività di educatore o di insegnante anche quelle di tenere sotto controllo lo stato di salute degli alunni e di interfacciarsi con il dipartimento di prevenzione e con le altre figure analoghe nelle scuole del territorio. In questo caso basta far riferimento ad un collaboratore o a una figura strumentale. Non è la stessa cosa per un istituto superiore dove l’organizzazione è più complessa e molto più alto è il numero degli studenti. In tal caso il Referente Covid deve essere distaccato dall’insegnamento ipotizzando una vera e propria “figura di sistema”. Comunque, in entrambe le situazioni (piccole scuole o grandi strutture) nelle prime ore della mattina il Referente sarà impegnato costantemente nel mantenere contatti tra “scuola”, medici curanti (PLS e MMG) e DdP (attraverso i rispettivi referenti), avrà bisogno di stare costantemente al telefono, di inviare messaggi, di dare informazioni, di scrivere report… Sarà per questo molto difficile conciliare tale funzione con l’insegnamento.

MMG e PLS: tra responsabilità usuali, burocrazie e nuove emergenze

Ugualmente arduo sarà il coinvolgimento dei MMG e dei PLS che sono in prima linea nelle misure preventive scolastiche antiCovid. Le segnalazioni dei Referenti richiedono in tempi brevi delle risposte. Non sono conciliabili con lo svolgimento del lavoro usuale del medico che ha sempre bisogno di tempo e di massima concentrazione. Il sanitario è sottoposto alla necessità di prendere decisioni gravi in tempi rapidi. Per esempio: la comunicazione al paziente di una diagnosi oncologica, l’immediato intervento terapeutico in caso di scompenso cardiocircolatorio acuto prima dell’accesso in pronto soccorso (PS), la raccolta dei dati anamnestici di un paziente psicotico… Sono solo 3 esempi di quanta umanità, sensibilità ed attenzione siano richieste, di quale stress emotivo si faccia carico il sanitario che è “solo” e non ha figure di supporto. Diventa pertanto assai difficile avere anche il tempo per ricevere comunicazioni telefoniche ed effettuarle per la richiesta di accertamenti diagnostici come tamponi o test rapidi sierologici. Inoltre va pure considerato l’aumentato carico di lavoro burocratico nello stilare certificati di malattia o di riammissione a scuola. Resta il fatto che la pandemia costringe a trovare nuove modalità di procedure lavorative e a stabilire rapporti diversi tra Medicina generale, Ospedali e unità assistenziali.

Non basta la responsabilità delle famiglie, occorrono altri filtri

È pur vero che la prima barriera è la distanza. Ma la misura standard, che in un primo tempo doveva essere superiore ai due metri, si è ridotta ad un metro statico calcolato dalle cosiddette “rime buccali”. Su questa “misura”, che scaturisce da una scelta politica e non proprio tecnico-sanitaria sono state costruite le successive operazioni: layout di aule, banchi monoposti, mascherine. In realtà, restano in tutta la loro evidenza i rischi che si incontreranno se all’interno della scuola entrerà uno studente contagiato.

È questo il problema vero che doveva essere affrontato prima dell’estate, programmando, per esempio, l’approvvigionamento di test sierologici[2] e molecolari (tamponi rinofaringei)[3] da somministrare, non solo “volontariamente”, ai docenti e agli operatori scolastici, ma anche agli studenti. Bisognava, quindi, mettere alla prova diversi modelli organizzativi prevedendo anche il fabbisogno del personale necessario.

Le indicazioni ministeriali puntano molto sulla collaborazione con i genitori, affidando loro il controllo della temperatura corporea e una prima vigilanza sullo stato di salute dei propri figli. In realtà, alcune regioni, con appositi provvedimenti, stanno dando indicazioni precise da inserire nei patti di corresponsabilità tra famiglie, scuole o gestori dei servizi educativi[4]. È tuttavia utopico pensare che tali misure possano costituire una barriera efficace. La responsabilizzazione dei genitori è sicuramente un obiettivo importante da perseguire costantemente, ma non è un dato su cui costruire certezze. La paura del Covid potrà, sicuramente, aumentare i comportamenti virtuosi, ma bisogna tener conto anche dei negazionisti, dei superficiali e, soprattutto, di coloro che non sanno dove lasciare i figli.

Per queste ragioni sarebbe opportuno che la scuola non delegasse questa operazione: dovrebbe invece garantire un ulteriore filtro, per esempio, attraverso l’istallazione di termoscanner e l’individuazione di personale dedicato.

Termoscanner sì, ma come

Il problema principale, tuttavia, non è l’acquisto e la predisposizione dei termoscanner in ogni punto di erogazione del servizio (anche se sono circa 40 mila l’insieme dei plessi scolastici), piuttosto è la carenza di personale da utilizzare per il controllo, il tempo necessario per la gestione stessa del controllo e l’organizzazione che ne consegue.

Le 40.000 scuole diffuse sul territorio nazionale sono diverse sul piano quantitativo: si va dalle poche decine di unità, per le scuole dell’infanzia, alle grandi strutture con più di mille studenti, per le scuole superiori. Ma sono diverse anche qualitativamente: alcune hanno spazi ampi e articolati, altre stretti ed angusti; alcune possono far conto su laboratori, giardini, atri e corridoi, altri invece solo su aule didattiche.

Quindi i possibili controlli preventivi devono essere calibrati sulle reali esigenze e potenzialità delle diverse tipologie di scuole.

Servono procedure di sicurezza, figure ad hoc

Le attuali disposizioni hanno già previsto che in ogni scuola si dovrà individuare uno spazio per isolare eventuali soggetti sospetti. Ma se uno studente contagiato è già entrato in classe la diffusione del virus è quasi garantita. Si possono invece immaginare altre soluzioni che potrebbero ridurre tale rischio, soprattutto nei grandi plessi. Per esempio:

– le scuole possono dotarsi di termoscanner, da collocare all’ingresso (o agli ingressi), e di una figura preposta (es. personale ausiliario formato);

– contestualmente si predispongono spazi ad hoc per l’isolamento, tali da prevedere soluzioni anti contagio di alunni segnalati (e ciò è già previsto dalle indicazioni nazionali);

– tali spazi in genere sono rinvenibili all’interno della struttura scolastica, ma con percorsi autonomi. In realtà possono anche essere collocati fuori dalla scuola, utilizzando moduli prefabbricati, tensostrutture…;

– lo studente che ha una temperatura superiore ai 37,5 gradi viene accompagnato, nello spazio preposto, da un’altra figura professionale (potrebbe essere un operatore socio sanitario, OSS[5]), diversa da quella che controlla la temperatura.

La figura sanitaria (OSS o infermiere, o personale specializzato), che accompagna l’alunno nello spazio predisposto, dovrà contestualmente consultare il “medico di riferimento” per le procedure successive che, allo stato attuale, non possono essere diverse da quelle previste nel paragrafo 2.1.1 del Rapporto ISS COVID-19, n. 58/2020, pp. 9-10.

E se ci fossero presidi sanitari direttamente nelle scuole?

Se invece venisse previsto un presidio sanitario (anche mobile) direttamente nelle istituzioni scolastiche, la procedura potrebbe essere molto semplificata e resa maggiormente efficace. Per esempio, si potrebbero effettuare direttamente lì i test sierologici, previo consenso dei genitori, e poi, in caso di positività, provvedere a somministrare direttamente anche il test molecolare.

Ciò non significa deresponsabilizzare le famiglie, anzi il contrario. Nelle fasi di recrudescenza influenzale stagionale la percentuale degli studenti che possono presentarsi a scuola con i sintomi della febbre potrebbe diventare molto alta. Per questo è importante che la famiglia si faccia carico del primo accertamento. La scuola, da parte sua deve garantire che gli alunni “con sintomi”, che possono sfuggire al controllo genitoriale, entrino a contatto con gli altri studenti, con gli adulti e anche tra di loro.

Questa ipotesi non evita in assoluto il rischio di contagio perché, come è noto, ci sono gli asintomatici, ma sicuramente rappresenta un filtro importante.

Nei piccoli plessi la situazione può essere gestita in maniera più semplice. Importante che ci sia un presidio per la rilevazione dell’eventuale ipertermia, uno spazio per il successivo isolamento e la tempestiva comunicazione al servizio preposto.

Un medico a scuola per frenare il contagio e per rassicurare la comunità

I dati di questi ultimi giorni, allarmanti in tutti i Paesi, impongono ancora di più di attivare molti servizi di vigilanza sanitaria. Per le famiglie e per i docenti sarebbe molto confortante poter contare, per esempio, sulla presenza a scuola di un pediatra che poi, in fase post pandemica, potrebbe ridiventare quel “medico scolastico”. Si potrebbe ripristinare quella figura professionale che i meno giovani ricordano già presente in tutte le scuole fino a mezzo secolo fa.

Secondo una proposta del Partito Democratico, servirebbero 12.000 medici (4.000 per l’infanzia e 8.000 per il primo e secondo ciclo d’istruzione). In realtà tale proposta sta per essere messa alla prova dalle Regioni Lazio e Toscana attraverso la predisposizione di bandi mirati. Quello del Lazio riguarda 500 posti per medici, infermieri e assistenti da impiegare nelle scuole per la gestione delle misure sanitarie anti Covid-19. Quello della Toscana è aperto anche a laureati, iscritti all’ordine, non in possesso della specializzazione e ai medici in pensione. La loro individuazione è prevista da un’apposita ordinanza regionale che stabilisce anche che l’elenco dei candidati dovrà essere disponibile entro il prossimo 30 settembre.

L’attività lavorativa del medico a scuola dovrebbe essere rivolta non solo agli studenti, ma anche al personale scolastico con un impegno flessibile in relazione alle urgenze sanitarie. Certamente non è facile, nell’immediato, poter generalizzare questo servizio. Si possono, però, immaginare alcuni processi graduali: da una Call a cui potrebbero partecipare giovani medici e personale in quiescenza ad una riforma legislativa che possa andare a regime nell’arco di un tempo ragionevole, utilizzando magari (in entrambi i casi) i fondi Mes e Recovery fund per l’emergenza sanitaria.

Nella fase attuale, per prevenire il diffondersi del virus, il compito principale del medico scolastico dovrebbe essere quello di prescrivere test sierologici e tamponi a seconda delle necessità; di mantenersi costantemente in contatto coi Referenti, con i Dipartimenti di Prevenzione delle Aziende sanitarie locali e coi Laboratori Analisi. Dovrebbe operare nella sede principale dell’Istituto per poi spostarsi secondo le necessità presso le scuole di dimensioni più ridotte.

Un medico scolastico anche in situazione di normalità

Molti potrebbero essere i compiti, in tempi di normalità, per un medico che opera esclusivamente su una coorte di 1000-2000 studenti con circa 100-200 operatori scolastici (tra insegnanti personale amministrativo, tecnico e ausiliario).

– Con una visita generale agli studenti una volta l’anno si potrebbero evidenziare disturbi dell’accrescimento che altrimenti passano inosservate sia ai genitori che ai ragazzi stessi perché non hanno la possibilità di raffronto. Si possono rilevare dismetrie degli arti, scoliosi e cifosi.

– Con un semplice controllo si possono individuare ipoevolutismi staturo-ponderali, ipogonadismi, fimosi, obesità, deformazioni scheletriche dovute a malassorbimento di calcio e vitamine. I soggetti interessati possono essere tempestivamente indirizzati ad approfondimenti endocrinologici.

– L’auscultazione cardiaca e polmonare permette di diagnosticare bronchiti ostruttive, soffi cardiaci patologici.

– Semplici esami della vista mettono in evidenza molti disturbi visivi.

– Controlli sulla cute prevengono la pediculosi.

Il medico scolastico potrebbe farsi carico della sensibilizzazione per le norme igieniche, la cura dei denti, anche dell’educazione sessuale. La sua presenza potrebbe essere di grande utilità anche nei confronti degli studenti con disturbi comportamentali, per affrontare il problema delle dipendenze (fumo, alcool, sostanze tossicologiche…), per i maltrattamenti in famiglia, per la prevenzione e l’individuazione di malattie precoci, soprattutto per il monitoraggio delle vaccinazioni.

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[1] Indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di SARS-CoV-2 nelle scuole e nei servizi educativi dell’infanzia. Gruppo di Lavoro ISS, Ministero della Salute, Ministero dell’Istruzione, INAIL, Fondazione Bruno Kessler, Regione Emilia-Romagna, Regione Veneto.

[2] I test sierologici rilevano la pregressa infezione da SARS-CoV-2 e vengono utilizzati nella ricerca e nella valutazione epidemiologica della circolazione virale nella popolazione che non ha presentato sintomi. Pertanto essi hanno una limitata applicazione nella diagnosi di COVID-19 e nel controllo dei focolai (vedi Rapporto ISS COVID-19, n. 58/2020).

[3] È il metodo diagnostico riconosciuto e validato dagli organismi internazionali per rivelare la presenza del virus SARS-CoV-2 in un individuo infetto. È un saggio molecolare basato sul riconoscimento dell’acido nucleico (RNA) virale mediante un metodo di amplificazione (Polymerase Chain Reaction, PCR) effettuato su un campione di secrezioni respiratorie, generalmente un tampone naso-faringeo. Questo saggio deve essere effettuato in un laboratorio di microbiologia utilizzando reagenti o kit diagnostici e macchinari complessi, nonché personale specializzato. Per tutto il processo diagnostico dal prelievo, al trasporto in laboratorio, all’esecuzione del test e alla refertazione, possono essere richiesti di norma 1-2 giorni (vedi Rapporto ISS COVID-19, n. 58/2020).

[4] Cfr. Regione Emilia Romagna, Giunta, prot. n. 0575536.U del 4 settembre 2020 (oggetto: “Apertura dei servizi educativi (0-3 anni), chiarimento in merito alle certificazioni mediche e altre specifiche”).

[5] Su questo tema la FNOPI (Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche) ha proposto “Novemila infermieri scolastici, uno per ogni plesso, in azione diretta, e non solo su chiamata, per verificare la corretta applicazione delle misure anti-Covid, ma anche la salute e i bisogni assistenziali degli alunni (e del personale docente) non-Covid”.